Ultimo banco 152. Fame di destino
Qualche giorno fa lo scrittore e amico Daniele Mencarelli è venuto a dialogare con gli studenti della mia scuola. Daniele appartiene agli autori che non scrivono della “realtà” ma del […]
Qualche giorno fa lo scrittore e amico Daniele Mencarelli è venuto a dialogare con gli studenti della mia scuola. Daniele appartiene agli autori che non scrivono della “realtà” ma del […]
Di recente ho visto due film che ruotano attorno all’amicizia dei protagonisti: Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin, spiriti di vendetta, simili alle Arpie greche, di un’immaginaria isola irlandese) di Martin McDonagh (regista del bellissimo Tre manifesti a Ebbing) e Le otto montagne di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, tratto dal bel libro di Paolo Cognetti.
Qualche giorno fa una ex studentessa è venuta a trovarmi. Avevo davanti una donna luminosa che, ripercorrendo il sentiero dei ricordi, mi ha raccontato un episodio per lei fondamentale e di cui non avevo memoria. Aveva cambiato scuola dopo un primo anno di superiori molto doloroso: la sua timidezza, che non era stata accolta o capita dagli insegnanti, l’aveva portata a sentirsi un’incapace.
Festival è l’antico termine francese che indicava un evento sacro e popolare, arricchito da musica e danze. Nasceva dal bisogno di interrompere la fatica del lavoro quotidiano e condividerne i frutti. Dettata dal calendario liturgico e dai ritmi stagionali di terra e cielo, la festa dava senso agli altri giorni: riposare e gioire insieme del lavoro fatto, con musica e danza che sono i simboli umani della libertà dalle necessità dei giorni feriali. I Greci interrompevano anche le guerre per i loro festival.
Un insegnante che mangia in classe i “panini del futuro”. Così Alessandro D’Avenia definisce i momenti di pausa che condivide con gli studenti dell’ultimo anno per parlare anche dei loro sogni e delle loro aspirazioni. Quello che serve ai nostri ragazzi è ascoltare sé stessi mentre raccontano cosa vogliono fare, e il compito dell’insegnante è fare solo da specchio.
Qualche giorno fa una ragazza si è tolta la vita con una sciarpa nel bagno di un’università milanese: nel biglietto d’addio chiedeva scusa per i suoi fallimenti. Vorrei andare oltre la critica alla cultura della performance per capire piuttosto come curare in tempo le ferite che uccidono, fisicamente o spiritualmente, i futuri ventenni.
Nelle ultime settimane parte della nostra emotiva attenzione mediatica è stata catturata da una mamma finlandese in fuga dalla scuola italiana, da una bidella pendolare tra Milano e Napoli, da una professoressa bersaglio di pallini, da alunne che assumono tranquillanti prima di una prova… La scuola buca l’opinione pubblica quando la notizia (spesso manipolata) acchiappa il clic. Risultato? Tanti riflettori, poca riflessione, nessun riflesso.
Gianluca Vialli è stato, nella mia adolescenza, un eroe di quello strano sport contro-evoluzionistico per cui l’abilità non dipende dalla mano, che ha reso l’uomo uomo, ma da un arto molto meno preciso: il piede (pedestre è un’offesa: “é fatto con i piedi”). Nel calcio anche il gesto più bello “è fatto con i piedi”, la mano è vietata (solo Maradona l’ha resa, furbescamente, tocco divino): arcaica nostalgia di una danza primordiale che incanta l’altro per trafiggerlo nel suo territorio sacro (la rete) con il “colpo” che arriva quando non lo aspetti o da chi non lo aspetti.
Quando Franco Battiato canta La cura, legittimamente interpretata dai più come canzone indirizzata a qualcuno, si rivolge innanzitutto alla propria anima, da anemos, vento, il soffio che rende “viventi” tutti gli esseri “animati”, ma che in noi uomini è qualcosa di più. A noi non basta essere viventi, noi vogliamo essere vivi. Se i viventi hanno il fiato, noi abbiamo il respiro, che è quel di più: in italiano è lo spirito o spiro, da cui vengono parole come respiro, ispirazione, spirare… che racchiudono il senso della vita “animata” e non solo “animale”.
L’Epifania, appena trascorsa, è la festa dei doni, in alcune tradizioni è infatti il giorno dei regali. A proposito di doni, l’anno scorso mi ha colpito il gesto di un nuovo amico che, le volte che mi ha invitato a cena, alla fine mi ha regalato una bottiglia del vino bevuto durante la serata. Ho provato una gioia, credo, simile a quella di mia nipote quando va a una festa in cui ai bambini invitati viene offerto un piccolo regalo.