Intemperie
Ho avuto la fortuna di pranzare con l’autore di questo bellissimo libro. L’ho letto prima che uscisse in Italia e volevo conoscerne il creatore. Ho approfittato della sua venuta in occasione dell’uscita del romanzo nella nostra lingua per scambiare due chiacchiere. Così è iniziata una bella amicizia. Ho scritto un pezzo per l’inserto culturale de La Stampa in merito al libro e al mio incontro con Carrasco. Nella dedica mi ha scritto: “Dos lobos se encuentran en la llanura, se huelen, se reconocen y continuan juntos”. Ed è proprio così.
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“Mappe e labirinti. Di una cosa che non si poteva aggiustare. Nelle forre ogni cosa era più antica dell’uomo e vibrava di mistero”.
Alla chiusa e alle atmosfere di uno dei libri più belli degli ultimi anni, La strada di C.McCarthy, sembra essersi ispirato Jesus Carrasco per scrivere Intemperie, il cui titolo segnala nel paesaggio, esteriore e interiore, il vero protagonista. Mi confida: “Riassume ciò che volevo raccontare: l’uomo è solo di fronte alla natura e al mondo”.
Infatti in una waste land simbolicamente vessata dalla sete (la piana) e in un tempo senza coordinate, se non la polvere, erra un bambino. Fugge dall’ufficiale di guardia, al quale è stato concesso per i suoi piaceri dal suo stesso padre. Nulla potrebbe se nella piana calcinata dal sole un pastore, incontrato per caso, non lo aiutasse a fuggire dall’asfissiante caccia data alla sua “carne”. Un uomo silenzioso, con le sue pecore e il suo cane, in cerca di pascoli. Compie gesti antichi, rituali, riparatori. Estrae la vita dal calcare come un rabdomante e prova a proteggere quella del ragazzino dalle “intemperie”, umane e geografiche, cercando con lui bibliche “terre dove l’acqua non manca mai”, un’acqua che carsicamente attraversa le pagine, salvando persino il lettore dall’arsura.
Un romanzo teso fino all’ultimo, in cui tutto è essenziale, grazie a una visione nitida e a un processo di sottrazione carveriano. Essenziale la parola, scolpita – come in poesia – nei silenzi: “fruste cui sull’arida piana erano sottoposti in egual modo bambini, donne e cani”. Essenziali i personaggi, vichiani universali fantastici senza nome proprio, e la loro ricerca: “se il pastore non poteva muoversi, toccava a lui andare a cercare l’acqua”. Essenziale il paesaggio, correlativo oggettivo quasi compiaciuto di anime assetate: “la piana lo aveva eroso ad un livello che nemmeno concepiva quando viveva sotto un tetto”. Carrasco scarnifica la realtà fino a grattarne l’osso, fatto di paradossi insolvibili.
Lo definirei il romanzo del figlio impossibile di C.McCarthy e di F.O’Connor. Invece lo ha scritto un quarantenne spagnolo cresciuto nella campagna dell’Estremadura, di cui ama il riso con le mandorle che gli prepara sua madre e nella quale vagabondava da bambino, cacciando furetti e arrampicandosi sugli alberi. Testa lucida dentro e fuori, occhi magnetici, baffi donchisciotteschi, moglie sivigliana, due bimbe, una bicicletta, un orto che cura con gli amici e un lavoro da copy pubblicitario. Amante di Turner, Goya, Hopper, ascolta Bach e Miles Davis. I suoi maestri sono Carver, Updike, Ford, Perec, Levi, McCarthy, Coetzee. Stufo dell’esilio che la modernità ha comminato al mistero: “si fa un esercizio di pornografia con la realtà: tutto è sempre più esplicito. Il mistero è in costante regresso”. Esiliato il mistero l’uomo usa la ragione per produrre e calcolare il suo piacere, come l’ufficiale di guardia del romanzo. Gli si oppone la dignità, baluardo che può resistere al male che l’uomo infligge all’uomo, dice: “La dignità è in ogni angolo. Bisogna solo vederla e consiste nell’essere capace di mantenere la posizione dopo aver sofferto le inclemenze della vita”. E il pastore del romanzo è l’eroe di questa dignità: “Il vecchio esprimeva un mandato estraneo persino per se stesso: dare sepoltura ai bastardi, trovare loro un riparo dalle bestie in attesa del giudizio finale”. Grazie a lui il bambino scopre che l’uomo è capace anche di tenerezza.
Jesus mi dice che può scrivere ovunque, unico requisito il silenzio, nel quale cerca le cose importanti della vita e non semplicemente pace: capacità di guardarsi e aver pazienza. Lamenta che oggi non riusciamo a star fermi e che prima la gente in metropolitana leggeva, dormiva, o guardava il nulla: ora gli smartphone. C’è l’ossessione del profitto del tempo, “atroce per costruirsi: la vita è crescita e l’obiettivo è che l’ultimo dei nostri giorni siamo la nostra versione migliore grazie a ciò che siamo stati capaci di conservare e eliminare. E per questo servono tempo e attenzione”.
La scrittura di Carrasco è un carotaggio nel reale dall’esterno verso l’interno. Dà a parole, fatti, personaggi, cose, tutta la stratificazione che hanno nella realtà, livelli di profondità dalla polvere alla falda acquifera: “Mi interessa l’uomo nella sua pienezza, dalle manifestazioni più frivole alle motivazioni più profonde”. Dal letterale all’anagogico, una scrittura dai modi quasi sapienziali, che si imbatte in un Dio che potrebbe alleviare i tormenti dell’uomo, ma il cui modo di agire è rivestito anch’esso di mistero: “Ho una gran quantità di domande su Dio. La presenza di Dio nella mia vita è costante, ma non ha forma di uomo, né tanto meno crocifisso. È un mistero che non so spiegare”.
In principio anche la storia era soltanto una domanda ritrovata da Jesus in uno dei suoi taccuini: “che cosa deve accadere perché un bimbo fuggito da casa decida di non tornarci”.
Intemperie è la risposta, tutt’altro che provvisoria.
TuttoLibri, La Stampa, 14 settembre 2013
Dai valore ad ogni singola parola. Grazie.
Alessandro, leggero sicuramente questo libro, credi che sia adatto a una ragazzina di 15 anni?
Pare il romanzo sia l’antidoto all’arsura dei deserti contemporanei, all’aridità di una superficie riarsa dai falsi miti che ci affamano d’affetto, quando la gola si fa caverna nell’intento di inghiottire il dolore…
Scavare perpendicolari al piano dell’orizzonte sino allo zampillare di falde acquifere sotterranee che plachino finalmente la sete di conoscenza e d’amore.
Come scrive Goehte nel suo “Canto dello Spirito sulle acque”: l’animo umano è simile all’acqua, dal Cielo viene, al Cielo tende, in un susseguirsi eterno di ciclico divenire.
Dissolversi alfine in algide correnti fluide, in verdi rivoli e setosi palpiti, che purifichino il tempio che custodiamo come colonne d’alabastro.
hola soy martina me gusta mucho el sito
Comprato oggi!!! mi ricordavo che lo avevi consigliato un po’ di tempo fa,,,grazie dei consigli di lettura. A me é piaciuto anche il libro “La piramide del caffé” di N. Lecca..sempre una tua dritta!
buona domenica!
Mi è sembrata la storia del mondo, sempre offeso ma mai p, rduto. un grande archetipo in cui ho ritrovato lưomo che piantava gli alberi di Giono e il tono del De profundis di Oscar Wilde, l’intima forza che ha già vinto nel momento stesso in cui maura il no che lo costringe alla fuga, a randagiare fuori dalla compiacenza e dall’ưmiliazione.
scusate i refusi (perduto, l’uomo)
vorrei proporti una cosa: scrivi un articolo sui romanzi più avvincenti e adatti ai ragazzi, lo chiedo a te perchè da quel poco che ti conosco mi posso fidare. sarebbe veramente una bella cosa, in modo che riesca a perdermi nuovamente tra le pagine di un libro. spero che tu prenda in considerazione l’idea, ma se sarai troppo occupato non importa. ti ringrazio per tutte le belle cose che pubblichi e per i tuoi magnifici libri.