Manchester: siamo tutti in guerra (senza volerlo)
Solo durante una guerra l’ordine naturale di una società è sovvertito e sono i padri che seppelliscono i figli, ma i padri sanno che questa è la regola cruda della guerra, perché alla guerra ci vanno i giovani.
Non che questo lenisca il loro dolore e ripari l’assurdo, ma è la conseguenza della distruzione che l’uomo impone all’altro uomo, da Caino in poi.
Eppure in questa guerra frammentata che l’Isis sta imponendo al mondo, ieri siamo andati oltre. I padri non seppelliranno i figli andati alla guerra, ma i bambini e gli adolescenti, che alla guerra non ci vanno e che qualsiasi codice militare rispetta. Qui invece accade proprio il contrario: il semplice assistere a un concerto rende bambini e adolescenti impuri e degni di morte, trasformando un’arena musicale in un vero e proprio mattatoio. Il Bataclan aveva già portato l’immaginario della crudeltà oltre le nostre aspettative, colpendo ragazzi e giovani adulti, considerati impuri per la loro libertà da coetanei.
Ma alla Manchester Arena si è sceso un altro gradino, perché l’infamia è gettata sui più deboli: gli impuri sono bambini, che non sanno neanche cosa sia l’Isis, e adolescenti che, se lo sanno, non pensano che li riguardi. I loro genitori, se sono sopravvissuti, dovranno seppellirli: il loro futuro è spazzato via, la loro vita è spezzata, senza alcuna ragione plausibile e questo renderà la perdita ancora più dolorosa, perché dove il dolore non riconosce una logica, ammesso che una ne esista, la sofferenza si fa più cupa e mette radici difficili da estirpare.
Con coerenza sacrificale, direbbe Girard, l’invidia mimetica si scaglia contro chi porta i segni vittimari più evidenti: gli innocenti, i bambini. Gli assassini non sopportano la libertà di chi partecipa a un concerto e, poiché non sanno come procurarsela una libertà così semplice e innocente, esplode la violenza sacrificale con l’intelligenza precisa del male, richiesta dal confezionare una bomba efficace per quanto artigianale, nessun raptus di follia. La logica è quella di ogni violenza sacrificale: si elimina il possessore del bene irraggiungibile, attribuendogli la colpa di averlo. Siamo tutti bersagli, perché siamo tutti liberi: soprattutto i nostri figli.
In questo modo il messaggio supera ogni possibile valenza comunicativa e simbolica: si è colpevoli per il solo fatto di essere come siamo. È un terrore capace di generare in noi una paura che spezza ogni fiducia nella vita, nella solidità delle istituzioni, producendo un incremento di rabbia e sospetto, la cui misura non credo sia illimitata, a livello prettamente civile. Lo dirà la storia delle nostre città, dove in certi quartieri crescono i focolai della battaglia, con pseudo-cittadini mai integrati.
Non riesco inoltre a immaginare il dolore dei genitori delle vittime, di fronte al quale sono quasi del tutto privo di strumenti di comprensione o di accettazione, che forse invece possiede la generazione che ha conosciuto la violenza indiscriminata sui civili, perpetrata nelle guerre mondiali o dal terrorismo nostrano.
È una guerra a tutti gli effetti quella che subiamo, la cui logica, frutto di una ideologia simile ad altre che la storia ci ha mostrato, è: nessuno è innocente se non è dei nostri, neanche un bambino che esce contento da una festa, dopo aver ballato e cantato. Anzi proprio per questo anche lui è in guerra, senza saperlo. La sua libertà, la sua gioia, il suo essere al mondo, come promessa, come futuro, lo rende degno di morire. Un attacco così radicale alla dignità umana è «la» minaccia del futuro, e i fatti di ieri ne sono un simbolo oscuro, oltre ogni dire.
La Stampa, 24 maggio 2017 – link
Questi strazianti avvenimenti colpiscono sempre di più, nel profondo del cuore di ognuno di noi. Come si può pensare di voler uccidere un bambino, una candida ed innocente creatura, per quale motivo poi? Un motivo non esiste. Non c’è mai un motivo valido per uccidere, per togliere la vita a qualcuno che crediamo non la meriti, solo perché così diverso, così lontano da noi. Quando succedono queste cose ci si sente presi dallo sconforto e dal dolore. Ma questi ultimi non serviranno a niente per colmare il vuoto dentro il cuore e la vita di quei genitori, ora privati della loro parte più bella, i loro figli.