Ultimo banco 95. Invito a cena con Dostoevskij
Era un torrido pomeriggio di luglio del 1992 quando lo incontrai la prima volta. Avevo 15 anni e mi aggiravo per casa in cerca di qualcosa da fare. Neanche la televisione poteva lenire la mia noia, e così mi aggrappai a ciò che negli anni ‘90 era ancora un salva-gioia: i libri. Stavo percorrendo con lo sguardo il dorso dei volumi che avevamo in casa, quando in lettere d’oro su cartone blu vidi: «Delitto e castigo». Aprii la prima pagina, un’edizione ingiallita di inizio secolo e fittamente stampata che ho ancora, e lessi: «All’inizio di un luglio straordinariamente caldo, verso sera, un giovane scese per strada dallo stanzino che aveva preso in affitto in vicolo S., e lentamente, come indeciso, si diresse verso il ponte K». La coincidenza con il luglio torrido, la curiosità per il giovane (perché era indeciso?) e le iniziali per indicare luoghi da non svelare, mi portarono a sedermi – le parole avevano già avuto la meglio sul corpo – e a leggere di un ragazzo di nome Raskòl’nikov che si appresta a commettere un omicidio. In pochi istanti ero stato catapultato da un certo Dostoevskij, l’11 novembre ricorrono i 200 anni della sua nascita, in una trama sinistramente coinvolgente. Così inizia la mia storia con lui, come raccontavo qualche sera fa a degli amici che mi avevano invitato a cena proprio per parlare di Dostoevskij. Ma perché volevano rovinarsi la squisita cena a quel modo e perché proprio lui mi catturò a 15 anni (divoravo libri fantasy e fumetti, non certo mattoni russi)? Perché certi autori ci prendono per mano e ci accompagnano per tutta la vita?
Amiamo gli artisti che ci svelano la ricerca che noi stessi, a nostra insaputa, stiamo facendo. Ogni opera d’arte è il tentativo dell’autore di darsi una forma dando una forma a qualcosa. Il nostro vivere non va verso la morte ma verso una nascita sempre più piena, siamo esseri incompiuti e chiamati a nascere ogni giorno di più, per questo non possiamo fare a meno della bellezza, l’ostetrica della vita rinnovata. Alcune opere ci fanno nascere di più, perché l’autore si è (ri-)creato, (ri-)creando, nel modo di cui abbiamo bisogno proprio noi. Per questo non ho più lasciato Dostoevskij, perché il suo sguardo sulle cose era quello di cui avevo e ho sempre bisogno: la passione per l’uomo e quella per Dio. Lo scrittore russo non esclude mai il divino dalla realtà, nella quale il divino si mostra a chi ha occhi attenti: Dio si manifesta nel quotidiano solo a chi lì lo cerca. Inoltre nei suoi romanzi la presenza delle domande che chiamo «irrispondibili» mi faceva sentire preso sul serio nelle mie inquietudini, perché è proprio l’inquietudine (il gioioso dramma della libertà che mi porta a rileggere spesso la Leggenda del grande inquisitore contenuta nei Fratelli Karamazov) ciò che rende l’uomo un uomo: che ci devo fare con questa vita? Mi affascinava che in me ci fossero così tante cose e che qualcuno mi aiutasse a vederle e abitarle, senza dover fuggire o sentirmi strano: io volevo vivere all’altezza di quelle domande, anche se irrisolvibili, a costo di tenerle vive sino all’ultimo istante, perché quel domandare è già pregare, ricevere, trovare. E poi amavo i suoi personaggi, così imprevedibili e contraddittori: liberi. Anche io ero corpo, cuore, ragione, desideri… e non riuscivo a mettere insieme «tutte queste cose», ma per la prima volta qualcuno mi raccontava che l’uomo è questa complessità, una complessità che non potrà mai armonizzare se non grazie a una presa di posizione radicale. Come la esprime padre Zosima nei Karamazov: «Amate l’uomo anche nel suo peccato, giacché proprio questo è l’amore divino e la forma suprema dell’amore sulla terra. Amate l’intera creazione come ciascun granello di sabbia. Amate ogni fogliolina, ogni raggio divino. Amate gli animali, amate le piante, amate ogni cosa. Se amerete ogni cosa, in ogni cosa coglierete il mistero di Dio. E una volta che lo avrete colto, lo comprenderete ogni giorno di più. Arriverete, finalmente, ad amare tutto il mondo di un amore totale». Questo è il mio inno di libertà.
Grazie a Dostoevskij so che la libertà è il mio compito, posso dare alla vita la forma dell’amore o quella del potere, moltiplicarla o dominarla, come fanno i suoi personaggi in base a quel che scelgono: o Dio (ricevere vita per darla agli altri) o l’orgoglio (darsi la vita togliendola agli altri). Ogni pagina mi dice chi sono: voglio amare ed essere amato, infinitamente, ma non so come fare o non ci riesco, eppure, non rinunciando a questo desiderio impossibile, trovo l’Amore e l’amore dove non cercavo o dove non sospettavo che fosse, come vidi accadere, quindicenne, all’assassino e alla prostituta di Delitto e castigo: «Li aveva risuscitati l’amore, il cuore dell’uno racchiudeva infinite fonti di vita per il cuore dell’altro». Mi fa sperare. Ha 200 anni, ma è più vivo di me.
Corriere della Sera, 8 novembre 2021 – Link all’articolo e ai precedenti
Porca vacca…!!!!
Non capita spesso di leggere una impressione così precisa e così corrispondente alla propria.
Anche per me la lettura de La leggenda del Grande Inquisitore è un appuntamento ricorrente. Ricordo che la scoprii leggendo la risposta di Massimo Fini ad un lettore che gli chiedeva una definizione di democrazia.
In realtà è una lettura che va molto oltre, mi fulminò! Ha una potenza senza pari.
Spesso mi sono chiesto come lui abbia fatto a concepirla. Grazie!
Sono come le scoperte scientifiche. Quel testo è come la scoperta della relatività.
Caro Alessandro,
ammiro tutto l’impegno e la passione che dedica alla cura di noi giovani, e la ammiro tantissimo. Sono felice che lei abbia scritto un articolo per il GRANDISSIMO Dostoevskij, maestro di una scrittura che rende la storia più viva del lettore stesso, e
lo ravviva a sua volta.
Ho scritto tutto ciò che vorrei che lei sappia in una email diretta all’indirizzo segnato su questo sito web per i contatti. Vi ringrazio se la leggerete, e le rinnovo i complimenti per tutto ciò che è per questo mondo, a dimostrazione che non tutti sono “morti dentro” e che ci sono persone come lei. Che c’è speranza.
Grazie, cara Angelica, per il tuo entusiasmo e il tuo sostegno.
Caro Alex,
Mi sono accorta nella mia vita che non tutti i maestri sono da accettare… Ci sono anche i cattivi maestri che insegnano bene ma offrono esempi sbagliati e da cui è meglio stare alla larga… Lupi travestiti da agnelli che sbranano pecorelle indifese.
Quello di cui abbiamo bisogno è di verità, la più grande forma di carità… Di maestri autentici che ti accompagnino fedelmente nel tuo percorso di crescita.
Ho 20 anni e mi chiamo Federica e proprio per questo, mi rendo conto che la fedeltà e l’autenticità sono l’arma vincente, il discrimine tra un bravo e un cattivo maestro.
Io ho tanta paura dei mercenari… Vorrei proteggermi da questi lupi mannari
Anche i tuoi romanzi sono come scoperte scientifiche . complimenti!trovo i tuoi romanzi particolarmente toccanti .Non saprei ma quando ti leggo mi sento viva,tutto diventa vivo anche una conchiglia.ciao
Oggi, che sono un papà, inizierò a leggere un’opera di Dostoevskij. Grazie.
Grazie mille, Alessandro!
Ho appena concluso con i miei ragazzi un Laboratorio creativo dal titolo “Asini dalle matite colorate”, scritto da don Marco POZZA.
Dostoievskij è l’autore preferito di Rebecca (Bebè), protagonista del racconto.
Condividerò il tuo post sulle Classroom.
Buona giornata!
Caro Alessandro D’Avenia,
le scrivo in onore dei 200 anni del Grande Maestro, che si celebrano oggi. Ho deciso di contattarvi perché il leggere Dostoevskij, Leopardi e tanti altri dei miei idoli, mi ha fatto capire che ogni cosa che sceglierò di voler fare sarà in nome della poesia, una poesia che vorrei non fosse soltanto mia, ma che possa essere parte anche della vita degli altri, nella loro ricerca del senso che vogliono e vorranno dare alla loro vita.
Ho un sogno, e volerlo realizzare è ciò che, ogni giorno, mi rende più viva.
Ma ciò che davvero vorrei è conoscere la sua opinione sulla mia poesia, come vi fa sentire e se vi emoziona, se è piacevole la sua lettura. Significherebbe davvero tanto per me.
Vi ho inviato una e-mail con il file word, e spero con tutto il cuore che abbiate la possibilità di leggerlo. Vi sarei davvero tanto grata.
Presentarsi è, più di ogni altra cosa, denominare. Dare una definizione per ogni singolo aspetto di sé stessi. E ciò che riassume tutti quegli aspetti, ciò che distingue un individuo da un altro, è il nome. Ma il nome basta per essere, esistere? Avere semplicemente un nome, ci permette di avere un’identità?
Io sono qui, oggi, e le scrivo, perché non ho intenzione di parlare di me. Ho intenzione di donarle me stessa. Perché come Leopardi e Dostoevskij si sono donati a me, e sono scolpiti nel mio cuore, ho sentito il bisogno di fare lo stesso. Questo perché ho un sogno: donarmi al mondo. E farlo scrivendo.
Questo è ciò di cui ho più prezioso al mondo, e che vorrei diventasse prezioso per il mondo. Vorrei che, un giorno, in un lontano futuro, qualcuno come me leggesse tutto ciò che avrò creato, sentendosi amato e compreso, con la voglia e la speranza di fare lo stesso.
Le chiedo per favore di leggermi dentro, e farmi sapere cosa avrà scoperto.
Le scrive Angelica Di Madero, 14 anni, dalla provincia di Napoli
Sua grandissima ammiratrice, che la ringrazia dei libri e degli articoli che le hanno fatto amare il suo più grande idolo più di quanto non lo amasse già: Giacomo Leopardi
Grazie di esserci, per noi giovani e per questo mondo
Vi ringrazio se avrete la possibilità di leggere ciò che vi ho inviato
Buona giornata
Salve Alessandro. Sono Federica Salvan che tante volte scrive, anche email che presto, riprenderò.
Le parole che usa per il Nostro narratore russo sono imponenti come sempre.
Ancora imparo ed esprimo linguaggio che trasuda di corporeità.
Ringrazio vivamente perché ho bisogno di trovare freschezza nella trascendenza che da Dostojieskij promana.
E’ la Bellezza che innalza in cadute mie esistenziali, allontana algofobia. Federica con cura filosofica