“Come diventare vivi” di Giuseppe Montesano
Dopo aver percorso tutta la strada della bellezza universale con il suo meraviglioso “Lettori selvaggi”, Giuseppe Montesano ne presenta, in un pamphlet che rapisce, il “metodo”, perché come sosteneva Nietzsche in un fecondo paradosso: “le verità più preziose sono quelle che si scoprono per ultime, ma le verità più preziose sono i metodi”. Per questo “Come diventare vivi” è un libro prezioso, perché cerca e traccia il metodo del lettore selvaggio, il lettore che si abbandona a musica, arte, letteratura, scienza… (per Montesano il Paese della Bellezza non ha confini sbarrati e la meraviglia è l’origine di ogni esplorazione del Mondo) per fare esperienza della metamorfosi. La trasformazione che il vero lettore conosce è quella dell’essere rinnovato e rigenerato nell’incontro con un’opera capace di varcare i confini della morte e vincere l’usura del tempo, “vera presenza”, direbbe Steiner, che sgretola luoghi comuni e ci risveglia dall’ipnosi del conformismo. A differenza dello “schermo” che ci protegge dall’Altro e conferma il nostro autismo narcisistico nutrendolo dell’Uguale, la pagina opaca richiede eroico coraggio di aprirsi all’Ignoto.
Montesano è convinto che il lettore “profondo” sia un vero eroe in un tempo in cui ci si accontenta della lettura surfistica e veloce delle pagine web. Come i cavalieri erranti dei romanzi cavallereschi il lettore selvaggio è chiamato ad abbandonare la comodità per entrare nella Foresta (ciò che sta appunto Fuori), che contiene le Avventure che servono a definire il senso del mondo e della propria esistenza. Il cavaliere-lettore entra nella selva abitata dai Mostri (il meraviglioso che spaura e rincuora al tempo stesso), cioè i Maestri, e così perde se stesso per poi ritrovarsi ancora di più. L’alternativa è l’incapacità di leggere il mondo, così come non si sa più affrontare una pagina dei Karamazov o i versi di Mandelstam. Leggere è necessario a “diventare vivi”, perché noi viviamo solo quando sappiamo per cosa viviamo e non lo sappiamo fino a che il libro di un Maestro non ci apre gli occhi sull’essenziale, proprio mentre ci annoiavamo nell’effimero, nel sempre uguale di piccoli piaceri, nell’eterno presente di milioni di frammenti informativi. Ci fa vivere soltanto ciò che è sempre nuovo a ogni incontro, e non ciò che è più recente, sinonimo di “meno vecchio”, che spesso non ci rende più vivi ma più illusi che il tempo non passi, grazie alla bolla di immortalità creata dall’algoritmo che prevede le nostre mosse per venderci l’Uguale.
Il lettore selvaggio non cerca la sicurezza, che alla lunga annoia, ma la salvezza, a qualsiasi costo. Il lettore selvaggio educa i suoi sensi liberandoli dal velo di maya mediatico e li restituisce all’esperienza della realtà, accettando la metamorfosi provocata dalla lotta notturna con l’angelo terribile della pagina. Il lettore selvaggio legge per vivere, perché “non si tratta più di passare il tempo o di ingannare la noia, né di accrescere la propria cultura quantitativa e di apprendere cose specialistiche: quando si legge per vivere, ciò che va in pezzi è la prigione in cui ognuno è chiuso, e quando la propria gabbia si è rotta, l’esperienza della libertà è così esaltante che cominciamo a vedere con dolore anche le gabbie altrui: e non ci basta essere liberi da soli in un mondo di prigionieri”.
Quello di Montesano è un atto politico basato sulla bellezza che obbliga alla ricerca dell’essenziale, la proposta di un umanesimo vivo che affranca dall’illusione della magnifiche sorti del progresso lineare (la crescita felice), ma evita anche di rifugiarsi nell’illusione romantica di un passato idealizzato come qualsiasi umanesimo museale, rintanato nei vagheggiamenti di una favolosa Arcadia della decrescita felice. L’umanesimo proposto nel libro ha la misura eroica, il confronto reale con l’Altro ci fa scorgere la differenza tra noi e lui: solo così può esserci una relazione (differenza e relazione hanno in comune la stessa radice verbale); solo così i sensi si dispongono al reale con l’apertura necessaria a riceverne tutte le risposte, e non conferme pregiudiziali; solo così si recupera centimetro dopo centimetro la libertà di ricevere il mondo e non subirlo.
Il metodo di Montesano non è frutto di utopia ma di faticose e gioiose giornate passate a scuola con i ragazzi ai quali il libro è dedicato. Un metodo forgiato nelle ore scolastiche per evitare ai millenials (e non solo) di diventare analfabeti funzionali (mentali ed emotivi), incapaci di comprendere cose e persone. Sono loro i primi a potersi rendere disponibili alla metamorfosi causata dalla mediazione di docenti che interpretano nella carne e nella voce le pagine dei maestri, in quella scatola chiamata scuola che dovrebbe e potrebbe essere la dimora della meraviglia e non un coacervo di burocrazia ed esperimenti pedagogici. A proposito Montesano ricorda una scena in cui Stanlio sta cercando di spiegare Platone a Ollio che, spaesato, sbotta: “Il nostro problema è che non abbiamo avuto una buona istruzione”. Stanlio gli dà ragione da par suo: “Sì, non siamo abbastanza analfabeti”.
Non ci resta altro che cominciare a diventare vivi.
“La scuola dovrebbe e potrebbe essere una meraviglia e non un coacervo di burocrazia ed esperimenti pedagogici”. Non serve aggiungere altro. Sono un’insegnante e ogni giorno combatto contro la “burocratizzazione” della scuola. Quando provo a dire ai miei colleghi che se avessi voluto fare la burocrate avrei fatto un altro mestiere, mi sento rispondere che ho ragione. Ma nessuno fa niente per cambiare questa realtà. Ogni giorno provo a fare ciò che amo, ma spesso mi sento schiacciata dalle scartoffie, che mi tolgono tempo ed energia. Dove sta andando la nostra scuola? Cosa dobbiamo fare perchè diventi la “scatola delle meraviglie”?
Bellissimo, grazie. Tutto questo l’ho sperimentato, la letteratura mi ha aperto tante volte gabbie che avevo costruito da sola.
Le parole che ho sempre pensato e adesso qualcuno ha messo nero su bianco. Grazie!