Ultimo banco 163. Caro Manzoni
ti scrivo durante le ore di tema dei miei ragazzi. Mi è venuto in mente di farlo perché mentre lavorano sto leggendo un libro che racconta la tua vita (Il cuore è un guazzabuglio di Eleonora Mazzoni, ma mi incuriosisce anche La correttrice di Emanuela Fontana) e ieri sera ho letto il divertente volume Paper Manzoni con una storia ispirata alla tua biografia, seguita dai Promessi Paperi, fumetto che avevo letto da bambino.
È il tuo anniversario: a 150 anni dalla morte essere ancora così vivo non è da tutti. Hai lottato vent’anni per creare il tuo capolavoro, mentre i miei studenti in sole tre ore devono rispondere a questa traccia impossibile: “Perché sono venuto al mondo?”. A un certo punto in classe ho sentito “il” silenzio. Rarissimo, è quello che gli umani fanno quando sono impegnati in grandi creazioni e resta loro solo il respiro. Stanno infatti ingaggiando la lotta con una di quelle domande che qualcuno ha definito “irrispondibili”, le uniche che ci fanno respirare di più e crescere, infatti affrontandole testa e cuore si rompono, come accade alle fibre muscolari dopo esercizi impegnativi: proprio questo le rinnova e accresce.
Anche tu, segnato più volte dal dolore, avevi una domanda “irrispondibile”, che campeggia dalla prima (“La Historia si può deffinire”) all’ultima pagina (“Il sugo di tutta la storia”) del tuo libro: che cosa guida la storia? Il caso, gli uomini o Dio? Domanda “irrispondibile”, da capolavoro. La tua risposta?
Ti confesso che noi due ci siamo amati tardi. A scuola era stato impossibile a colpi di schede sui personaggi, di riassunti dei capitoli e di paura delle interrogazioni. A 15 anni l’entusiasmo della lettura si spense: qualsiasi cosa, “fatta a pezzi”, muore. Ci siamo ritrovati però nella stagione degli amori: l’estate precedente l’anno scolastico in cui avrei letto il tuo romanzo con la mia prima classe di superiori. Non potevo più scappare e l’ho letto integralmente, con una gioia che non credevo possibile e che da allora si rinnova a ogni rilettura.
La tua storia costringeva il cuore e la mente a rompersi e crescere. Scoprivo la connessione reale tra piccolo e grande, tra la storia di due semplici innamorati e la Storia di tutti gli uomini, trovavo nelle tue pagine un effetto farfalla narrativo per cui la storia di Lucia e Renzo fa la Storia: tutto è connesso, in orizzontale e in verticale. La storia è un campo in cui grano e zizzania (erbaccia che imita la spiga ma è velenosa) crescono insieme, indistinguibili se non al momento del raccolto, un intreccio di male e bene di cui il nostro cuore è l’origine.
Nel tuo capolavoro emergono così quei tre tipi di felicità che tutti noi cerchiamo: piacere, tranquillità, vocazione. I primi due, ricerca del piacere o del quieto vivere, hanno rispettivamente in don Rodrigo e don Abbondio fulgidi esponenti, antagonisti infatti del terzo tipo, che nasce dalla vocazione che spinge a creare una vita più grande, mai a scapito degli altri. Questa è la felicità cercata, con continue cadute, da Renzo e Lucia, Cristoforo, l’Innominato, Gertrude… e da tutti i personaggi “inquieti” del romanzo. Queste tre felicità creano infatti tre tipi umani: ingordi/annoiati, pigri/paurosi, ardenti/lottatori. Solo il terzo tipo di ricerca mette in movimento: don Abbondio non si muove mai da casa, don Rodrigo solo quando lo stana la peste, invece Cristoforo, l’Innominato, Gertrude non finiscono dove hanno cominciato, e Renzo e Lucia devono andar via e “accasarsi”, paradosso, lontano da casa. Il tuo romanzo rivela la legge della vita: chi non “diventa” muore, per vivere da vivi bisogna rischiare la vita.
Nell’ultimo capitolo i due giovani, ormai attempati, ricordano le loro vicende e provano a trarne quello che tu definisci “il sugo della storia”: Renzo ammette di aver ricevuto una lezione dai guai in cui si è messo e Lucia gli risponde, con ironia, che lui se li è cercati, mentre lei ci è finita senza alcuna colpa se non quella di aver voluto amare lui. La risposta alla domanda “irrispondibile” non è astratta, ma nella relazione dei due protagonisti, sposi: vivere è esporsi al rischio di agire, e la storia la fa la libertà umana a cui è dato scegliere se cercare il potere o l’amore. Grano e zizzania crescono insieme, sta a ognuno scegliere quale parte del campo coltivare: quella del potere (dominare e usare il mondo e gli altri) e del quieto vivere (che permette al potere di affermarsi), la zizzania che avvelena, o quella dell’ardore del desiderio, il grano che farà pane per altri.
Dio, apparentemente assente, lascia la storia in mano agli uomini, dando a ciascuno il tempo e la possibilità di scegliere: indimenticabile, alla fine di tutta l’avventura, il faccia a faccia di Renzo e don Rodrigo privo di sensi, in cui al primo è chiesto di perdonare il nemico e al secondo di chiedere perdono. Che cosa succede nel loro cuore tu non lo dici, lo sa solo Dio, ma porti sempre i personaggi su questa soglia, la scelta tra grano e zizzania, verità e menzogna, vita o morte: la storia è la trama di queste scelte, così come tutta la vicenda è innescata dal capriccio di un uomo (don Rodrigo) e dalla paura di un altro (don Abbondio).
Questo “sugo” invita generazioni di studenti a confrontarsi ancora con l’enigma dell’essere al mondo: qual è il mio destino? Farlo, questo “sugo”, ti è costato quei 20 anni di lavoro che si sentono in ogni riga. Mentre ti scrivo guardo i miei studenti, chini sulle loro carte e quindi sulla loro carne, immersi in una cultura che, disincarnando corpi e cervelli, li allontana dal peso della libertà, dal rischio di avere e coltivare un destino. Stanno piantando, con la penna, nel loro cuore, il seme di una domanda “irrispondibile”: perché sono al mondo? Solo così potranno scegliere se essere accesi o spenti, muoversi o restar fermi, esser “pro-messi”, che poi vuol dire “mandar avanti”, e quindi “rischiare”, come i tuoi sposi, o “di-messi”, trascurarsi, ritirarsi, essere esclusi. E solo se non baratteranno il loro destino irripetibile con il potere o il quieto vivere, potranno essere vivi da vivi, e magari anche da morti. Come te, caro Manzoni, che non hai mai rinunciato a cercare risposta a tutto il dolore che ha segnato la tua vita. E lo hai trovato in una coppia di sposi. Grazie.
Corriere della Sera, 30 maggio 2023 – Link all’articolo e ai precedenti
Caro Prof, mi ripenso, giovanissima, la mia prima classe alle superiori, intenta a rileggere un romanzo considerato un peso mortale al ginnasio. Sono dalla parte opposta, non più studente, ma prof., e quel romanzo mi sta rivelando a me stessa, prima di tutto. Non potevo capire, a15 anni, quanto la fede vissuta nella realtà e trasmessa con l’esempio fosse risposta non solo per chi scrive, ma per ognuno di noi. Di fronte alle vicissitudini della vita siamo soli a dire il nostro sì, come Lucia, ma poi Lui ci viene incontro e ci apre al tu, al bene, tramite un incontro che ci cambia. In quel momento ( stavo vivendo una delle esperienze più drammatiche che una giovane moglie che sta attendendo di diventare madre può provare ) le parole nel romanzo hanno spostato da me il macigno che mi opprimeva: “quello che accade è per prepararci ad un bene più grande!” Lucia si fida, avere fiducia, avere fede in Dio, negli uomini, perdonare.
Ora, alla soglia della pensione, rileggo con gratitudine quello che i due giovani sposi hanno imparato e come Lucia rinnovo l’amore verso la persona che Dio mi ha dato di incontrare, nonostante, soprattutto per le fatiche e le tribolazioni. Grazie, vecchio, ma sempre giovane Manzoni. Grazie, dinamico prof2.0 che ci richiami al bene, al bello, al vero!