Ultimo banco 225. La tregua di Natale
Che cosa c’è nei pacchi sotto l’albero? La prima cosa che vediamo è la carta colorata che cela e rivela al contempo. Quindi prima di tutto sotto l’albero troviamo l’attesa. Se nelle altre occasioni i regali appaiono alla consegna, a Natale li pre-vedi, ma devi attendere. Quante ipotesi facevamo da bambini… se ancora ricordo regali tanto attesi (la pista delle biglie, il castello medievale…) è perché l’attesa diventa memoria. L’attesa ha infatti la stessa pasta dell’attenzione, “teso a” (ad-tendo): per ricevere il mondo bisogna andargli incontro. “È in attesa” una donna che prepara una vita e lo fa con mille attenzioni, cioè cure. In inglese “attento” è “careful”, cioè “pieno di cura”, “accurato”, e in fondo anche “curioso” viene da “cura”.
È proprio la carta dei pacchi che quindi permette che ci sia una “sorpresa”. Essere sorpresi è infatti l’unico modo di innamorarsi della vita. Sorpreso viene da super-preso: preso in alto, sollevato. La sorpresa tira fuori dalla prigione delle abitudini mortifere e dell’uguale, invitando a vedere e agire diversamente, perché nessun problema può essere risolto rimanendo al livello di ciò che l’ha creato, come l’atomica con altre atomiche o la noia con le distrazioni. C’è bisogno di un livello superiore di realtà, qualcosa di nuovo. Dove trovarlo?
La nostra caccia al nuovo è spesso affidata all’ultimo modello di qualcosa (certe code davanti ai negozi tradiscono il sacro secolarizzato e il suo rito: il saldo), che però non basterà perché l’ultimo modello è solo il meno vecchio e sarà presto superato, noi invece vorremmo il nuovo che non invecchia, il modello per sempre ultimo. Perché noi vogliamo l’eterno, per non morire. Insomma nella carta dei pacchi, tra attesa e sorpresa, cerchiamo la vita eterna, cioè la vita che non si rovina e non si ripete, che è nuova e si rinnova. Proviamo ora ad aprirli “i pacchi” (la trasmissione televisiva più seguita non è l’illusione di un Natale giornaliero?) per vedere se la contengono.
Si dice che le persone ricche comprino tempo, quelle povere oggetti, quelle pigre distrazioni, quelle intelligenti conoscenza. Senza dubbio una semplificazione, che però mette sulla buona strada: in quei pacchi cerchiamo ciò che più assomiglia alla vita eterna, tempo e spazio “materializzati”, oggetti e progetti che possano allungare e rinnovare la “solita” e “breve” vita. Non è un caso che nella narrazione cristiana il Natale racconti l’inverso: l’eterno, cioè tutto il tempo e lo spazio, vita sempre nuova, si incarna in uno spazio-tempo limitato, colui che si dice il figlio di Dio nasce nella stalla di uno sperduto paesino della Palestina. Insomma a Natale noi cerchiamo l’eterno e l’eterno cerca noi. Ma possiamo noi mortali averlo l’eterno? Sì. La vita che si rinnova sempre è proprio nel qui e ora con il suo limite: “presente” in italiano significa anche regalo. E come? Proprio nella forma che l’eterno si è dato entrando nel qui e ora, nel noi: Figlio e Fratello, amato e amante. Un’utopia? No. L’umano nell’uomo, purché l’uomo se ne ricordi.
È accaduto a uomini che il 24 dicembre del 1914 si ammazzavano tra loro in piena Guerra mondiale. Nelle trincee delle Fiandre, a sud di Ypres, in Belgio, alcuni soldati tedeschi cominciano ad accendere delle candele sul bordo della trincea, intonando canzoni natalizie. Sull’altro fronte gli inglesi rispondono unendosi a un canto noto anche a loro che, intonato in lingue diverse (Stille Nacht, Silent Night, Astro del ciel…), abbassa difese e fucili, spingendo i soldati a incontrarsi proprio sulla linea del fronte. Si parlano, si stringono la mano, si abbracciano. È la vigilia di Natale e la prima cosa da fare è scambiarsi i regali (vestiti, cibo, tabacco, dolci, grappa…) e racconti. Si celebra la messa, si seppelliscono i morti. L’indomani si disputa anche una partita di calcio. Uno dei presenti racconta in una lettera ai familiari la scoperta della vita eterna nel qui e ora, nel noi, quello che tutti abbiamo in comune (essere figli e fratelli) e che è più reale di ciò che ci separa: “Sono proprio come noi: hanno madri, fidanzate, mogli che aspettano il nostro ritorno a casa” (in La tregua di Natale – Lettere dal fronte, a cura di A.Del Bono). Quegli uomini capiscono che l’amore per la vita, per la casa, per il proprio Paese, manipolato (come racconta amaramente Remarque in Niente di nuovo sul fronte occidentale) da menzogne, propaganda e avidità, era stato trasformato in energia distruttiva contro presunti nemici, che invece erano “come noi”, erano “noi”. Quell’unità profonda di tutte le cose che già un filosofo greco aveva chiamato logos del cosmo, che Giovanni dice essersi incarnato all’inizio del suo vangelo, e che Francesco d’Assisi tradurrà dando del fratello o sorella al fuoco, all’acqua, alle stelle… e persino alla morte. Se tutto è “figlio” (se il logos, la logica, della realtà è la filiazione), tutto è “fratello/sorella”, chi non lo vede si muove in superficie o in malafede. Come i capi di Stato maggiore di entrambi gli schieramenti che, chiusi nei loro palazzi e ragionamenti, si affrettarono a sostituire quelle truppe con altre unità, cercando di cancellare l’accaduto e la sua memoria, anche grazie alla stampa di regime. Non mi pare che 110 anni dopo sia cambiato molto in alcune teste.
Bisogna tornare a quel canto di Natale che provocò la tregua, come ha fatto nel dicembre 1983 Paul McCartney pubblicando la canzone Pipes of Peace, nel cui video mette in scena proprio la tregua natalizia del 1914, ed è lui stesso a interpretare sia un soldato inglese sia un avversario, i quali cantano, ciascuno dalla propria trincea, le stesse parole: “Help me to learn/ Songs of joy instead of ‘Burn, baby, burn‘”. È invece del 2005 il bel film di Cristian Carion che racconta quella tregua di Natale: “Joieux Noël – Una verità dimenticata dalla storia”, ricostruito attraverso le testimonianze dei presenti, tra le quali quella del diario del sergente inglese Bernard Joseph Brookes: “È stato un Natale ideale, lo spirito di pace e buona volontà cozzava con l’odio e la morte dei mesi precedenti. È stato sorprendente che un simile cambiamento nel comportamento dei due eserciti opposti sia stato generato da un evento accaduto una notte di duemila anni fa”. Sorprendente lo è sempre la vita eterna, l’unica che dà pace agli uomini, quella che non entra nei pacchi sotto l’albero, che però ci indicano dove cercarla: in una stalla in cui l’eterno abbraccia la condizione umana nella forma di un bambino che un giorno oserà dire “Sono venuto perché gli uomini abbiano la vita e l’abbiano in sovrabbondanza” (Gv 10).
Chissà che a star più “attenti” questa “incredibile sorpresa” non possa suggerirci una forma nuova di vita, qualcosa di nuovo sul fronte occidentale, tirandoci fuori da qualche trincea personale, familiare, sociale in cui ci siamo ficcati per proteggerci da nemici creati dalle nostre paure o dalla nostra malafede.
Buona tregua di Natale a tutti.
Corriere della Sera, 23 dicembre 20254 – Link all’articolo e ai precedenti