Ultimo banco 39. Il portafoglio dell’alunno
«Noi socialisti dobbiamo essere propugnatori della scuola libera, lasciata all’iniziativa privata e ai comuni. La libertà nella scuola è possibile solo se la scuola è indipendente dal controllo dello Stato», tuonava Antonio Gramsci sul Grido del Popolo nel 1918, parole purtroppo ancora valide un secolo dopo. Ogni anno uno studente ci costa 7mila euro, una retta di lusso che non corrisponde alla qualità del servizio: dove va a finire il denaro? Si disperde in rubinetti che non c’entrano con lo studente e le sue scelte. Perché? Perché repubblica, parola assai ripetuta e celebrata di recente, troppo spesso non significa «bene del popolo» ma «di una parte» (partito). Sovente, infatti, da noi, ciò che è pubblico, anche se non funziona bene, rimane intoccabile per interessi consolidati (denaro pubblico e quindi consenso elettorale), impedendone il rinnovamento. In 20 anni di lavoro da docente ho ascoltato decine di false promesse, riforme bloccate, emergenze irrisolte. Un solo esempio: dal 1999 ci sono stati solo tre concorsi di reclutamento docenti (per legge dovrebbero essere triennali, in quasi tutti i Paesi europei sono annuali) e nell’ultimo anno sono quasi 150mila i supplenti (costano meno) su 850mila cattedre. Mali di queste proporzioni non sono la fisiologia di un sistema complesso, ma una patologia, da terapia intensiva, colpevolmente dimenticata: serve un progetto superiore ai partiti, con obiettivi improcrastinabili che vadano oltre il polimetilmetacrilato (noto come plexiglas). Ma per un progetto comune occorre un fine comune: stabilizzare un sistema che permetta agli insegnanti di poter dare allo studente il meglio per il suo percorso di vita. Come?
Ci aveva provato Luigi Berlinguer, ministro dell’Istruzione dal 1996 al 2000 del governo Prodi, che con la legge 62 inaugurava l’incompiuta autonomia, mutando la «Scuola di Stato» in «Sistema nazionale di istruzione», fatto di «Scuola pubblica statale» e «Scuola pubblica paritaria»: «In Italia siamo fermi alla confusione che scuola pubblica sia uguale a scuola statale. È tempo di chiudere questo conflitto del ‘900: scuole statali contro private. Non esiste, fa perdere tempo e risorse. Basta guardarsi in giro: l’insegnamento è pubblico, ma può essere somministrato da scuole pubbliche, private, religiose, aconfessionali in una sana gara a chi insegna meglio». Così diceva Berlinguer, democratico di sinistra, nel 2005 su Repubblica, evidenziando ciò che sta alla base di una scuola moderna e democratica: qualità e libertà di scelta. Nel resto dell’Europa infatti lo Stato copre i costi delle scuole con i requisiti necessari (niente diplomifici e controlli costanti), indipendentemente da chi le istituisca: sono pubbliche le scuole rispondenti a questi requisiti e realmente accessibili a tutti. In Europa infatti i sistemi di istruzione seguono da decenni modelli senza monopolio e a libera concorrenza «sorvegliata»: lo Stato verifica la qualità e la non arbitrarietà dell’insegnamento. Per rinnovare la scuola anche da noi occorre liberarla dal monopolio di potere e restituirla all’iniziativa dei cittadini, come in tutta Europa: persino i Paesi post-comunisti hanno la totale parità di scuole statali e non; in Belgio sono a carico dello Stato gli stipendi di tutti i tipi di scuole; in Spagna tutte le spese; in Germania gli stipendi per l’85% e le spese per il 100%; in Francia dipende dal contratto liberamente stipulato. Da noi la scelta è di fatto determinata dalle condizioni economiche di partenza: la scuola non è ascensore sociale come dimostra Federico Fubini in La maestra e il camorrista: perché in Italia resti quello che nasci. Come fare? Concentrandosi sullo studente. Dario Antiseri e Anna Alfieri, per esempio (ma le soluzioni possono anche essere altre), propongono, in Lettera ai politici sulla libertà di scuola, che lo Stato non finanzi a pioggia le scuole, ma fornisca (come accade già in tanti Paesi) ogni alunno di un portafoglio da spendere nella scuola che vuole. La concorrenza «sorvegliata» spingerebbe le scuole a utilizzare al meglio i fondi, ridarebbe protagonismo culturale e di mestiere agli insegnanti e nessuno studente sarebbe ostacolato da svantaggi economici e sociali, anzi questo sistema permetterebbe proprio a chi è meno fortunato la libertà di scelta. Tutto ciò senza aggravi economici, anzi gli autori calcolano un tetto di 4mila euro per alunno, anziché i 7 attuali, risparmiando 17 miliardi l’anno, utili per: strutture/tecnologie inadeguate, precariato patologico, classi pollaio, reclutamento bloccato, stipendi tra i più bassi in Europa, orientamento assente, livelli altissimi di burn-out tra docenti e di abbandono tra studenti.
Il potere ostacola l’iniziativa dei cittadini perché gli interessa perpetuarsi: i risultati sono palesi. Alla scuola non serve il polimetilmetacrilato, ma una gestione della Re – veramente – pubblica.
Corriere della Sera, 8 giugno 2020 – Link all’articolo e ai precedenti
Come non essere d’ accordo? Le faccio una domanda provocatoria: se le proponessero di ricoprire il posto di ministro della pubblica istruzione, lei accetterebbe?
Parole sante come sempre le sue Prof! Purtroppo in Italia sono i sempre i controlli (e i controllori) che mancano. Ci sarebbero meno furbetti e ruberie varie. Ma si sa…i controlli e controllori sono scomodi.
Buona giornata e grazie per questi suoi articoli, sempre motivo di riflessione!
Caro Alessandro,
hai illustrato egregiamente quello che in diritto costituzionale è definito tecnicamente principio di sussidiarietà orizzontale e, a seguito della L.cost. n. 3 del 2001, è stabilito all’art. 118, ultimo comma, della Costituzione: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”, ossia gestione della “Re pubblica” da parte di privati che dispongono delle risorse necessarie, sotto il controllo della pubblica amministrazione, che deve assicurare il perseguimento dell’interesse pubblico e non (solo) di quello privato del soggetto gestore.
In altri termini, la gestione della “re”, proprio perchè “pubblica”, compete a tutti, purchè assistita dalle necessarie garanzie, che devono essere prestate dall’Amministrazione, secondo buon andamento e imparzialità (art. 97 della Costituzione).
Sulla base di questo principio il Legislatore potrebbe tranquillamente (anzi, doverosamente) attuare quanto Tu proponi, ma – come si sa – una cosa sono le regole e un’altra è applicarle e rispettarle.
Ma noi non perdiamo la speranza.
Non sono assolutamente d’accordo.
La ammiro come scrittore ma come politico no.
Mi sembra che ci siano tanti preconcetti e luoghi comuni e un unico punto di vista: quello di chi la scuola statale NON la conosce.
Peccato.
Riportare tutto sempre alla solita contrapposizione non serve. Io non l’ho fatto. Ho studiato e insegnato nella scuola statale e la conosco bene. Teniamo tutto così com’è, che va benissimo. A noi la realtà non dice e non deve dire più niente. Peccato.
No, proprio no, caro collega!
Nessuno dice di tenere tutto così com’è! L’uomo tende all’infinito e ha desiderio di migliorarsi e migliorare sempre ma la scuola statale è LA SCUOLA! Fatta di persone, fatta di esseri umani che lavorano e si impegnano per migliorarsi e migliorare gli altri! Lavoro da qualche anno in una scuola statale “di frontiera”, una scuola “difficile” dove l’Inclusione è la parola d’ordine! Si cerca di coinvolgere i ragazzi con progetti, di evitare la dispersione, si organizzano corsi di alfabetizzazione. Prima ho lavorato per anni in un ottimo liceo paritario, so di cosa parlo! Mi sembra che lei abbia tanti preconcetti, le scuole paritarie spesso hanno la presunzione di funzionare meglio, di essere migliori ma la libertà è minore di quella che si vive nella scuola statale che NON è dipendente dal controllo dello stato! Ma è fatta di esseri umani che si spendono con entusiasmo e con esperienza per migliorare anche quei ragazzi per cui la scuola è un’opportunità!
Nella paritaria spesso la libertà manca.
Ma a volte dal di dentro non lo si capisce!
Non mi sembra che la statale la conosca, forse non così bene come crede!
O forse ha una piccola esperienza che le dà la presunzione di conoscerla?
E, guardi caro collega, non ho mai detto di desiderare tener tutto com’è, dalla Gelmini in poi hanno smantellato la scuola (non solo quella statale) in modo vergognoso! E la frase “A noi la realtà non dice e non deve dire più niente. Peccato” poteva evitarsela perchè non mi rappresenta e non penso rappresenti lei quindi è un giudizio piuttosto ingiusto di una persona che non è aperta al confronto… nuovamente peccato!
Ho risposto specularmente al suo intervento proprio per farle sentire come mi sono sentito io al suo giudizio così certo su di me. Ha funzionato. Ora si può cominciare a dialogare.
Anche io, cara Viola, lavoro in una scuola di frontiera, di quelle dove arrivano coloro che non sono riusciti a percorrere, per diverse ragioni, le strade della scuola “ordinaria”.
Tutto quello che lei fa, lo conosco e condivido lo sforzo e l’impegno, così come la fatica che tutto questo costa.
Io, ora, lavoro in una scuola privata a Lecco, laica.
Concordo con quanto detto da Alessandro e non perché l’abbia detto lui ma perché sono stanco di vedere così tanti ragazzi cadere fuori dai percorsi scolastici.
La mia scuola costa molto meno dei 7 mila a persona. Agli studenti non costa nulla perché regionale e finanziata da comuni lungimiranti che hanno visto la necessità di una scuola nuova.
Nella mia scuola si lavora con gli studenti valutandoli evolutivamente e non con l’astina fissata da test o prove uguali per tutti.
Ognuno viene premiato per quanto porta e migliora. Credimi, i risultati arrivano.
Ma per far questo il dialogo con studenti e genitori diventa costante e mai incentrato sulle valutazioni. Un dialogo aperto è non giudicante.
Ti chiedo, quante scuole si muovono in questo modo?
Quante ragazze e, soprattutto, ragazzi (decisamente bistrattato più del gentil sesso) ho visto rifiorire e tornare ad apprezzare la mia cara matematica…
Un caro saluto a Viola e Alessandro e a tutti coloro che mettono furore nella ragion d’essere della scuola
Interessante quello che ha scritto!
Quanto è vero: nella scuola italiana c’è spreco di denaro, di risorse, di talenti.
E’ un sistema che non agevola nessuno: né insegnanti né studenti.
E’ un sistema che stritola vite, le massacra ripetutamente, senza sosta.
Temo sia questo il guaio più serio: questa patologia è cristallizzata, non un momento di crisi transitorio. No, è una cristallizzazione, una stasi che perdura da troppi anni.
Ci vuole davvero un progetto di ampio respiro che valorizzi tutte le scuole : statali, non statali etc… con controlli sulla qualità della didattica.
Non ci dovrebbero essere conflitti scuola statale vs scuola privata.
Posso capire le motivazioni di chi insegna o studia in quella pubblica (o nella privata), ma ciò non si deve tradurre in conflitti e contrapposizioni tra le diverse realtà scolastiche.
La soluzione che lei cita, dotare ogni alunno di un portafoglio, è idonea.
Il problema potrebbe essere quello della scelta della scuola in un’età molto delicata.
Alcuni ragazzi di 14 anni riferiscono della difficoltà a scegliere una scuola perché, spesso, non hanno idee chiare su quello che vorrebbero fare. Alcuni preferiscono che siano i genitori a scegliere per loro, proprio per la confusione che hanno.
Ci vorrebbe davvero un orientamento scolastico e professionale efficace.
Bisogna parlare di questi temi e lei lo sta facendo: continui così!
La scuola è troppo importante. Non ci devono essere settarismi o interessi di partiti, nessuna realtà ha il monopolio dell’istruzione e tutte dovrebbero collaborare.
Penso anche che, ogni tanto, la politica debba farsi da parte. Queste sono questioni esistenziali di estrema importanza!