Ultimo banco 45. Crisi di nervi
“La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che nascono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, fa violenza al suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è l’incompetenza. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Nella crisi emerge il meglio di ognuno”. Il primo giorno di scuola scrivo alla lavagna le parole che vorrei illuminassero l’anno da inaugurare e costringo i miei alunni a impararle a memoria, perché ricordino le coordinate della rotta in ogni istante della navigazione. L’anno scorso avevo scelto Sant’Agostino: “Nutre la mente soltanto ciò che la rallegra”. Quest’anno, dato il clima poco allegro, ho scelto invece le parole di un fisico che amava studiare, ma non amava la scuola: Albert Einstein. Mi sembrano perfette per affrontare la paura che ci sta paralizzando e per trasformarla in una sfida. Le soluzioni fisiche non bastano mai, servono quelle metafisiche, perché l’epicentro dei terremoti esistenziali non è in superficie: o cambiamo visione del mondo o avremo sofferto invano. La vita si ribella a schemi e strutture che le imponiamo, soprattutto se, con il passare del tempo, questi schemi e queste strutture non sono più d’aiuto, anzi sono diventate una trappola. A scuola questo è ormai più che evidente.
Il dono che ci fanno le crisi è una rivelazione dolorosa: attraverso la ferita il tessuto della vita ci mostra come vuole essere curato e non più trascurato. Per questo c’è bisogno di mani accorte. “Crisi” è infatti un termine d’origine greca che, fin dall’Iliade, indicava il gesto di separare, nelle spighe, il grano dalla pula: il primo darà pane, il secondo paglia. Un pensiero acritico, cioè privo di crisi, pasticcia tutto: non riconosce la differenza tra la pula e il chicco, tra un banco e un ragazzo. Si parla da mesi dei banchi e del loro distanziamento, necessità risolvibili con un po’ di competenza e buon senso, invece questi discorsi hanno occupato, fino al ridicolo, tutto lo spazio che dovevamo impegnare a raccogliere il grano, che a scuola è ciò che siamo impegnati a far crescere: le vite di maestri e studenti. L’epidemia dell’incompetenza, di fatto, a scuola c’è da anni. Quattro esempi tra i tanti: dal 1999 solo tre concorsi per reclutamento (per legge dovrebbero essere triennali), l’anno scorso 150mila (quest’anno si toccheranno le 250mila) cattedre scoperte su 850mila (precari e supplenti costano meno), 15% di abbandono scolastico, insegnanti di sostegno insufficienti. Sono gli effetti di un sistema sempre in ritardo e non regolato sulle persone, ma su criteri asetticamente economici e interessi politici, avallati spesso da cittadini disinteressati. Eppure la moltitudine di regole che ci sta soffocando in queste ore segnala il centro di gravità: proteggere la vita. Quale vita abbiamo protetto in questi anni, a scuola, con la stessa determinazione con cui compriamo banchi e mascherine? Anche se riusciremo a non fare ammalare nessuno, riusciremo a far crescere qualcuno? Quanti studenti e maestri si spengono perché nessuno si occupa veramente di loro, mettendoli in condizioni di insegnare e imparare come si deve? Il malessere è prima ancora “mal essere”: se in questi anni avessimo curato chi vive la scuola con lo stesso impegno profuso per sanificarla, la scuola forse oggi sarebbe più sana. Ricordiamoci però che le regole servono a proteggere la vita, non bastano a dare la vita, che nasce e cresce con relazioni generative e qualità professionale. Una scuola ridotta a intrattenimento mattutino, contenitore asettico di vite, distributore di pillole per cervelli senza corpo e futuro, non è un vivaio di vocazioni ma di frustrazioni. “La scuola deve educare al pensiero critico”: lo avrete sentito dire sino alla nausea. Ma se “critico” non significa rendere capaci di trovare l’essenziale, la scuola educa solo al pensiero caotico e manipolabile.
Fino a nove anni Einstein anticipava sottovoce una frase prima di pronunciarla perché aveva gravi difficoltà espressive. Non parlava quasi per nulla e questo modo di essere “originale”, che lo rendeva “strano” agli occhi degli insegnanti, lo portò a sviluppare un’immaginazione senza pari, il segreto delle sue scoperte: sin da bambino sognava di andare alla velocità della luce per scoprire come si vedesse il mondo. E con questo sogno, mai tradito, scoprì la relatività. Dopo la laurea si guadagnava da vivere in un noioso ufficio brevetti in cui, sbrigato il lavoro da fare, coltivava la sua vocazione alla fisica e così, a 25 anni, scrisse, proprio in quel polveroso ufficio, i quattro articoli che hanno cambiato la visione del mondo. Buona crisi a tutti, sperando non sia solo di nervi…
Corriere della Sera, 14 settembre 2020 – Link all’articolo e ai precedenti
È nella crisi che nascono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie.
Grazie Prof. perché attraverso l’ultimo banco 45 hai ridisegnato come sempre la realtà che ci circonda . Orgoglioso di seguirti ma soprattutto di riportati nel mio quotidiano e di quelli che mi circondano.
Grazie a lei, Marcello. Buon lavoro e buona giornata
A volte, una crisi proficua si trasforma in una crisi di nervi.
Nel corso degli anni, politiche e strategie sbagliate non hanno fatto altro che tradire il messaggio culturale e spirituale della scuola. Nemmeno lo si può definire tradimento : hanno condotto la Scuola al macello, con i tagli all’istruzione.
Non si può soffocare il grido derivante dalle ingiustizie e dei soprusi e se lo si fa, questo ha delle conseguenze. Ecco, la crisi di nervi non è più un sintomo di malattia, come abitualmente siamo abituati ad interpretarla, ma un sintomo di salute.
Se non gridiamo più all’ingiustizia, questo può significare due cose : o che siamo assuefatti o che siamo conniventi rispetto a questo sistema che ingabbia per davvero.
La crisi di nervi non è nient’altro che un urlo oppure un urlo represso e anche se questa società perbenista non riesce a comprendere la sua portata, è fondamentale per non assuefarsi ai soprusi.
Troppo spesso ci sono mani astute, scaltre che si arricchiscono sulla distruzione della scuola e si cibano delle sue macerie.
Per questo insegnanti ed alunni devono stare attenti a non lasciarsi stritolare da questo sistema crudele e ipocrita.
Ma la scuola insegna che non si può coltivare i propri sogni tradendo la vita delle persone che la abitano.
Per questo dobbiamo lottare contro la distruzione dell’istruzione.
A volte, una crisi proficua si trasforma in una crisi di nervi, ma mi piacerebbe che fosse anche il contrario.
vuole dirci che la vita senza problemi,ostacoli,e sfide sarebbe noiosa e verrebbe seguito sempre lo stesso schema quotidiano,e proprio durante una situazione difficile una persona da il meglio di sè.