31 dicembre 2010

O la borsa, o la vita

“A Natale tutti sono buoni” – disse la mendicante allungando la mano.

“Per fortuna” – rispose l’uomo e tirò dritto, pensando che sarebbe stato il colmo per un ladro fare l’elemosina. Per fortuna c’è il Natale, così tutti sono più buoni e comprano regali e li raccolgono nelle case. E lui svaligia le case.
Natale è il periodo in cui si lavora meglio. È più rischioso, ma il bottino è più ricco.
Avrebbe cominciato quella sera, l’antivigilia di Natale. Passava per le case già pronte per la festa e faceva piazza pulita: un Babbo Natale al contrario.
Si vestì come si conviene a un ladro esperto e si diresse verso la prima casa da svaligiare, nel cuore della notte. Vi abitava un bambino che, all’insaputa dei genitori, nei giorni precedenti al Natale si alzava tutte le notti, e si accoccolava sotto il presepe, perchè voleva vedere chi portava i regali. Puntualmente si addormentava per risvegliarsi prima dell’alba e tornarsene a letto. Senza fare un rumore o dire una parola: dei due avrebbe potuto provocare solo il primo, perché era muto.

Il ladro armeggiò attorno alla serratura e la fece scattare in meno di tre minuti. Non c’erano serrature che non conoscesse, se non quella del cuore di Ines, che non era riuscito a scassinare. Lei lo aveva lasciato qualche settimana prima, perchè doveva scegliere: o lei o la borsa (di altri). Lui non voleva trovare un lavoro e diventare uno che va a lavoro tutti i giorni. Così aveva preferito la borsa. In fondo quella vita gli piaceva e l’amore non era poi così indispensabile come si diceva in giro.
Entrò nel buio e a tastoni si diresse alla ricerca del tesoro. Aprì cassetti e stipi ma non trovò nulla. Rimanevano i regali. Entrò in soggiorno dove un albero di natale macchiava le pareti di colori intermittenti. Sulla destra un presepe muto e silenzioso, nel quale una lampadina illuminava il sughero, il muschio, il muso di un asino e il profilo di una ragazza.
Davanti al presepe, come se fosse scappato dalla culla di paglia, dormiva acciambellato un bambino, che non appena sentì il passo pur silenzioso del ladro aprì gli occhi, scuotendosi rapidamente dal dormiveglia di chi è in attesa.

Si trovò faccia a faccia con l’uomo.
Il ladro portò l’indice davanti alla bocca per intimargli di fare silenzio e il bambino sorrise, sfregando le dita delle mani davanti alla bocca, come fanno i bambini quando la gioia si concentra sulla dita, perchè gli occhi non bastano a contenerla.
Il ladro lo fissò, incerto sul da farsi. Gli sorrise di rimando per fargli capire che quello era l’atteggiamento giusto. Il bambino aspettava che l’uomo spargesse i regali, ma l’uomo non aveva nulla. Il volto del bambino allora si fece serio: si sentiva in colpa, perchè l’uomo non aveva regali per lui e voleva chiedergli scusa, ma non aveva le parole.
Il ladro, osservato nella penombra il repentino mutamento, temeva che il bambino cominciasse a piangere e chiamasse i genitori. Allora gli poggiò la mano sulla bocca e lo prese. Il bambino si lasciò sollevare senza resistenza, pensando che l’uomo avesse una sorpresa per lui. Il ladro lo strinse a sé e così com’era, in pigiama, lo portò via.

Il freddo della notte penetrò tra le pieghe del pigiama e il bambino teneva gli occhi chiusi in attesa della sorpresa e si stringeva all’uomo per sentire il calore dell’uomo. Chissà quali mondi di vetro e di ghiaccio stavano attraversando per raggiungere il caldo paese dei regali. Il ladro stringeva il bambino e ne sentiva le ossa e le braccia attorno al suo collo, come faceva lui con suo padre, nel tempo che era stato bambino…
Quando entrò in casa fece sedere il bambino, che teneva gli occhi chiusi premendovi sopra le mani, quasi che gli occhi potessero scappare come ladri e aspettava il momento giusto per aprirli. Quando lo fece si trovò in una stanza piena di refurtiva: televisori, telefoni, giochi, collane, vestiti, dolci…
Il sorriso gli investì non solo il viso, ma tutto il corpo. Guardava il ladro estasiato. Quello era il paese dei regali.
Il ladro, che doveva decidere perché avesse rapito il bambino, lo guardava e soppesava le possibilità: chiedere un riscatto, venderlo…
Il bambino scese dalla sedia e si avvicinò ad un enorme scatola colorata di costruzioni e la indicò all’uomo. Amava trascorrere intere giornate a costruire castelli, città, navi…
“Che vuoi?” – chiese l’uomo stizzito da quella notte sfortunata.
Il bambino puntò l’indice verso la scatola e rise, annuendo con la testa.
L’uomo lo guardava e si chiedeva se fosse tonto.
Nessuno lo avrebbe comprato un bambino tonto. Il riscatto gli sembrò una soluzione migliore.
Il bambino intanto si era avvicinato ad una foto, in cui c’era un uomo abbracciato ad una donna in riva al mare e i due erano felici. Indicò la foto e poi indicò l’uomo. Anche questa volta sorrise. Prese la foto e la mostrò al ladro, che fissò il volto di Ines abbracciata a lui, qualche settimana prima che Ines lo lasciasse, rubandogli cuore e felicità in un furto solo: una professionista.
Il bambino regalò la foto all’uomo e non si sentiva più in colpa.
“Tu sei proprio scemo” – disse l’uomo.

La mattina la mamma entrò nella stanza e chiamò il bambino con un sussurro: “Emanuele…”

Il bambino balzò giù dal letto come una molla compressa, improvvisamente liberata, e si diresse spedito nel soggiorno. Tra l’albero e il presepe c’era un enorme scatola di costruzioni. Il bambino sorrise e abbracciò la mamma, che non riusciva a spiegarsi da dove saltasse fuori quella scatola il giorno della vigilia di Natale.
Il bambino muto la costrinse a chinarsi e le diede un bacio. La mamma sentì la pelle del bambino e i lineamenti dei loro volti modellarsi secondo il disegno della felicità.

Ne era convinta: quel suo figlio così fragile, sfortunato e senza parole, sembrava capace di fare miracoli.

I luoghi dell’infinito – Dicembre 2010

11 risposte a “O la borsa, o la vita”

  1. Marta ha detto:

    E così si capisce quale forza possiedono i bambini su noi giovani o adulti… Con quei loro occhi innocenti ci guardano e basta un solo sguardo per farci capire se stiamo facendo la cosa giusta o quella sbagliata…
    Un batuffolo di giovinezza riesce a fare azioni sorprendenti nei confronti del mondo che lo circonda…

  2. Je ha detto:

    Auguri carissimi…che sia un anno ricco di benedizioni e consolazioni!
    C.

  3. Chiara ha detto:

    sono la mamma di una bimba muta…e che, pure, “parla molto”..
    Io, come te, lavoro con le parole, vivo con le parole.
    le parole, anzi, sin da bambina, mi hanno salvato la vita.
    ma i miracoli quelli no.
    li fa mia figlia.
    Chiara

  4. monica ha detto:

    Bel nome Emanuele; anzi… perfetto!
    “Circuitus illi jam explosi sunt” (s.Agostino, De Civitate Dei): davvero, perciò, buon anno nuovo!

  5. Lanfranco ha detto:

    Che sia un anno pieno di luce e di rinnovata freschezza in questo tuo delizioso giocare con le parole

  6. Melissa Ceccon ha detto:

    Bellissimo!!! Anche il blog…^___^

  7. Monica ha detto:

    come sempre: GRAZIE! … Auguri di Buon anno. Che questo 2011 ci aiuti a riscoprire la gioia delle piccole cose, dei piccoli gesti quotidiani.

  8. Lucia ha detto:

    compliementi prof… è bellissimo, commovente. Le parole del vero Natale. Il Natale stesso incarnato su un foglio. Fanstastico…Un saluto sincero assime alla gioia di un Natale vero…
    Lucia

  9. Elena ha detto:

    E’ proprio bello!
    Ho scoperto da poco che scrivere mi aiuta a conoscermi e a esprimere quello che sennò rimane informe dentro di me. E che incredibilmente aiuta anche chi legge a scoprire in sè qualcosa di inespresso e nascosto. Ed è bellissimo quando trovo dei testi che mi fanno risuonare il cuore, e mi danno l’ispirazione, perchè è come se aprissero una finestra su una parte della mia anima che ancora non avevo esplorato.
    Per questo: grazie!
    E auguri 🙂

  10. Carlo ha detto:

    VIGILIA DI NATALE

    Tre secondi accese e tre secondi spente; tre secondi accese e tre secondi spente; tre secondi accese… Le piccole lampadine colorate dell’albero di Natale sembravano essere le uniche cose animate presenti in casa. Tutte le stanze giacevano in un buio intenso e freddo tagliato a spicchi, qua e là, soltanto dai pallidi raggi di luce della strada che filtravano attraverso le tapparelle abbassate e bucato ad intermittenza da quei piccoli lumi: tre secondi accesi e tre secondi spenti; tre secondi accesi e tre secondi spenti.

    Una leggera ma insistente pioggia mista a nevischio stava bagnando le strade, i vicoli, le case, i palazzi e gli uomini.

    Era da anni che non si vedeva più neanche un fiocco di neve in città. Questa volta, però, sembrava essere quella buona: il cielo era saturo di nuvoloni grigi che preannunciavano un’abbondante nevicata e del resto, anche le previsioni meteorologiche assicuravano che, entro la fine dell’anno, la neve sarebbe scesa copiosa, forse anche troppo per chi ormai vi si era disabituato. Così, quasi per magia, come succede alle crisalidi, gli aghetti pungenti d’acqua gelata si sarebbero presto trasformati in infinite farfalle dalle candide ali.

    In casa una luce si accese.

    L’uomo sdraiato sul divano si premette entrambe le mani sul viso, coprendosi gli occhi feriti dall’improvviso chiarore. Stette alcuni minuti in quella posizione, prima di alzarsi e mettersi seduto. Appoggiò il mento sulle mani chiuse a pugno ed i gomiti sulle ginocchia, rimanendo immobile per un paio di minuti ancora. Si alzò in piedi scattando nervosamente, come in risposta ad un ostinato e lontano richiamo.

    La cucina era immersa in un buoi totale. Anche qui l’uomo accese la luce, ma solo per pochi istanti: il tempo sufficiente per scorgere il pacchetto di sigarette a fianco del giornale di due giorni prima, ancora aperto sul tavolo.

    Schiacciò l’interruttore di nuovo, prese le sigarette al buio, uscì dal locale e tornò a sedersi sul divano in salotto.
    La sigaretta gli penzolava stancamente tra le labbra, mentre con le dita frugava, inutilmente, nel taschino della camicia in cerca dell’accendino. Lo trovò sul tavolino di fronte a lui, accese il cilindretto di carta e tabacco e si sdraiò nuovamente. Non aveva assolutamente voglia di fumare, ma sentiva il disperato bisogno di fare qualcosa. Tirò un’ampia boccata che gli arse la gola, tossì nervosamente e, preso il portacenere, vi accartocciò dentro la sigaretta pressoché intatta. Un sottile filo di fumo si alzava danzando dalle ceneri ancora calde, puntava al soffitto, ondeggiava un poco prima di dissolversi in una impercettibile ed acre nebbiolina grigiastra…guardò a lungo quello spettacolo improvvisato, finché anche l’ultima brace di tabacco si spense.
    Sdraiato, con le mani sotto la testa che sembrava voler scoppiare da un momento all’altro. Secondi come ore, ore come secoli: la sabbia del tempo si infilava lentamente in tutti gli ingranaggi della vita, rallentandone il corso normale, inceppandone i meccanismi. Piccolissime mani invisibili si aggrappavano alle lancette degli orologi per fermarne l’inesorabile girotondo. La pendola del salotto batté otto rintocchi, ma potevano benissimo essere quattro o dieci o dodici, tanto nulla sarebbe cambiato.

    Fuori aveva cominciato a nevicare. I fiocchi di neve stavano ora scendendo larghi e leggeri, planando dolcemente sulla città grigia, ma, nonostante tutto, bella e ricca, di quella magia immutabile che la natura riusciva a donarle.
    I primi fiocchi si erano immediatamente sciolti al contatto con il suolo, ma il loro sacrificio non era stato vano: il candido strato stava crescendo sempre più rapidamente, sino a formare una sottilissima coperta distesa mollemente su ogni cosa.

    Chi si fermava un attimo sotto quel cielo generoso per aprire gli occhi del cuore (anche solo per un istante) al richiamo silente, eppur così maestoso, di tanta bellezza, rimaneva stupefatto da pensieri e da sensazioni che credeva dimenticate, abbandonate, perdute insieme all’ingenuità di tanto tempo addietro, di tanto tempo…quando era bambino. Allora si stupefaceva nell’apprendere che nessun fiocco di neve è uguale ad un altro già caduto o che dovrà cadere. Quel piccolo cristallo di ghiaccio che si é sciolto sul tuo volto non si scioglierà mai più sul volto di nessun altro uomo al mondo, é un dono esclusivo: un piccolo bacio dal cielo solo ed unicamente per te. Ora si stupiva di non averci mai più pensato, eppure cosa c’era di male nel farlo? Assolutamente niente, anzi, c’era un non so che di leggero e meraviglioso che andava dilatandosi nel corpo, risvegliandolo da un antico torpore….ma il semaforo che riaccendeva il verde o la luce artificiale di una vetrina riconducevano a consueti pensieri, a gesti meccanici con i quali si richiudeva quella piccola finestra dalla quale, per un attimo, era rientrato il profumo della vita.

    L’uomo ora stava seduto ritto sul divano. Ebbe un attimo di esitazione, poi avvicinò lentamente la mano al portaritratti posto sul tavolino che gli stava di fronte. Prese la foto, era quella che preferiva, quella in cui lei sorrideva mostrando tutta la sua dolcezza…Per lunghi minuti non fece altro che seguirne i lineamenti gentili che aveva amato da sempre…lasciò cadere il portaritratti sul tappeto, quello bello, quello che carezzandolo sembrava cambiare colore. Gli occhi fissi al soffitto bianco che gli riproponeva l’immagine di lei…, ovunque guardasse, in qualunque posto posasse gli occhi la vedeva sorridere…

    Quella sera di tre giorni addietro era rientrato dall’ufficio più tardi del solito, aveva indugiato un momento all’ingresso:
    – Spero tanto che si sia calmata…certo ieri ho esagerato…certe cose non avrei dovuto assolutamente dirle, neanche pensarle…però anche lei con le sue pretese assurde…
    Finalmente aveva aperto la porta ed era entrato in casa senza dire nulla, normalmente l’avrebbe chiamata per farle sapere che era tornato; si era tolto l’impermeabile zuppo di pioggia gelata e si era subito cambiato i vestiti fradici (alla stazione aveva perso la coincidenza con il trentatré sbarrato ed aveva preferito fare la strada a piedi: – Almeno mi si schiariranno le idee – si era detto fra sé e sé). Aveva acceso la luce in cucina e, con un rapido sguardo, si era subito reso conto dell’inusuale ordine che vi regnava nonostante l’ora di cena fosse più che prossima. Ma dove diavolo era andata a nascondersi? Sentiva pressante il bisogno di parlarle, di spiegarsi, di stabilire un qualsiasi contatto con lei…
    La luce della camera era accesa.
    – ….eppure lo sapevo a cosa sarei andato incontro…spero solo che non mi faccia una scenata come ieri sera, non riuscirei proprio a sopportarla.
    Aveva tirato un lungo sospiro prima di appoggiare la mano sulla maniglia per aprire la porta con decisione.

    Non c’era.
    Il lucido letto di ottone era il padrone incontrastato della stanza e riverberava di luce che dall’alto lo colpiva.
    Lei non c’era.
    Gli erano tornate in mente certe sue parole che non avrebbe mai voluto pronunciare e le repliche di lei che non avrebbe mai voluto udire.
    Il sangue gli si era trasformato in ghiaccio nelle vane.
    – Non può essere, non può essere vero, non deve! essere vero –
    Qualcosa aveva folgorato i suoi pensieri.Era corso in cucina.
    L’aveva visto anche prima, ma non ci aveva badato: piegato in due, poggiato sopra il tavolo, c’era un foglio scritto da lei…lo aveva disperatamente accartocciato nel pugno dopo averne letto il contenuto…

    Da qualche parte, forse in tasca, conservava ancora il biglietto. Lo aveva letto decine di volte, prima di rendersi conto di quanto fosse reale ciò che gli stava capitando: poche righe che in pochi giorni avevano scardinato completamente la sua esistenza.

    Il telefono squillò per una decina d volte, lacerando il silenzio ad intervalli regolari, prima di far ripiombare la stanza in un silenzio immobile. Una decina di minuti circa ed il telefono squillò di nuovo, questa volta si alzò ed andò a rispondere.
    – Pronto…- disse con voce roca, disabituata alle parole.
    – …ah, sei tu, ciao…No, non stavo facendo niente di particolare, cosa vuoi che faccia. …No, non é tornata…ma dove diavolo vuoi che vada a cercarla…sì, ho già telefonato là, ma non c’é…sì, ne sono sicuro, a me non mentirebbe. Se fosse veramente facile come dici tu, ma ormai io non so più cosa pensare…e piantala di dirmi che sono patetico e che tanto prima o poi tutto si metterà a posto, vorrei vedere te in una situazione del genere..scusa, so che tu cerchi di darmi una mano ma….ma certe cose….dai lasciamo perdere, abbiamo già discusso per ore degli stessi argomenti e non abbiamo risolto niente…piuttosto, io non me la sento di venire questa sera, vi ringrazio per l’invito, ma…no, neanche alla vigilia di Natale…non lo so nemmeno io cosa voglio fare rimanendo qui, solo come un cretino ad aspettare…lo sai benissimo cosa sto aspettando….Va bene, forse hai ragione tu, non é sbagliato. In fin dei conti stare in compagnia non può farmi che bene, macerandomi da solo non sto risolvendo assolutamente niente, anzi mi sembra di essere diventato idrofobo…va bene, vieni a prendermi tu tra un’ora circa….va bene, grazie, ciao -.
    Si cambiò, continuando a pensare se desiderava veramente fare quanto stava facendo. Non c’era nessuna ragione per cui non avrebbe dovuto o potuto accettare quell’invito, soltanto che non era dello stato d’animo adatto per affrontare altre persone e confrontarsi con loro, nonostante fossero amici discreti e sicuri che volevano solamente aiutarlo.

    Si sentì un po’ impacciato in giacca e cravatta, si sentì disperatamente vuoto senza la sua donna al fianco.

    Si sedette di nuovo sul divano ad aspettare.

    Il campanello alla porta di ingresso suonò due volte.

    – Arrivo! – gridò.
    Prese il cappotto.
    – Ma sì – sentenziò definitivamente – un poco di compagnia non può che giovarmi, magari riesco anche a divertirmi – ma si senti più triste di prima.

    Aprì la porta:
    – Ciao, mi fai entrare, fa freddo qui fuori…- disse lei.
    – Ho tante cose da dirti, se vuoi ancora ascoltarmi…- e gli appoggiò la testa al petto.
    La fece sparire tra le sue braccia e baciandole i capelli bagnati le sussurrò:
    -Entra, ti stavo aspettando -.

    Carlo

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