3 dicembre 2024

Ultimo banco 222. Cose memorabili

Un mese fa ho partecipato alla Fiera del libro di Francoforte. Al di là dell’intervento che ho tenuto in Fiera sul perché abbiamo bisogno dei classici, ho potuto incontrare i lettori in due eventi esterni in occasione dell’uscita del romanzo L’Appello in tedesco, in una scuola e in un centro culturale. Le memorie vive di quelle ore mi tornano in mente e mi chiedo se raccontarle possa servire a qualcuno.

Chi scrive deve sempre passare tra Scilla e Cariddi: da un lato il rischio di occuparsi troppo dell’io dimenticando il mondo e dall’altro quello di occuparsi troppo del mondo dimenticando l’io. Solo la relazione e tensione tra io e mondo aiuta a conoscere e amare di più la realtà, e rende un’esperienza, anche minuta, universale, cioè capace di unire cose e persone. Chissà che questi fatti, anche dopo un mese (il “distante” rimane “istante” solo in base al livello di intensità della verità toccata), non risuonino anche in voi, cari lettori. Se li racconto è perché per me sono Memoria, cioè, nel mito greco, la madre delle Muse e non il passato o un archivio dati, come la intendiamo oggi, ma un presente che genera e non passa mai, e che, ricordato, produce la stessa serotonina (ormone della felicità) di quando viene vissuto, energia rinnovabile e sempre disponibile. Solo di questa Memoria la Musa può esser figlia.

E voi di cosa fate Memoria oggi? Provando a rispondere scoprirete dove è per voi la Musa, la vita che non muore, ispirazione e gioia a comando. Comincio io.

“Quando nell’ultima settimana vi siete sentiti pieni di vita?” ho chiesto ai ragazzi presenti all’incontro nella scuola tedesca, una domanda comprensibile in qualsiasi lingua e latitudine. Un simpatico 13enne, di nome Max, ha risposto, con il volto luminoso: “Quando ho ricevuto un bel voto nel test di scienze. E non tanto per il voto ma perché è stata la conferma della cosa che mi appassiona di più: studiare i misteri dello Spazio”. Max aveva appena descritto il senso della scuola: scoprire ciò che ci rende vivi incontrando quello che nel mondo desta stupore, ci tocca, ci ispira. Quando un ragazzo ha 8 in scienze e 4 in latino gli serve un insegnante privato di scienze non di latino, perché, come Max, è in quell’ambito che creerà e quindi crescerà, non a caso crescere e creare hanno la stessa radice linguistica.

Poiché scuola è ovunque si vada a cercare ciò che non muore, dopo l’incontro mi sono poi diretto dove, per come sono fatto, trovo “scuola”: il museo Städel. Lì mi aspettava, senza che io lo sapessi, uno dei quadri che amo di più. L’anno scorso ero stato ad Amsterdam per la più grande mostra mai realizzata sul pittore olandese Vermeer, ma mancava proprio questo quadro. E me lo ritrovo lì, come una grazia. Si tratta del Geografo, dipinto tra il 1668 e il 1669, anni in cui Amsterdam è il centro del mondo e lo sviluppo della cartografia il segno della sua vivacità culturale e commerciale. Nel quadro c’è un uomo chino su una carta: la sua mano destra, sospesa a mezz’aria, tiene un compasso, mentre la sinistra, contratta su un libro, regge il peso del corpo. Una luce magica attraversa la finestra e investe il volto dell’uomo che, sorpreso, rimane sospeso nel tempo e nello spazio, fuori dal tempo e dallo spazio. Il quadro è infatti una specie di annunciazione profana, cioè quando l’angelo della realtà ci rivela la nostra vocazione e unicità. Il geografo sta cercando di “afferrare” il mondo con i suoi mezzi (la carta, il compasso e il libro), ma il mondo resta inafferrabile e, con la sua luce inesauribile e sorprendente, torna a stupirci, chiamandoci a una conoscenza che dipende dall’amore e non dal potere. Non c’è infatti duraturo aumento di conoscenza di un pezzo di mondo che non sia preceduto da un aumento di amore per quel pezzo di mondo, e quell’amore è causato sempre dallo stupore. L’amore non acceca, quella è la passione o l’innamoramento, l’amore invece ci vede benissimo, infatti solo chi ama ri-conosce (conosce sempre di nuovo) chi e cosa ama. Lo stupore genera amore e l’amore conoscenza, e la conoscenza nuovo stupore: il circolo virtuoso e gioioso dell’esistenza (stupore-amore-conoscenza). Quel quadro mi ricorda chi sono e che ci sto a fare qui. Potrebbe sembrare un incantesimo lanciato sulla vita che è spesso opaca e ripetitiva, ma l’arte esiste proprio per questo: ricordarci che la vita è gioia e siamo noi che dobbiamo smettere di tradirla e di tradirci inseguendo illusioni e menzogne.

Ne ho avuto conferma quando, di sera, ho incontrato i lettori tedeschi. Mentre, come il geografo, cercavo di mettere in ordine il mondo con le mie parole, la mia attenzione è stata attratta, come la luce che sorprende l’uomo nel quadro, da una un’anziana signora che, per tutto il tempo della presentazione, mentre ascoltava, si prendeva cura del marito in carrozzina: gli aggiustava la giacca contro il freddo, gli asciugava la saliva, gli dava una carezza… Alla fine dell’incontro una signora in fila per le dediche mi ha detto: “Per Otto”. Le ho chiesto chi fosse Otto e lei mi ha risposto “Mio marito, ma non è in fila con me”. Avendola riconosciuta come la signora che si prendeva cura del marito, le ho scritto: “A Otto, un uomo molto amato”. Lei, commossa, mi ha confidato che tutte le mattine lui le dice che è stato fortunato a trovare la donna migliore che gli potesse capitare, e lei gli risponde: “Anche io”. Tutti ci siamo fermati e, investiti da una luce simile al quadro di Vermeer, abbiamo sentito che volevamo un amore così.

Più tardi, vagando per la città e pensando ancora a quella coppia, mi sono ritrovato sul famoso Eiserner Steg, il ponte di ferro che, con alterne vicende, collega dal 1868 il centro ai quartieri oltre il fiume Meno. Una gigantesca scritta in greco svettava sul ponte. Che ci faceva lì? Qualche anno fa un artista ha voluto che in cima fosse ben visibile un verso dell’Odissea: “Navigando sul mare colore del vino verso genti che parlano altre lingue”. Ho attraversato il ponte (Omero, in questo verso, chiama il mare con uno dei suoi nomi greci: pontos, termine che ne indica la capacità di fare proprio da “ponte” tra terre e tra uomini) e, vicino ai tanti stranieri che lo attraversavano, ho sentito che Omero aveva ragione: siamo tutti compagni di viaggio nello stesso mare della vita e con una meta comune: casa.

“Fiera” significa giorno festivo, e così è stata per me quella di Francoforte: una festa di incontri, in cui il mondo mi ha chiesto ancora una volta di tornare a stupirmi, per amare di più e conoscere di più. Che altro ci sarebbe da fare sulla Terra? Che altro da ricordare in una vita?

Corriere della Sera, 2 dicembre 2024 – Link all’articolo e ai precedenti

Una replica a “Ultimo banco 222. Cose memorabili”

  1. Narcy ha detto:

    “Poiché scuola è ovunque si vada a cercare ciò che non muore”

    Bellissimo !
    Grazie per le sempre stimolanti e intense riflessioni.

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