Morte e resurrezione di Palermo: Falcone, Borsellino, Puglisi
Ho scritto qualche ricordo in occasione della beatificazione di Padre Puglisi.
Era una Palermo di sabbia quella del ’92-93.
Non la sabbia bianca di Mondello sulla quale fuggire dalla noia delle giornate scolastiche. Non la sabbia incrostata sulle macchine e le piante dopo una pioggia di scirocco. No. Era la sabbia nei sacchi a protezione delle camionette militari. Era la prima volta dopo la guerra che l’esercito veniva impiegato per ragioni di ordine pubblico. Dopo Falcone e Borsellino la città era sotto assedio, che neanche Beirut. L’operazione Vespri aveva riempito la città di militari. Solo l’esercito poteva proteggerla dall’assedio di sangue a cui l’avevano sottoposta i Corleonesi. Erano gli anni in cui frequentavo il liceo.
Per andare a scuola passavo tutti i giorni davanti alla casa di Falcone e c’era quell’albero sopravvissuto in modo paradossale, come spesso la vita in Sicilia, in mezzo al cemento. Quell’albero era fiorito di pezzi di carta. Dopo Capaci tutti avevano lasciato il loro messaggio a Giovanni Falcone. Era pieno di disegni di bambini, costretti a disegnare in una città che si fregia di essere tutto porto, ma poi le macchine saltano in aria proprio accanto a quel mare. Una città che a detta di un geografo della corte normanna “fa girare il cervello a chi la guarda”. Inconsapevolmente ne definiva l’essenza, tanto bella e complessa da far girare non solo gli occhi, ma anche il cervello a chi cerca di conoscerla.
Borsellino lo incontravo di domenica nella parrocchia di Santa Luisa, dove qualche giorno fa si è radunata una folla silenziosa per i funerali di Agnese, sua moglie. Lui arrivava un po’ dopo l’inizio della Messa per non destare troppo scompiglio. Con la scorta, in fondo. Anche io arrivavo un po’ dopo, per pigrizia. E così lo vedevo. Vicino c’era una stazione della via crucis che rappresentava il Cireneo, un uomo “costretto” a portare la croce di Cristo. Borsellino gli assomigliava, con i suoi baffoni. Poi un giorno di luglio “il botto” e un fungo atomico tra i palazzi. Via d’Amelio era saltata in aria con lui e la sua scorta. Così il Cireneo non c’era più, era rimasto schiacciato dalla croce. La croce di Palermo che Borsellino definiva diversamente dal geografo arabo: “Non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla. Perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare”.
Poi c’era quel sacerdote del liceo Vittorio Emanuele II. Accanto alla Cattedrale arabo normanna che sembra una castello di sabbia costruito su un azzurro indicibile da qualsiasi aggettivo. Le cupole corallo di San Giovanni s’incendiavano lì vicino, l’oro dei mosaici della cappella palatina incastonata nel Palazzo dei Normanni ricordava che da quelle parti un giorno c’era stato l’eden e ne era rimasta qualche tessera. Il volto tragicamente sereno del Cristo pantocratore sembrava sapere che per amare quella città bisogna passare dalla croce.
E lo sapeva Padre Puglisi, professore dalla fine degli anni settanta fino alla morte, anche quando nel ’90 era stato chiamato a fare il Cireneo a Brancaccio. Nel ’93 io avrei cominciato il quarto anno. Negli anni passati lo vedevo per i corridoi della scuola, sempre con quel sorriso che aveva anche quando gli hanno sparato. Quel sorriso che fece passare notti insonni al suo assassino, autore di 47 omicidi. Il sorriso del “parrino”, quello vero, quello che dà la vita, non quello che te la toglie, aveva condannato l’assassino a pensare che lui era di più di ciò che faceva e forse per questo finì col pentirsi e confessare tutto. Quel sorriso lo vedevo tutti i giorni. Non era professore della mia sezione, ma capitò di conoscerlo per qualche supplenza o qualche chiacchierata in corridoio.
A differenza di altri insegnanti di religione l’ora di religione non era dibattito su temi di attualità, lui faceva lezione: di religione. Lettura, spiegazione e riflessione sui testi biblici. Non si può uscire dal classico sapendo chi siano Telemaco, Aiace e Antigone e ignorando chi siano Abramo, Davide e Giobbe. E nessuno, anche chi non credeva, si sentiva minacciato. C’era la curiosità della conoscenza. Non c’era “dibattito” ma “dialogo”. Sì perché avevamo imparato che in greco dialogo è il “-logos” che passa attraverso (dia-) le persone che cercano la verità, a differenza del dibattito che servo solo a inasprire le posizioni di partenza. Nel dibattito vince chi ha ragione, nel dialogo vince la verità e le persone si rispettano più di prima. Forse solo così il cervello può smettere pirandellianamente di girare e di ripetere che in questa città “la verità è colei che (la) si crede”.
Padre Puglisi diceva le cose con fermezza e calma, senza effetti speciali, poi lasciava che la parola lavorasse nel petto e nel cervello dei ragazzi. La sua era una pedagogia della libertà: la suscitava, te la metteva in mano, poi eri tu a dover scegliere cosa farne. Non imponeva la conoscenza, ma la lasciava accadere in te, suscitando domande di fronte alla meraviglia ora incantevole ore tragica del mondo. Quell’anno non tornò a scuola. Gli avevano sparato il giorno del suo compleanno, il 15 settembre, giorno della Madonna Addolorata.
Intuii che volevo fare l’insegnante. Padre Puglisi mi fece capire come farlo. Un uomo che per me incarna quelle parole di Calvino “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno è quello che è già qui. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno e farlo durare e dargli spazio”. Padre Pino con il suo sorriso, con la sua testardaggine, con il suo amore a Dio che si manifestava nel modo in cui celebrava i sacramenti, con il suo credere nei ragazzi anche i più difficili, liberava i pezzi di paradiso incastrati nell’inferno e li faceva durare e dava loro spazio, come se ricomponesse un mosaico prezioso distrutto da incuria, dimenticanza, odio.
Per questo spero di riuscire prima o poi a scrivere un libro su quella Palermo di morte e rinascita. Le tenebre non sopportano la luce, da che mondo e mondo, ma per quanto possano tentare di ghermirla, non riescono mai ad afferrare la luce, a soffocarla. Raccontare di Falcone, Borsellino e padre Puglisi non è raccontare di morte, ma della luce di Palermo, della Sicilia e dell’Italia.
La Repubblica, Palermo 25 maggio 2013
grazie per questo ricordo e queste parole che toccano nel profondo.
Sono sicura che riuscirai a scrivere il libro sulla tua amata terra! Grazie per le parole che hai dedicato a questi piccoli grandi uomini.
Laura
caro professore, anche lei è una luce per tanti ragazzi…il suo parlare di Dio sempre, nei libri, nei post, negli articoli, fa riflettere tanti ragazzi: evidentemente ciò che il Beato Don Pino Puglisi (zio Pino per Ficarra e Picone), quando lei frequentava il liceo, ha seminato ha portato frutto…molto frutto! Grazie a Dio ci sono ancora uomini e donne di buona volontà in questo “inferno”.
grazie x cio’ che hai scritto ,Dio ti benedica è possa avere cura di te sempre ……..nn c’è morte senzauna resurezione .
… Padre Puglisi credeva nel Paradiso, qui e ora… che grande dono poter vedere la vita (tua e degli altri) con gli occhi dell’eternità…
Grazie!!!
Grazie…Se la commozione è segno di condivisione profonda,devo dire che mi sono commossa, tanto tanto…Grazie ancora!
Grazie.
Scrivi tante cose belle, ma l’umiltà di custodire e trasmettere queste memorie, piccole e così luminosamente vere, è forse la cosa tua più bella che ho letto.
Brividi
Falcone e Borsellino sono due persone che hanno scelto di fare il proprio dovere fino in fondo.
In loro il “chi erano” combaciava perfettamente con il “cosa facevano”.
In nome della giustizia e della verità hanno perduto la propria vita terrena.
La società civile li ha proclamati eroi.
Don Puglisi è, nell’ordine, un uomo, un cristiano e un prete.
E come tale è vissuto, fino all’ultimo istante della sua vita.
La Chiesa lo ha proclamato Beato.
Se uno ci pensa bene è tutto rovesciato.
L’esempio di chi sceglie di essere semplicemente quello che è, di fare il proprio dovere,
risulta così straordinario; mentre è ordinario il comportamento di chi si gira dall’altra parte,
di chi rinnega se stesso e accetta il compromesso per il quieto vivere.
Io penso che avremmo bisogno di meno santi e meno eroi.
Se solo riuscissimo ad essere più uomini e più donne, forse si potrebbe fare…
Ho appena finito di leggere l’articolo.
Complimenti è bellissimo.
Io stimo molto Borsellino, Falcone e quelli che, come loro, hanno lottato contro la malavita.
Grazie Alessandro di ricordarci la testimonianza di vita di queste tre persone, di ricordarci la loro capacità di donare la propria vita fino in fondo. Loro sono stati capaci di una fedeltà quotidiana ai loro talenti messi a disposizione senza riserve per il bene di tutti, per la crescita umana e spirituale di tante persone.
Per me imparare a ricevere e a donare è sempre uno stimolo a giocarmi un po’ di più…. Grazie!
Felicetta
Caro Alessandro anche io ho frequentato il tuo stesso liceo ed ho avuto l’onore di conoscere padre Puglisi , anche io oggi sono un’insegnante e mi sono ritrovata perfettamente riflessa nella tua testimonianza su di lui. Un paio di settimane fa Gregorio Porcaro è venuto a scuola mia a testimoniare chi fosse don pino e come ha cambiato il destino di tanti ragazzi di brancaccio, ci ha parlato di quella luce di palermo che tu citi nel tuo articolo. Devi proprio scriverlo quel libro Alessandro, il mondo ha bisogno di poesia e di verità…
C’è bisogno di scrivere e parlare sempre più di mafia, c’è bisogno di creare una forte cultura della legalità, per poter ripartire e puntura sui giovani.
Non scordiamo che la mafia nasce come anomalia culturale, e su questo terreno dobbiamo iniziare a batterla.
Il muro dell’omertà e dell’indifferenza è il primo ostacolo da radere al suolo.
Ognuno nel nostro piccolo può e deve dare un contributo, lavorando sul proprio territorio e a stretto contatto con le scuole e la comunità.
Buon lavoro anche a lei prof..
Quanta verità in questo articolo.quanti scorci di riflessione nelle tue parole. Bravo!
Grazie Alessandro per avermi fatto conoscere quest’uomo così ordinariamente folle fino alla morte e resurrezione.
Grazie Beato 3P 😉
Grazie per le queste parole. Mi danno forza per cercare di essere straordinario nel quotidiano, di cogliere il positivo che è intorno a me per vincere il male! Io ti prenoto il libro che scriverai sulla tua Palermo di questa nostra Italia. Ciao e buona Domenica!
Stupendo. Da far venire i brividi. Quando lo scriverai, quel libro sarà un pezzo di Paradiso in più liberato dall’inferno.
Che articolo sentito, straziante! Ti hanno lacerato il cuore, fatto a brandelli l’anima con i chili di tritolo,
rubato il professore che adoravi, ma non v’è odio, nè rancore, solo umana pietas e il coraggio di proseguire a testa alta nella Sicilia dei padri, antichissima, straziata eppur gloriosa e santa!
Possa tu strappare le nuove generazioni alla spirale di vendetta, omertà e odio, sia il tuo Amore mezzo per conquistare cuori alla giusta causa e alla Risurrezione della Giustizia e umana Misericordia!
TI VOGLIAMO BENE ALESSANDRO, COME IL MARE, COME IL CIELO, COME DICONO I FANCIULLI SENZA MACCHIA…PREGA PER NOI, NOI PER TE, PER SEMPRE!
Straordinario e struggente questo articolo…Congratulazioni all’autore!
Il seme caduto in terra muore e produce frutto! Hanno speso tutta la vita affinchè pezzi di paradiso rilucessero in mezzo all’inferno … Per questo li hanno fermati…. Ma chi lo ha fatto non ha calcolato la logica del seme. Oggi da quei semi sono cresciute grandi piante, con fiori, frutti… E altri semi… pronti di nuovo a morire per trasformarsi in piante. Questa è la vita che in fondo tutti desideriamo… Una Vita che tende Oltre perchè crede in una positività ultima!
Dimostriamo ai nostri figli, ai nostri ragazzi che la nostra vita riposa su questa certezza.. una positività ultima, nonostante tutto. Se lo vedranno in noi…vorranno capire e imparare a vivere anch’essi così!
…adesso capisco perché sei così!Ieri sera ho seguito il programma su Rai1 su 3P e mi sono spiegata tante cose. Adesso tocca a me: è ora di essere positivi e di non fermarsi a vedere il positivo! Grazie prof!
Queste figure sono stelle che brillano per ricordare che non c’è solo il buio e sono sicura che anche la loro morte ha un senso. Però è difficile accettare un equilibrio tra inferno e paradiso e ritrovarsi sempre a constatare che le cose sembrano non cambiare mai…
Muy buen artículo! Muchas gracias!
Yo también espero ese libro de Palermo vivo!
Grandi uomini.. grandi azioni!
Caro prof, attendo il libro su Palermo.
Chi meglio di te che ci sei nato?
Ho gradito il tuo scritto, perchè non è la solita commemorazione “ammuffita”, ma ricordo attuale che apre alla speranza.
solo oggi ho trovato tempo di leggerti, per fortuna!
Grazie!!! e… anche se non sono di Palermo custodisco il tuo desiderio di scrivere un libro sulla tua città, sr. Cristiana
Grazie. I tuoi scritti aprono la mente e il cuore. E un’infinita gratitudine a chi ci ha in-segnato ad in-segnare. Aspettiamo il tuo libro su Palermo.
Con stima.
Verbena
Quello che sicuramente colpisce della vita e della storia di don Pino è il suo modo di vivere la religiosità e la sua vocazione:don Pino non vuole evangelizzare il quartiere Brancaccio,come tutti si aspetterebbero da un prete. Fa qualcos’altro:togliere i bambini dalla strada e far rinascere il quartiere. Gli vengono sbattute tante porte in faccia,dalle istituzioni alla Chiesa stessa Quella della Chiesa è forse quella che più lascia di stucco:padre Puglisi non chiede al cardinale nulla di più se non una sempice parola per un centro nato per la gente e una benedizione E il cardinale scappa,negando poi di non avere mai dato un appuntamento al padre e alle tante persone presenti in chiesa quel giorno per la benedizione. Perché il cardinale scappa? Ha forse paura? Quello che emerge dal libro e che anche la Stancanelli sottolinea è che la chiesa si vuole tenere ben lontana dalla mafia e dalle sue dinamiche:sarà solo papa Giovanni Paolo II a schierarsi contro la mafia gridando il suo “convertitevi” dinanzi alle folle,che padre Puglisi commenta con un semplice “Era ora”che la dice lunga sul rapporto chiesa-mafia. La figura della chiesa rimane quindi estranea a queste faccende,dimenticando però che dentro il fenomeno mafioso sono presenti anche bambini:poveri personaggi cui viene,a poco a poco,affidato un copione che accettano pensando sia la risoluzione di ogni problema. É a loro che Pino Puglisi dedica tutta la sua vita: non vuole che spaccino droga e si prostituiscano,non vuole che rubino e vivano nell’ignoranza. Per questo,attraverso il gioco,vuole insegnare lo stare insieme e la legalità. Vuole anche una scuola media,costruita soltanto dopo la sua morte . Il suo metodo funziona:i bambini imparano che essere uomini non vuol dire prevalere sull’altro,ma il rispetto reciproco(un esempio straordinario è quello del ragazzino di aver rubato uno stereo da un’auto che,pentito,lo restituisce e dà dei soldi per le riparazioni del finestrino).
Ciao Alessandro, in quale libro, di quelli in commercio, posso “incontrare” il vero don Pino? Ho una bella immaginetta di don Pino proprio sotto il mio Crocefisso, immagine scartata fra quelle scelte per una cappellina della chiesa di s. Ernesto a Palermo. E mi sento chiamata da quest’uomo a un colloquio più intenso. Puoi aiutarmi?
Buona vita!
Hai letto, scusa la citazione, il mio Ciò che inferno non è? Se vuoi leggere una ottima biografia ti consiglio quella di Francesco Deliziosi.
Grazie Alessandro, sei sempre troppo buono nei miei confronti. Ti seguo con affetto e stima
Possano smantellarsi presto le strutture di peccato che impediscono di librarsi in pace a coloro che sarebbero stati difensori concreti del parroco, qualora fossero vissuti insieme a lui durante le sue predicazioni.
Bisogna sempre reagire e operare per portare ordine, giustizia e difendere la vita degli operatori di pace specialmente quando sacerdoti. Non si lascino mai e poi mai soli in mezzo ai lupi.