24 settembre 2014

Pur faticando, non mi stanco

La strada entra nella casa - Boccioni 1911C’è un quadro di Boccioni di cui mi sono innamorato. Si intitola “La strada entra nella casa”, dipinto nel 1911. Una donna, le cui fattezze sono della madre del pittore, affacciata al balcone guarda la città dall’alto e, in un movimento a spirale di edifici e uomini dediti a diverse attività, la strada sembra riversarsi come un fiume danzante dentro la casa, attraverso lo sguardo vigile e attento della donna. Guardandolo mi sono chiesto: come guardiamo la strada o come lei entra nel nostro sguardo?

Lo sguardo stanco di molti, la lamentela come tema dominante dei discorsi, il disincanto sulle cose più belle, l’amore in primis, mi suggeriscono che tutto, al contrario di quel quadro, diventa immobile, vecchio, ripetitivo, incolore, stantio. La grande promessa di vita sembra non poter esser mantenuta. Il paradiso si manifesta in singoli e fugaci istanti di pienezza non in qualcosa di duraturo e stabile. Cercare questi istanti è la goccia di miele nell’esilio? Dov’è il nuovo che dà vita ad ogni cosa in ogni momento del giorno e in modo duraturo? Devo rassegnarmi all’opacità del quotidiano o c’è altro?

Solo il nuovo sconfigge la routine, solo il nuovo dà sangue a ciò che diventa esangue. Per questo è bello innamorarsi: il cuore si rinnova e una ventata di luce e freschezza ci ricorda per cosa siamo fatti. L’eternamente uguale invece è l’inferno. Per questo la vigilanza (vegliate!) è il requisito primo richiesto all’uomo che voglia essere uomo: la sua disponibilità totale al presente, l’apertura elastica al dono di ogni istante, qualsiasi cosa contenga. Agostino chiamava “attenzione” la presenza del presente, rispetto a quella del passato (memoria) e del futuro (attesa). La guerra che dobbiamo condurre ogni giorno è proprio quella contro l’abitudinarismo, contro il farsi andar bene la stanchezza del cuore e dell’amore, per mancanza di vigilanza, di attenzione. La pace è frutto della guerra contro la tiepidezza che rende tutto incolore, noioso e ripetitivo. Ma come si fa a mantenere questa disposizione del cuore a inaugurare ciò che tocca? A trasformarlo in gioia duratura e fedele? La strada è segnalata in poche parole che leggo e rileggo in questi tempi di crisi: “Guarda (dice l’originale greco, più spesso tradotto con “ecco”), io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5). Così Dio dice nell’Apocalisse all’uomo impaurito dal fallimento, dalla stanchezza, dalla crisi. L’uomo da solo non può inaugurare, rinnovare: ha bisogno di ricevere questa novità istante per istante, e scoprire che ogni momento è pieno di questa novità che può baluginare solo raramente se procurata dalle nostre forze esigue (tutta l’arte vive di questo slancio, enorme anelito di apertura al mistero della creazione, così percepita come dono). Ma quel verbo all’imperativo (“Guarda”), a differenza dell’azione divina che è al di fuori della portata dell’uomo (fare nuove tutte le cose: proprio tutte, uno sguardo, un amore, un lavoro, una persona, un dolore, un fallimento…), segnala lo spazio affidato all’uomo verticale: guardare. Per accedere al rinnovamento continuo di tutte le cose, alla primavera che ogni istante contiene anche se minacciato da stanchezza e opacità, bisogna essere condotti al piano di chi vede veramente, ricordando quello che già Montale lamentava nei suoi versi: “gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede”. Si scorna chi crede che la realtà sia solo quella che si vede, perché la realtà è invece quella che ci viene concesso di “guardare”. Quello che si vede è il trascorrere delle cose umane in un flusso che inevitabilmente perde forza, slancio, vigore. Quello che si guarda è invece il legame con chi rende viva ogni cosa in questo momento, anche la più fragile e stanca. Ma c’è bisogno di me, punto di contatto tra la fonte che rinnova e la realtà da rinnovare. Sono io che entro in classe, che incontro un genitore, che correggo un compito, che scrivo una pagina, che ascolto un amico, che risolvo un problema, che cucino un piatto di pasta, che provo il dolore di un fallimento, di un errore, di un tradimento, di un turbamento, di un peccato. Sono io quella congiunzione tra l’effimero e la realtà, e in me può compiersi la trasformazione di ciò che è vecchio in ciò che è nuovo, non grazie a me, ma attraverso di me. Purché io guardi. Io guardi veramente le cose. È qualcosa che a livello umano gli artisti sperimentano, perché il loro guardare è uno dei gradini di questo invito in cui naturale e soprannaturale possono toccarsi. Raymond Carver, maestro di attenzione nei suoi racconti e poesie, scriveva “si possono descrivere delle cose, degli oggetti quotidiani, usando un linguaggio comune, ma preciso – una sedia, una forchetta, la tendina di una finestra – e dotare questi oggetti di un potere immenso, addirittura sbalorditivo”. La scrittura è veglia dei sensi, prima ancora che segno sulla pagina. Va oltre il poeta e premio Nobel D.Walcott, che del modo di dipingere di Pissarro, ne Il levriero di Tiepolo, dice: “Ogni pennellata era intrisa di quell’assenza; con regolare, quieto dipingere / costruiva il suo azzurro. Era questo il suo modo di pregare”. Il poeta-pittore intuisce che guardare, strumento primario del suo lavoro nel mondo, è pregare: vigilare, custodire, inaugurare ogni cosa. L’arte ci ricorda, fissandolo nella materia, per cosa sono fatti i nostri occhi: la novità di tutte le cose che in questo istante Dio opera, silenziosamente, lievemente come la brezza di Elia.

Il pieno compimento di questa possibilità, secondo l’invito della Rivelazione-apocalisse, è però un dono: si chiama preghiera (vigilanza). Una preghiera continua, costante, importuna ci viene chiesta, perché il presente richiede attenzione continua. Non come una prestazione impossibile: non è un moralismo utopico, perché la preghiera non è una prestazione, ma un prestito di occhi e cuore, che sono la radice degli occhi. É colui che dice di far nuove tutte le cose che la rende costante, continua, importuna, inesausta. Io posso solo ricevere questa possibilità aprendomi ad essa e vedrò tutto rinnovarsi sotto il mio sguardo, non per magia, ma per caduta di paoline squame dagli occhi e scorgere ciò che io non potevo vedere (Danielou scrive che i tre della Trasfigurazione sul Tabor videro come stavano le cose in realtà, per grazia furono resi meno ciechi).

Questo comporta la fatica buona del rimanere aperti, compatibile con la gioia, ma non con la stanchezza, col disincanto, con l’abitudine. Guardare tutti i volti di una classe ogni giorno in modo unico è faticoso, ma non stanca. Allattare il bimbo è faticoso, ma riempie.

Questo guardare il rinnovarsi di tutte le cose che tocchiamo è ciò che abbiamo da dare ad un mondo stanco. Un cristiano che non prega (veglia) in ogni istante, attraverso ciò che sta facendo, rapidamente perde smalto, perché ha perso il suo legame con la fonte, con la vite/a. Non ha più nulla che lo rinnovi, non può vedere più nulla, perché non guarda più nulla. La meraviglia di una continua novità, quella che ci prende di fronte ad un panorama alla fine di una lunga camminata, quella che ci afferra nelle movenze della donna di cui ci innamoriamo, quella che ci spiazza nel sorriso di un bambino, è la possibilità data in ogni momento a ciascuno di noi. È quello che la strada chiede a quella donna affacciata al balcone nel quadro di Boccioni: dare senso e casa al caos di quella strada. Grazie a quel “guarda” ogni giorno mi stanco, ma non mi annoio. Ho il cuore e gli occhi pieni di una meraviglia che nessuno può strapparmi, perché non l’ho messa io nelle cose: il loro reale rinnovarsi è lì disponibile per i miei occhi liberati dalle squame. Il mio compito, a volte faticoso, è goderne. E poi raccontarla.

Avvenire, 22 settembre 2014

20 risposte a “Pur faticando, non mi stanco”

  1. Fauzia Cavallo ha detto:

    Quanta PUREZZA, MAGIA, INCANTO.
    Mistica estasi.

    E noi la facciamo nostra e la riverberiamo attraverso Cieli trapunti di stelle , nell’aureo pulviscolo del trillo di ali di fata, per rendere lieve ed Eterno il mistero dell’Amore che tutto arde e vivifica…

    Seuiamo la scia della tua cometa…

  2. Beatrice M. ha detto:

    La mia più grande paura è quella di non riuscire più a stupirmi, a sorprendermi. Perchè perdendo questa capacità si perde anche la bellezza, e senza di quella non si vive, si sopravvive. Montale l’aveva capito grazie a quella moglie che nonostante tutto la bellezza la sapeva vedere non con gli occhi, ma con il cuore. La fatica sta nel riuscire a guardare anzichè vedere, nell’ascoltare invece che sentire. Se si guarda e si ascolta non c’è più spazio per la noia.

  3. Francesca Guerzoni ha detto:

    ma che bello questo post…capita proprio nel momento giusto e mi stupisce ritrovarmi in queste parole scritte come pennellate in un acquarello colorato! grazie e complimenti per il blog

    francesca

  4. sr. cristiana ha detto:

    Che regalo… Grazie! Per me che spesso fatico a spiegare che far della vita una preghiera è il compito non di chi sta in monastero, come me, ma di chi vuol vivere davvero queste parole sono un raggio di sole, sono limpide come l’acqua in montagna e credo che le regalerò a tanti….

  5. Clelia Illuminati ha detto:

    l’ho imparato con l’età e con la sofferenza: la vita è un miracolo… è un miracolo ogni battito del nostro cuore e ogni nostro respiro.. la natura, la sua bellezza straordinaria è un miracolo, l’equilibrio mirabile che regola il nostro sistema solare e così tutti gli altri sistemi e l’intero universo è qualcosa di infinitamente straordinario anche se spaventa …nulla dipende da noi nè il nostro battito nè il nostro respiro.. la natura non l’abbiamo creata noi, ne facciamo solo parte e così anche l’equilibrio dell’universo non l’abbiamo voluto noi e tanto meno siamo stati noi a crearlo.,, dobbiamo solo renderci conto di tutto questo e non distruggere,rispettare attingere da questo mirabile equilibrio universale per essere in equilibrio, per non intaccare la nostra bellezza , perchè ognuno di noi ha la bellezza dell’universo in sè. siamo dei microcosmi che riflettono quel macrocosmo che è l’universo Se si riesce a giungere a questa certezza tutto diventa parte di noi e niente ci è estraneo tutto diventa familiare e degno di considerazione perchè fa parte di noi.

  6. Mauro ha detto:

    Carissimo Prof2.0, stamattina mi sono imbattuto in questa bella poesia di Pascoi da cui estraggo questo verso per farti i miei più sinceri auguri di buona “missione” tra i banchi di scuola:

    Ed ecco parla il buon novellatore,
    e la sua fola pendula scintilla,
    come un’accesa lampada, lunghe ore

    sopra i lor capi. Ed ecco ogni pupilla
    scopre nel vano focolare il fioco
    fioco riverberìo d’una favilla.

    Intorno al vano focolare a poco
    a poco niuno trema più né geme
    più: sono al caldo; e non li scalda il fuoco,

    ma quel loro soave essere insieme.

  7. alessandro ha detto:

    Ciao Alessandro, leggere quello sche scrivi, ascoltare quello che dici ha irradiato di luce la mia vita. Adesso, a 42 anni, ho capito cosa devo fare per vivere in pienezza il mio essere cristiano, al lavoro, da genitore, da marito, da amico. Era già tutto dentro di me… ma non usciva nulla…soffocato da stanchezza della routine, disillusione ed insoddisfazione lavorativa.. Servivano le tue parole,le parole di uno sconosciuto ascoltate per caso durante un noioso consiglio Pastorale.. Un ennesimo piccolo miracolo che solo Dio sa fare.. e questa volta ha scelto te x operarlo in me.. Grazie ancora.
    Alessandro

  8. Lucia ha detto:

    Novara. Ore 6. Mi affaccio al balcone. Non un suono. Alcune finestre illuminate. Rare gocce di pioggia cercano di lavare, dalle beole del giardino, il sonno della notte. Un forte profumo di caffè sale le scale entra in casa mia e mi accende un desiderio da non coltivare. C’è tanta pace. Come nei tuoi post. C’è un posticino nella mia anima dedicato al sentimento tutto spirituale, che mi doni con le tue descrizioni di vita vera.Di vita donata.
    Augurandoti una serena giornata di fine, proprio fine, settembre ti invio il mio abbraccio e un arrivederci a presto.
    Io sono sempre sul Blog “Canto la Vita” e oggi ho postato i tuoi pensieri ricevuti il 24 sett. Ciao. Nonna Lucia

  9. Luci ha detto:

    Prof,
    leggendo questo articolo mi è tornata in mente una canzone che mi aveva regalato una carissima amica, in un momento di aridità e distrazione. L’ho riascoltata spesso, anche di recente, ed è sempre di grande aiuto per rimanere attenta, ricettiva rispetto alla vita.
    Ti riporto il testo

    AMARE ANCORA
    Parole e musica di Claudio Chieffo
    marzo 1973
    alla moglie Marta 

    Ma che amarezza, amore mio, 
    veder le cose come vedo io 
    e aver perfino dimenticato 
    che non son nato come voglio io, 
    come voglio io. 
    Che delusione, povero amore, 
    vivere la vita con questo cuore 
    e non volere perdere niente 
    e amare ancora come l’altra gente, 
    come l’altra gente. 
    Basterebbe soltanto ritornare bambini e ricordare… 
    E ricordare che tutto è dato, che tutto è nuovo 
    e liberato… e liberato! 

    Grazie prof per avermi ricordato cosa è davvero essenziale
    Luci

  10. emilia ha detto:

    Carissimo Alessandro, erano proprio le parole di cui avevo bisogno oggi. Che grazia! cercherò di farne memoria. ciao. emi

  11. Mauro ha detto:

    Ciao Alessandro se ti va lo puoi leggere e commentare con i tuoi ragazzi oppure la puoi usare come preghiera.

    Io sono una pagina per la tua penna.
    Tutto ricevo. Sono una pagina bianca.
    Io sono la custode del tuo bene:
    lo crescerò e lo ridarò centuplicato.

    Io sono la campagna, la terra nera.
    Tu per me sei il raggio e l’umida pioggia.
    Tu sei il mio Dio e Signore, e io
    sono terra nera e carta bianca.

    (Marina Ivanovna Cvetaeva)

  12. Franci22 ha detto:

    Ciao prof, scusa ma ti do del tu….ti seguo da tantissimo ho letto i tuoi libri…ho visto il film di Bianca come il latte e rossa come il sangue. Ti ho gia scritto sul blog…e mi avevi risposto grazie per la tua semplicità nonostante la tua grande e affermato mantiene i piedi ben saldi per terra…menomale che ci sono anche se poche persone come lei..
    Ho solo 22 anni ma spero che questo paese migliori xk così non andiamo da nessuna parte…cmq non vedo l’ora di leggere il tuo prossimo libro un abbraccio con affetto…
    Franci :))

  13. Patrizia ha detto:

    C’è un’umanità orizzontale e una verticale… Sì, è così, sappiamo che per molti è più comoda e consona la distrazione, da sé, dagli altri dai fatti.I politicanti sono così: sempre al centro della scena ma sempre distanti dalla gente alla quale promettono apparenze e consegnano disinganni. E frale persone verticali troviamo spesso i maestri, gli insegnanti, quelli veri, autentici che non hanno bisogno di un prontuario intitolato “La buona scuola” per sapere come e dove condurre la mente dei propri studenti. Come si vede, sono posizioni… perpendicolari!!Scorrono parallele in apparenza e a volte si scontrano in punti incidenti. Non resta che la fede.

  14. Chiara ha detto:

    Articolo davvero interessante e vero. L’ho distribuito ai ragazzi ed ho chiesto loro di prendere una posizione personale. Un’alunna, dopo aver fatto un paragone tra l’eternamente uguale e l’Inferno dantesco dove il cielo è sempre lo stesso, ha scritto: “vorrei vivere anch’io con il desiderio di guardare la novità che accade nella mia vita affinché lo straordinario entri a far parte dell’ordinario”. Quando i ragazzi leggono qualcosa che è all’altezza del loro desiderio, la loro umanità fiorisce.

    Ci tenevo a raccontartelo, grazie!

  15. Cecilia ha detto:

    Grazie di cuore, davvero, per le tue (posso darti del tu?) parole. È un periodo molto faticoso, quest’anno ho la maturità e ciò di cui mi sono resa conto di aver bisogno è proprio di quello sguardo nuovo sulle cose. Uno sguardo stupito e grato per ogni cosa che ricevo. Devo imparare a combattere l’abitudine al Bello, sì, con la b maiuscola. Un’altra cosa di cui mi sono resa conto leggendo è che da grande (non manca molto) voglio essere come te: Voglio imparare a benedire le cose, non a maledirle (come dicevi ad un incontro). E voglio sicuramente insegnare anche ad altri a vedere la bellezza che io vedo. Grazie, Cecilia

  16. Monique ha detto:

    Navigo su Internet per ingannare il tempo, aspetto l’ora per iscrivermi a un esame. Un mio compagno di università ha visto lei in bicicletta qualche giorno fa, così mi sono ricordata che spesso leggevo i suoi post, appena finito di leggere Bianca come il latte, rossa come il sangue, poco dopo l’uscita. Per questa ragione ho pensato di tornare sul suo blog: leggere questo post è stata una benedizione. Ultimamente mi sento intrappolata nell’abitudine, come se vivessi seguendo uno schema. La ringrazio per le sue parole e per la profondità che ha voluto trasmetterci.

    • Prof 2.0 ha detto:

      Forza Monique, il senso di “trappola” è un modo in cui la vita ci risveglia: qualcosa deve destarsi, fiorire, emergere. Buona ricerca!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.