La Grande Nostalgia
Era il 1964 quando 8 e ½ vinse l’Oscar come miglior film straniero. Sono passati 50 anni e Paolo Sorrentino, nel ritirare lo stesso premio, ha rievocato il maestro.
Nel capolavoro di Fellini il protagonista è Guido, un regista che dovrebbe girare un film, ma finge, la sua arte è in crisi perché è in crisi la sua vita (soffre non a caso di crisi cardiache). Il girotondo di figure con cui dialoga sono in realtà altrettanti tentativi di salvarsi l’anima e, nella scena più bella di tutto il film, parla con Claudia (Cardinale), che ha la purezza che manca a lui e alle sue amanti e, incantato dalla sua bellezza che genera un rispetto sacro che lo potrebbe rinnovare, le chiede:
“Tu saresti capace di essere fedele ad una cosa, ad una cosa sola e farne la ragione della tua vita? Una cosa che raccolga tutto, che diventi tutto, proprio perché è la tua fedeltà che la fa diventare infinita. Ne saresti capace?”
Lei ribatte: “E tu ne saresti capace?”
“No, questo tipo vuole prendere tutto, arraffare tutto, non sa rinunciare a niente, cambia strada ogni giorno perché ha paura di perdere quella giusta e sta morendo come dissanguato”
La sua crisi cardiaca è una crisi di sangue: è uno che arraffa, non sa dare.
“Così finisce il film?” chiede lei.
“No così comincia. Poi incontra la ragazza della fonte: è una di quelle ragazze che danno l’acqua per guarire. È bellissima: giovane e antica. Non c’è dubbio che sia lei la sua salvezza”
Il protagonista intuisce che c’è una bellezza che promette salvezza, una bellezza infinita, che non si può rovinare, ma si rende conto che la via d’accesso gli è preclusa. Ci vorrebbe una fedeltà tale da rendere quell’oggetto d’amore, infinito.
Allora lei lo inchioda:
“Un tipo così, che non vuol bene a nessuno, non fa mica tanta pena. In fondo è colpa sua. Che cosa pretende dagli altri? Incontra la ragazza che lo può far rinascere. Ma è lui che la rifiuta.”
La crisi è una crisi personale. Egli ammette la sua colpa e cerca l’assoluzione, ma il suo male non desta misericordia. È soltanto un egoista. Guido cerca di difendersi con “una” verità, ma lei lo costringe a considerare “la” verità:
“Perché non ci crede più”
“Perché non sa voler bene”
“Perché non è vero che una donna possa cambiare un uomo”
“Perché non sa voler bene”
“E perché soprattutto non mi va di raccontare un’altra storia bugiarda”
“Perché non sa voler bene”
50 anni dopo viene premiato un film italiano che racconta la stessa storia. Uno scrittore in crisi di ispirazione che si ingaglioffa nel mondo delle feste romane, dorme di giorno, balla e consuma alcool e amori di notte. E più la noia lo fa suo più si risveglia il ricordo della sua bellissima ragazza “giovane e antica”, la promessa di un amore giovanile, purissimo e sacro, salvifico ma impossibile. La vita è solo una promessa d’amore non mantenuta: non resta che raccogliere tante delusioni quante sono state le illusioni. Tutto è un grande trucco, ripete il malinconico e cinico Jap Gambardella. Non resta che vivere di nostalgia, il sentimento che rimane all’uomo deluso: rievocazione di ricordi di un eden perduto, o di un eden promesso ma non realizzato (che è lo stesso).
La differenza con il Guido di Fellini è che quella crisi da individuale è diventata sociale. È tutta Roma (il decreto “Salva Roma” è ironicamente all’ordine del giorno), e quindi tutta l’Italia, che vive di una promessa non mantenuta, di una bellezza giovane e antica, che potrebbe salvarla come la ragazza con l’acqua. Ma è solo un’illusione. Tutto cade a pezzi, come i muri del tempio di Venere a Pompei. E perché?
Perché non siamo stati capaci di voler bene a questo Paese e quindi a noi stessi. Ci siamo fatti gli affari nostri, come diceva quel personaggio dei Viceré, facendo il verso a D’Azeglio, “Fatta l’Italia, adesso possiamo farci gli affari nostri”. Non ci resta che vivere di nostalgia, o di cinismo. Non abbiamo più le forze per essere fedeli, non sappiamo essere fedeli a noi stessi, ad un amico, ad un amore, figuriamoci ad un Paese intero. Non sappiamo voler bene, non sappiamo più cosa sia il bene comune e tutto si è trasformato in un trucco: chi frega di più è più bravo.
Proprio in questi 50 anni la crisi del protagonista felliniano si è profeticamente avverata in quella di Jap, con la differenza che è diventata di sistema.
Lo abbiamo voluto dire al mondo intero, 50 anni dopo. E il mondo intero ci ha dato l’Oscar alla nostra infedeltà. Abbiamo ammesso il nostro delitto contro la bellezza. Per essere assolti dai propri peccati bisogna confessarli, e noi lo abbiamo fatto. Ma premiandoci non ci hanno assolto, e mentre noi ripetevamo, con Jap, che non volevamo essere bugiardi, che non ci crediamo più, che è tutto un trucco, loro ci hanno risposto: “Non ci fate pena. Non sapete voler bene”.
Per essere fedeli a qualcosa tanto da renderla infinita occorre essere fedeli a qualcosa di infinito, non arraffoni e furbi, fedeli ad un bene che ci supera, ad una bellezza che ci trascende. Solo così saremo disposti a batterci, come innamorati, per difendere i nostri amori dall’usura, dal cinismo, dalla morte.
PS. Se non sei proprio distrutto/a, puoi leggere anche La Grande Bellezza è ogni 24 ore
Caro Alessandro, non sono distrutta affatto, ed è un piacere leggere i tuoi bellissimi articoli. In questo poi, hai toccato proprio il problema vero, il triste di un paese che sta facendo della crisi il suo aleggiarsi instancabile. Dopo venti anni di diseducazione all’amore per il bene comune, ecco un popolo che si abitua al proprio egoismo per quasi ‘sopravvivere’ ad una specie di consuetudine del ‘chi è più furbo va avanti ed arriva’. Ma nessuno, ahimè, arriva ne’ primo, né tanto meno non provato, dal disamore. Il mio è solo un modesto commento, che mi sento di fare, all incapacità di questo non volersi bene che ladcia un buco, una nostalgia impagabile. C’è una canzone, che mi piace ricprdare, cantata a Sanremo da Morandi e B.Cola, che dice proprio una cosa importante: che per amare, una donna, un uomo, per amare, dunque anche un bene comune, un paese, occorre spaccarsi il cuore, superarsi e andare oltre, la parola amore, al fine di poter sentirsi salvi, proprio dentro a quella bellezza che abbiamo davanti e nelle nostre mani, una bellezza finita e mai finita. Solo restandole fedele, l’uomo può veramente far bei sogni, e dormire con la coscienza immacolata. Spero che questo paese, premiato con il suo bel cinema, trovi ancora il coraggio di amare davvero.
Scusa i due refusi che ho messo scrivendo..
un caro saluto,
adua
Sono molto allineato con questa visione…e si sposa con il fatto che la crisi ha radici “Etiche”…
Ancora una volta le tue parole sono slancio per l’anima.
Sono carezze sul cuore.
Parole necessarie alla vita, che come la vita si rinnovano ogni giorno.
Hai il dono di indicare “la misura alta del quotidiano”.
Un dono che non è comune avere e non è scontato condividere.
Grazie.
E poi oggi piu’ che mai…siamo costretti a prendere una posizione,essendo diventato un male sociale..o scegliamo di Amare oppure no…o scegliamo di Educare oppure no..ecc..come dice un bravo psichiatra italiano oggi finalmente si puo’…
Il regista e Claudia:
https://www.youtube.com/watch?v=tUI6OICNx4Q
[…] Ma come scrive Alessandro D’avenia (scrittore, insegnante e sceneggiatore) nel suo blog personale prof 2.0, Sorrentino ha voluto raccontare la nostra infedeltà nei confronti della bellezza e come Jep […]
Sarebbe bello poter dire che gli italiani , insieme, vogliano fare l’esperienza di guardarsi dentro con onestà e coraggio per decidersi a cambiare un sistema basato sulla difesa degli interessi personali,per di più mascherandoli da necessità collettive, sottraendosi alla responsabilità derivante dal coraggio delle proprie scelte, fossero anche sbagliate!
c’è grande nostalgia di sentirsi veramente un “popolo” nella accezione più alta del termine, come collettività che appartiene ad un territorio , con tutta la sua bellezza, ma che soprattutto si appartiene , capace pertanto di solidarietà,di condivisione, senza spaventarsi per questo di non essere moda.
ben vengano i film come la grande bellezza, se danno l’occasione di riflettere su tematiche che sono troppo NOIOSE per coloro che sanno già tutto sul senso della vita, per coloro che sono già troppo bravi
o”abili”citando l’ormai famoso Gep Gambardella.
Stimatissimo collega, in questi giorni mi è capitato spesso di discutere con alcuni dei miei alunni circa “La grande bellezza”, un film che si presta a mille riflessioni e a mille punti di vista. La riflessione collettiva rimane, comunque, quella esposta da te nel presente articolo. E’quella riflessione che, purtroppo, mi sono trovata a fare anche io non solo nel commentare il film di Sorrentino, ma anche quando mi sono trovata a spiegare quei delicati passaggi storici italiani tra’800 e ‘900 e che si riscontrano nell’attualità: dalla celeberrima frase dei Vicerè e dall’altrettanto celeberrima del Gattopardo la riflessione amara che rimane è che l’Italia è rimasta fedele a se stessa. Nel peggio.Nella truffa.Nel sotterfugio.Nella strada più facile per raggiungere l’obiettivo. Perseguire con coraggio e fede l’obiettivo è ben altra cosa. Richiede di lavorare su ciò che di Fedele è rimasto al nostro Paese, di partire da ciò che di positivo e di eccellente ha l’Italia: la sua ARTE, la sua BELLEZZA, la sua NUOVA GENERAZIONE che ha voglia di cambiare le cose, che ha il desiderio di fare il salto di qualità. Io credo, anche da docente, che i nostri alunni saranno in grado di fare il salto di qualità, ma hanno bisogno di aiuto e di chi gli faccia credere che c’è ancora Speranza. La FAMIGLIA, la SCUOLA, la PARROCCHIA, gli AMICI da soli, però, non bastano. Il segnale di voler cambiare le cose deve arrivare da chi guida il Paese: se la guida dà il là, allora la Famiglia può tornare ad essere un valore, la Scuola può essere IL luogo di confronto e crescita, la Parrocchia può essere IL luogo di cura dell’anima, gli Amici possono essere i compagni fedeli con cui crescere e scoprire la BELLEZZA della Vita. Buona giornata scolastica. La mia sta per iniziare.