Zibaldino domenicale
E allora forse qualcuno ricorda questo o quel particolare di questa o quella storia che narra la grandezza interiore d’un uomo — come per esempio la storia della morte d’una giovane donna nel Lager, della quale fui testimone. La storia è semplice — non c’è molto da raccontare — e tuttavia sembrerà inventata, tanto appare poetica. Questa giovane donna sapeva che sarebbe morta nei prossimi giorni. Quando le parlai, era serena, nonostante tutto. «Sono grata al mio destino, per avermi colpita così duramente», mi disse, e ricordo bene ogni sua parola: «Perché nella mia vita di prima, quella borghese, ero troppo viziata e non avevo nessuna vera ambizione spirituale». Nei suoi ultimi giorni era come trasfigurata. «Quest’albero è il solo amico nei miei momenti di solitudine», disse, accennando attraverso la finestra della baracca. Fuori c’era un castagno, tutto in fiore, e chinandomi sul tavolaccio della malata, potevo scorgere ancora un ramoscello verde con due grappoli di fiori, guardando dalla finestrella dalla baracca-infermeria. «Con quest’albero parlo spesso», disse poi. Ne fui meravigliato e non sapevo come interpretare le sue parole. Sta forse delirando, ha delle allucinazioni? Le chiesi dunque, curioso, se l’albero può risponderle — Sì! — e che cosa le dice. Mi rispose: «M’ha detto: Io sono qui — io sono qui — io sono la vita, la vita eterna…».
Viktor Frankl, Uno psicologo nei lager, Ares, pag. 119
Improvvisamente, ho di fronte l’immagine di mia moglie. Mentre inciampiamo per chilometri, guardiamo la neve o scivoliamo su lastre ghiacciate, sempre sorreggendoci a vicenda, aiutandoci gli uni gli altri e trascinandoci avanti, nessuno parla più, ma sappiamo bene che in questi momenti ognuno di noi pensa a sua moglie. Di tanto in tanto guardo il cielo, dove impallidiscono le stelle, o là, dove comincia l’alba, dietro una scura cortina di nubi: ma il mio spirito è ora tutto preso dalla figura che si racchiude nella mia fantasia straordinariamente accesa, e della quale non ho mai avuto sentore prima, nella vita normale. Parlo con mia moglie. La sento rispondere, la vedo sorridere dolcemente, vedo il suo sguardo, e — corporeo o meno — il suo sguardo brilla più del sole che si leva in questo momento. D’un tratto, un pensiero mi fa sussultare: per la prima volta nella mia vita, provo la verità di ciò che per molti pensatori è stato il culmine della saggezza, di ciò che molti poeti hanno cantato; sperimento in me la verità che l’amore è, in un certo senso, il punto finale, il più alto, al quale l’essere umano possa innalzarsi. Comprendo ora il senso del segreto più sublime che la poesia, il pensiero umano ed anche la fede possono offrire: la salvezza delle creature attraverso l’amore e nell’amore! Capisco che l’uomo, anche quando non gli resta niente in questo mondo, può sperimentare la beatitudine suprema — sia pure solo per qualche attimo — nella contemplazione interiore dell’essere amato. Nella situazione esterna più misera che si possa immaginare – nella condizione di non potersi esprimere attraverso l’azione, quando la sola cosa che si possa fare è sopportare il dolore con dirittura, sopportano a testa alta, ebbene, anche allora, l’uomo può realizzarsi in una contemplazione amorosa, nella contemplazione dell’immagine spirituale della persona amata, che porta in sé. Per la prima volta nella mia vita, sono in grado di capire ciò che si intende, quando si dice: gli angeli sono beati nell’infinita, amorevole contemplazione di uno splendore infinito… Davanti a me cade un compagno; quelli che gli marciano dietro, cadono anche loro. La sentinella accorre e li bastona senza pietà. La mia vita contemplativa è interrotta per qualche secondo, ma subito dopo la mia anima si innalza, si eleva nuovamente dalla mia esistenza di internato ad un mondo sovrumano e riprende il dialogo con l’essere amato: io chiedo — lei risponde, lei domanda — rispondo io.
Viktor Frankl, Uno psicologo nei lager, Ares, pag. 75
“L’amore conta, conosci un altro modo per fregar la morte?”(L. Ligabue)
Bellissimo e commuovente questo tuo post. E’ intriso di rosso, di sangue che palpita nelle vene, d’amore quello che ti entra nelle ossa,pura polpa.
Succede anche a me, continuamente.
Il mio albero non sarà forse sempre in fiore, ma quando ci parlo riesce a darmi amore. Riesce a non farmi dimenticare. Riesce a non farmi morire ogni giorno, a non farmi morire mai. Perché non si tratta di astrazioni ma di sostanze. Di verità semplici che sanno risolvere le mie imperfezioni, le mie inadeguatezze. Io chiedo, lui risponde. Io lo cerco e lui è sempre lì ad aspettarmi. Sempre lì ad accogliermi…
Buona domenica, prof.
Ciao Alessandro! Sono contenta che ti sia accorto di quest’uomo e della sua esperienza è proprio vero, commovente, incoraggiante vedere che se si ha un punto fisso nella propria vita difficilmente ce la facciamo ridurre.
Tempo fa quando ero in Italia ti ho inviato dei pezzi bellisimi di questo libro spero tu li abbia letti o possa almeno ritrovarli.
Se ti fa piacere in futuro vorrei condividere con te alcune letture che mi colpiscono e mi aiutano a camminare…che dici?
Un forte abbraccio from Nairobi-Kenia
Rossana
Con gioia e gratitudine sincera!
Nessuna parola può esprimere al meglio ciò che mi ha smosso dentro questo testo…indubbiamente emozioni positive ma talmente profonde da non esser in grado di trascriverle! solo una cosa dico a te, Alessandro: grazie di esistere!
p.s:complimenti anche per l’articolo di oggi sul quotidiano “La stampa”!
“…nella mia vita non ho mai parlato con te.
Fin da piccolo mi hanno detto che non esistevi e io ci ho creduto.
Ma questa notte, dal cratere di una granata ho guardato il cielo pieno di stelle e a un tratto ho capito.
Dio, in mezzo a questo inferno ti ho visto, ti ho conosciuto e non ho più paura perchè tu mi guardi.”
(scritto lasciato da Aleksandr Zacepa, soldato russo, prima di essere ucciso da una granata)