Letti da rifare 39. Sfera non basta
«Ma davvero ti piace Wagner? – Certo! Anche se ogni volta che lo sento mi viene voglia di invadere la Polonia!» così risponde Woody Allen a Diane Keaton, in Misterioso Omicidio a Manhatthan, con una battuta definitiva su chi strumentalizza la musica. Non credo sarebbe piaciuta a Platone che nella Repubblica scrive: «Non si introducono mai cambiamenti nei modi della musica, senza che se ne introducano nelle più importanti leggi dello Stato». Per il filosofo la musica era questione politica a tutti gli effetti e per questo censurava alcuni generi, i cui ritmi, parole e danze corrompevano gli animi, soprattutto dei giovani. È sempre andata così nella storia: le novità musicali sono ritenute pericolose da chi teme cambiamenti destabilizzanti. Goethe, mentore di Mendelssohn, vietava al talentuoso pupillo di ascoltare la musica di Beethoven, eccessivamente passionale. Alcuni si tappavano le orecchie in presenza dei cromatismi musicali di Wagner, che forzavano i naturali rapporti armonici della scala diatonica con semitoni che scuotevano oscuramente l’animo. I Beatles scandalizzavano perché avevano tradotto in suoni l’energia dei desideri dei giovani: quest’anno ricorrono i 50 anni del White Album, con le sonorità rivoluzionarie di Helter Skelter o Revolution. I geni artistici vivono e vedono, per primi, parti di mondo e di anima ancora in-visibili e in-vivibili, e riescono a tradurle per la prima volta nel loro linguaggio, rendendole percepibili a tutti, perché l’arte vera ha il dono di rendere abitabile la condizione umana in tutta la sua estensione, dal sottosuolo al cielo. I musicisti che seguono i grandi creatori si inseriscono nei loro filoni aurei fino a esaurirne le possibilità creative, poi qualcuno scova e inaugura una vena nuova. Il nostro è un tempo che musicalmente sta esaurendo filoni di decenni fa, portandoli alle estreme e opposte conseguenze: è il caso anche della musica trap («trap house» è un luogo abbandonato dove si spaccia droga) che mescola rabbia e beat del rap con voci contraffatte e ipnotiche, melodie aggressive e trasgressive, parole astutamente e politicamente scorrette.
Sfera Ebbasta, 24enne re della trap in Italia, smette di andare a scuola a 15 anni, riempie i muri di graffiti col suo nome, fa il porta-pizze e poi l’elettricista. Nel frattempo compone. Ha imparato dal padre, musicista hippie, morto quando lui aveva 13 anni. Una vita in periferia tra canne e noia, cercando di arrangiarsi con l’amatissima madre, e la convinzione di voler fare rap, l’unica cosa che lo risveglia dal torpore di una vita che gli sta stretta. Per i morti di Corinaldo si è tatuato sei stelle sulla testa, dove già aveva il simbolo del dollaro e dell’euro. E adesso che è milionario dice di avere ciò che desiderava: lavoro, soldi e successo. Alcuni adolescenti, che cercano nella musica il modo di segnare il distacco generazionale e il rinforzo per un’identità in formazione, in Sfera trovano i desideri nudi e crudi: potere e piacere. In assenza di orizzonti superiori alla vita materiale l’inno «trappista» (generalizzo, perché la trap ha voci molto diversificate) è meno scandaloso di quanto si creda: se in questo mondo nulla ha senso, non resta che sopravvivere al caos, godendo e dominando. Conosco ragazzi che, pur non vivendo secondo il credo «sferico», lo ascoltano per dire sfacciatamente la verità a un mondo adulto che si riempie la bocca di valori, ma poi non li pratica o fa il contrario; ne conosco altri che invece ne fanno un manifesto per il loro stile di vita, perché vi trovano un orizzonte di felicità; ne conosco altri ancora a cui quella musica fa semplicemente schifo. Allo stesso modo conosco adulti che ascoltano musica classica e cercano le stesse cose che Sfera inneggia. Anche Alex, il 15enne protagonista di Arancia Meccanica, si esalta alla violenza ascoltando Beethoven, che senz’altro non è la causa delle azioni del giovane, da ricercare piuttosto nell’educazione e cultura ricevute, e nelle sue scelte.
Sfera è il mandante della tragedia di Corinaldo tanto quanto Wagner lo è dell’invasione della Polonia. Se non ci affrettiamo a dividere il mondo in buoni e cattivi, perdendo la complessità del reale, magari scopriamo proprio nella musica di Sfera una chiave di lettura dell’oggi. I biglietti da vendere oltre il limite consentito, l’azione pianificata di ladri e/o spacciatori, le consumazioni di alcol da parte di minorenni fino a tarda notte, appartengono a quel «consumismo delle vite» che Sfera canta senza mezzi termini. Prima di scagliarci contro la sua musica, dovremmo chiederci perché i ragazzi la amano? Che cosa ci stanno dicendo? Guardo sempre alla cultura giovanile come uno specchio retto verso la generazione precedente, smascherata con chirurgica precisione dagli adolescenti. La trap di Sfera è coerente con l’odierno consumismo esistenziale, frutto di un’assenza di senso che spinge al ripiegamento su se stessi: cose e persone servono al piacere e al potere. Non esistono orizzonti più ampi dell’istante e del benessere individuale: una vita priva di storia e legami, frammentata, le cui ferite emergono meno sfacciatamente anche altrove.
Rimanendo in casa, basta ascoltare «Cherofobia», presentata quest’anno a X-factor dalla 16enne Martina Attili. «Ansia» è la parola più ricorrente in un testo in cui essere felici diventa una fobia: «Non riesco a vivere senza qualcosa che mi opprime/che mi indichi la fine/perché ho un cervello strafatto di spine». Alcuni adolescenti temono la felicità proposta dagli adulti come una malattia, ne avvertono l’inganno, svelato da «La verità» di Brunori che lamenta l’incapacità di aspirare a qualcosa che stia sopra la pancia, perché «la verità/è che non vuoi cambiare/che non sai rinunciare a quelle quattro, cinque cose/a cui non credi neanche più». E allora ci si lancia nel (disin-)canto dei Thegiornalisti, in un’atmosfera da sera del dì di festa, in cui però la festa, tanto attesa, non c’è stata o è durata un istante, perché «è puttana/questa felicità/che dura un minuto/ma che botta ci dà»; o si può indossare la maschera sprezzante dei Maneskin per celare il timore di non esistere: «quindi Marlena torna a casa, che ho paura di sparire»; o cantare «Io non abito al mare» di Francesca Michielin che, con parole apparentemente acqua e sapone, tira fuori le spine della solitudine delle relazioni, ripetendo: «Voglio vedere se mi stai ascoltando». Se proviamo ad ascoltare ciò che i ragazzi ascoltano, possiamo cogliere cosa desiderano o non hanno la forza di desiderare: dove il desiderio s’annulla, s’ingolfa, si nasconde, s’esalta…
I miei genitori non mi hanno mai obbligato ad ascoltare la loro musica, ma da adolescente la ascoltavo volentieri, anche se poi li prendevo in giro. Ascoltavo quella dei miei fratelli per sentirmi più grande, quella dei coetanei per riconoscermi nel gruppo e infine quella in cui io mi rispecchiavo: come « I still haven’t found what i’m looking for» degli U2, che intercettava il «burning desire» di felicità in cerca di approdo, o come la domanda dolorosa e vera di «Who wants to live forever» dei Queen: «What is this thing that builds our dreams yet slips away from us?» (Che cosa è che costruisce i nostri sogni ma poi ci sfugge?). Sono solo frammentari esempi di una musica che veniva incontro alla mia ricerca, rilanciava il desiderio senza risolverlo, teneva viva e aperta la ferita e mi aiutava a raccontarla, prestando le parole a un io ancora balbettante. Oggi alcuni adolescenti cercano queste parole nei testi di Sfera o altri trapper, ed è lì che dobbiamo ascoltare il loro desiderio. Soldi, piacere, successo, potere, sono per loro la risposta al desiderio umano di infinito: «Rockstar,/due tipe nel letto e le altre due di là/gli amici selvaggi, tutti dentro il privée/fanculo il Moët, prendiamo tutto il bar». Se alcuni adolescenti cercano qui la vita è ora per provocare, ora per smascherarci, ora perché questo è l’orizzonte di desiderio che gli abbiamo indicato. Non serve censurare “a valle” la musica, bisogna risalire alle fonti che dissetano la sete del nostro cuore, per scoprire dove cerchiamo il senso da dare alla vita nostra e loro. Sfera non basta, ma se i ragazzi se lo fanno bastare è anche perché non abbiamo da mostrare un orizzonte di felicità alternativo e attraente.
Il letto da rifare oggi allora può essere dedicare una sera a settimana all’ascolto musicale reciproco: una canzone la sceglie papà, una mamma, una a testa i figli, una anche la nonna/o. Ciascuno la racconta e spiega, gli altri ascoltano senza giudicare, ma ponendo domande, così conoscerà le parole del desiderio dell’altro, e magari qualche sua ferita, debolezza, ricordo, sogno, tenebra. Continuate il giro finché vi va: immaginate che jam-session a alta tensione con Simon&Garfunkel accanto a Eminem, Battisti a Salmo, Chopin a Sfera… Fatene una playlist familiare e ascoltatela. Io lo faccio con ogni nuova classe: chiedo a ciascuno la canzone preferita, compilo la playlist (titolata maccheronicamente in base alla classe: «First A Greatest Hits») che ascolto con attenzione per sondare il cuore di chi ho di fronte: un «appello» musicale. Così la musica diventa gioia, scoperta, scontro-incontro generazionale, relazione: cioè vita. Magari a casa e scuola ce ne fosse di più…
Corriere della Sera, 17 dicembre 2018 – Link all’articolo e ai precedenti
Martedì scorso partedo molto presto per Roma ho ri-visto i cartoni e le coperte dei senza tetto, dormire ai lati della stazione centrale di Milano. Ripercorrendo alla sera tardi, la stessa strada, loro erano ancora li, avvolti nel loro “tutto”. In tutto quello che hanno.
Il mio e il loro giorno era passato, così tremendamente diverso ma per certi versi così uguale.
da “Incontro” di Francesco Guccini
“povera amica che narravi dieci anni in poche frasi ed io i miei in un solo saluto…
E pensavo dondolato dal vagone “cara amica il tempo prende il tempo dà…
noi corriamo sempre in una direzione, ma qual sia e che senso abbia chi lo sa…
restano i sogni senza tempo, le impressioni di un momento,
le luci nel buio di case intraviste da un treno:
siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno…”
Il Natale che viene è un “Incontro” che auguro a loro, a me e a voi tutti. Buon Santo Natale.
Sono d’accordo con lei: non possiamo separare i buoni dai cattivi perché perderemmo la complessità del reale.
Non posso però non notare l’esistenza di due forze contrapposte: quelle del bene e quelle del male. È vero che tutti gli uomini sono un mix di questi due elementi, ma c’è chi si sforza ogni giorno di fare del bene, con eventuali cadute, c’è chi compie azioni malvagie e si pente sinceramente e, purtroppo, c’è chi fa il male senza pentirsi.
Non mi piace fare come i manichei e dividere in modo dualistico i “buoni” dai “cattivi”, ma vedo in campo queste due forze.
È vero che il cattivo è anche un “prigioniero” dal punto di vista etimologico, ma ci sono tante persone che sono “prigioniere”senza fare del male, anzi, operando il bene.
Sicuramente non ci sono risposte semplici a problemi complessi, così come non possiamo dare risposte locali a problemi globali.
Io mi sforzo di capire un’epoca come la nostra, ma non è facile. Mi è venuto incontro un autore che consiglio a tutti (in particolare agli amanti della filosofia) : Michele Federico Sciacca, il filosofo di Giarre.
Vorrei segnalare tre libri che permettono di comprendere meglio il nostro Occidente: “L’oscuramento dell’intelligenza”, “Il magnifico oggi” e “Gli arieti contro la verticale”.
Il messaggio di Sciacca è che quello che stiamo vivendo oggi non è Occidente, ma Occidentalismo, una deriva e degenerazione dell’Occidente. Rappresenta la decadenza e la corruzione di un’epoca e di un contesto sociale, così come l’Ellenismo rappresenta la decadenza dell’Ellade e il Romanismo la decadenza di Roma.
Nel libro: “L’oscuramento dell’intelligenza”, Sciacca mette in luce la perdita di senso dovuta alla negazione del piano verticale (ciò che è trascendente). L’intelligenza dell’uomo ha smarrito il senso del limite, ecco l’oscuramento che Sciacca chiama ” stupidità”. Siamo nell’epoca della “barbarie civilizzata”( per utilizzare un’efficace espressione di un suo discepolo: il filosofo Pierpaolo Ottonello).
L’uomo rifiuta il limite, perde il senso dell'”alterità per amore”, per addentrarsi nei meandri dell'”egoita’ per odio”.
Uno dei problemi della nostra civiltà (sempre che si possa chiamare così, dice Sciacca) è il benessere inteso in modo meramente materiale.
La civiltà tecnocratica, con i suoi miti e riti, opera una riduzione dell’umano e dell’uomo inteso come massa di individui anonimi e spersonalizzati.
Il pensiero di Sciacca si può prestare a fraintendimenti. Lui non è contro al benessere materiale o alla tecnologia, ma contro l’appiattimento di tutto al piano orizzontale, quello dell’immanenza.
Il suo messaggio è di speranza: denunciare la negatività per recuperare tutto il positivo del mondo e delle varie epoche!
Cara Isabella, grazie per gli ottimi consigli. Leggerò qualcosa. Auguri!
Questo argomento mi chiama molto in causa, come insegnante di preadolescenti e di adolescenti. Hai ragione, Alessandro, Sfera non basta a questi ragazzi. Da adolescente anche a me non bastava il nichilismo dei Pink Floyd , se non per identificarmi con alcune mode dell’epoca o con l’animo inquieto di altri ragazzi. È bastato scoprire il mondo mettendomi in relazione e in discussione con esso, grazie anche al sostegno di alcuni adulti di riferimento e della Cultura. Anche la mia generazione, quella dei quarantenni, è vissuta nel consumismo, ma non tutti ci siamo smarriti o drogati. Forse abbiamo perso qualcuno, e ammetterlo fa male, ma anche per questo siamo diventati più forti di prima, entriamo in classe e ci doniamo anima e corpo a questi ragazzi. Loro lo sanno e, quando imparano a fidarsi, sono pronti a sorprenderci. I loro sogni e le loro paure sono le stesse che abbiamo noi. Questo è il Bello della vita, è quel filo rosso simbolico stampato sulla copertina dell’ultimo tuo immenso libro, che lega noi adulti agli adolescenti. Spetta a noi maturi e non marci non spezzare mai quel legame, stupendo ogni giorno, perché abbiamo imparato a stupirci di quanto la vita sia bella. Ai nostri alunni, ai nostri figli nessuno ha chiesto di venire al mondo. Li abbiamo creati noi adulti ed ora dobbiamo prendercene cura. È il momento della semina, della paziente attesa e della speranza!
è proprio vero, Carmen, è il momento della semina, che poi vuol dire della responsabilità, indipendentemente dal raccolto che ci sarà. Tanti auguri
Grazie, tanti auguri anche a te! A proposito di semina e di futuro raccolto, la pausa natalizia mi ha permesso di tornare nella mia Itaca rupestre (Matera). Il silenzio surreale delle grotte baciate dalla luna della sera della Vigilia di Natale mi ha ispirato per preparare una lezione a gennaio su Orfeo ed Euridice, dal mito ovidiano alla tua ultima opera”Ogni storia è una storia d’amore”. Ho ripreso fra le mani il tuo libro e gli ho dato vita e corpo. Ora sto ancora creando e spero di fare il botto ( magari a Capodanno). Sento tutto il rischio di questa impresa, ma vale la pena provare l’ebbrezza e la brezza del mio tempo verticale.
Mi rispecchio Alessandro nella tua esperienza : “Sono solo frammentari esempi di una musica che veniva incontro alla mia ricerca…..prestando parole a un io ancora balbettante”.
Certo, ho vissuto la mia adolescenza in altri tempi rispetto a tuoi : altri cantautori, complessi, testi di canzoni diversi, ma la mia esperienza è stata simile alla tua e alcune tracce di allora restano, mi hanno aiutata ad essere ciò che sono oggi.
Grazie per aver dato voce oggi ad un pezzo del mio passato!
Ne sono felice, grazie a te e tanti auguri
La musica, come la bellezza, ci salva.
Ai miei due gemelli appena hanno avuto l’etá per approcciarsi ad essa, ho voluto offrire la conoscenza dall’interno della musica, prima con propedeutica musicale, poi con lo studio di uno strumento ( chitarra elettrica e pianoforte, scelti da loro).
Appropriarsi della musica, e non solo e non piú ascoltarla e a volte subirla, offre ai ragazzi la possibilitá di esprimersi in un linguaggio ulteriore: garantendo loro di poter esprimere anche in questa forma sentimenti, spirito, desideri, emozioni.
Sfera con la sua musica ha fatto soldi, ma mi piace sperare che come ogni forma d’arte, avere modo di buttare fuori la rabbia ad un certo punto lo metterá in contatto con una parte di sé importante: quella che aspira a qualcosa di “oltre”, e di Altro da sé. Lo auguro anche ai tanti ragazzi che soffrono. Bellissimo il consiglio di una playlist familiare! Lo metteremo in pratica! Grazie Alessandro! ( nome anche di mio figlio…)