Ultimo banco 12. Un mondo senza te
Jack Malik vuole diventare un cantautore di successo ma a malapena riesce a intrattenere i bambini alle feste. Dopo l’ennesimo fiasco decide di appendere la chitarra al chiodo ma, mentre torna a casa in bicicletta, il mondo si spegne per qualche secondo a causa di un inspiegabile black-out globale. Un autobus lo travolge e si risveglia in ospedale, fisicamente malconcio. Quando finalmente viene dimesso, i suoi amici improvvisano una festa e, per tirarlo su di morale, gli chiedono di cantare una canzone. Jack non ha dubbi: Yesterday dei Beatles. Tutti restano sbalorditi, le loro orecchie non hanno mai sentito nulla di così bello: «Che cos’è?». Jack risponde che è la canzone più bella di tutti i tempi. «Adesso non montarti la testa!». Jack non capisce, nessuno la conosce… anzi nessuno conosce i Beatles. Ma ecco svelato il mistero: a causa del black-out tutti, tranne lui, li hanno dimenticati: il gruppo non è mai esistito. Così un mediocre cantautore di provincia riscrive i loro successi spacciandoli per suoi e diventa una star planetaria. È l’idea geniale che Danny Boyle, regista di Trainspotting e The Millionaire, cerca di raccontare, tra il comico e il sentimentale, nel film Yesterday: come sarebbe il mondo senza Beatles? Che cosa mancherebbe o avremmo perso?
È una domanda che mi pongo prima di ogni lezione, perché devo giustificare agli alunni che cosa mancherebbe alla nostra vita se non avessimo quell’autore. Spesso a scuola riduciamo opere e autori a risultati di fattori che li precedono, ma le cause storiche, sociali, economiche, biografiche, stilistiche… non bastano mai a giustificare una novità. Ciò che giustifica un’opera è, infatti, proprio ciò che prima non c’era: il nuovo che ha portato al mondo, la verità finora nascosta o dimenticata, il ponte che ha gettato tra noi e il senso della vita. Senza questo rapporto tra opere e ricerca della verità, riduciamo tutto alle sole questioni formali o emotive: «Non faremo il Paradiso di Dante perché è noioso» ha detto di recente una docente ai suoi studenti, come se ci si rifiutasse di studiare la termodinamica o la tavola periodica.
Una grande opera rinnova il mondo o almeno la visione che ne abbiamo, un autore non crea ciò che già sa ma ciò di cui ha bisogno, perché la vita, così com’è, non gli basta: inventare in origine significava trovare, una «trovata» è infatti la scoperta di ciò che ancora non vedevamo. In questa rubrica provo a raccontare tutto da questa prospettiva: che mondo sarebbe senza Odissea, Commedia e Delitto e castigo? Come dire: che sarebbe senza relatività, eliocentrismo e elettromagnetismo? I capolavori, in arte e scienza, ci ricordano che per vivere abbiamo bisogno di cercare la verità: senza siamo perduti come un Ulisse a cui venga detto, mentre lotta per tornare a casa, che Itaca non esiste più. Senza Beatles io non avrei avuto l’energia sprigionata dai vecchi 33 giri dei miei fratelli, ascoltati a ripetizione, chiuso in camera a contrastare le tristezze dei miei 16 anni e a cercare gli accordi sulla chitarra per far mio il rifugio di quelle note.
Adattiamo la sfida del film Yesterday a ciascuno: che mondo sarebbe senza te? Come andrebbe la vita sulla terra se non fossi nato? Che opera devi fare, a prescindere dal fatto che migliori la vita di due persone o di due miliardi? Leopardi nello Zibaldone scriveva, delle sue poesie per lo più ignote o disprezzate dai contemporanei, che la sua gioia era quella «d’aver fatto una cosa bella al mondo; sia o non sia conosciuta per tale da altrui». Nella vita quotidiana definiamo le cose in base al loro fine: una barca che non galleggia non è una barca, un ombrello che non ripara non è un ombrello. Vale lo stesso per le persone: la felicità di un uomo o di una donna consiste nel realizzare il senso, cioè il fine, per cui è fatta, a prescindere dal consenso che questo può procurare. Il Jack di Boyle ci mostra che siamo indispensabili, ciascuno a suo modo, per la sinfonia del mondo, ma che non è il successo a far la felicità bensì la felicità a fare il successo, però non si dà felicità senza cercare il nostro fine, cioè la verità su noi stessi.
Qualche giorno fa alla redazione del giornale è giunta per me una lettera scritta a mano che diceva: «Sono un’anziana signora con poca cultura, che però ama la lettura. Ho ritagliato dal Corriere le pagine della rubrica perché mi procurano gioia e il desiderio di più conoscenza. Sei l’insegnante che avrei desiderato, se fossi stata così fortunata da poter continuare la scuola». I miei alunni non sarebbero d’accordo sull’ultima frase… ma queste righe mi hanno ricordato qual è il senso e la felicità della mia vita. E voi perché siete qui? Se lo chiede anche Jack quando incontra un John Lennon del tutto ignoto al mondo e gli chiede: «Sei stato felice nella tua vita?».«Sì, lo sono stato». «E hai avuto successo?». «Te l’ho detto: sono stato felice». E voi?
Corriere della Sera, 25 novembre 2019 – Link all’articolo e ai precedenti
Questo bellissimo articolo evoca in me le immagini di un film visto tanto tempo fa: “La vita è meravigliosa”. Il protagonista, a un certo punto, a causa di asperità e ingiustizie, vorrebbe togliersi la vita, ma gli appare il suo Angelo custode sotto sembianze umane che gli dice come sarebbe il mondo senza di lui e lo persuade a considerare la vita quale accadimento meraviglioso.
Sono passati davvero tanti anni da quando ho visto quel film ma, anche se il ricordo si è affievolito, la potenza di certe immagini e contenuti rimane in eterno.
Quella del suo articolo è una verità, ma ce ne dimentichiamo spesso.
Anche se il mondo cerca di convincerci del contrario, ciò che conta davvero è ricordarci chi siamo e qual è la nostra destinazione, trovare la nostra strada o ritrovarla. Questa è la struttura della nostra vita. Il consenso non è importante, soprattutto se non si tengono a mente queste coordinate esistenziali.
Eppure il mondo spesso dimentica e fa dimenticare. Crea nelle persone i falsi miti della ricchezza, della competizione e così via, senza ricordare che il maggior successo è trovare, passo dopo passo, la tua destinazione, anche senza ottenere nessun consenso.
Credo che, se Pirandello fosse ancora vivo, apprezzerebbe molto Boyle e Malik. Finalmente abbiamo un antieroe che si realizza nella vita quando questa è diventata priva di senso per tutti. Trovata amara e geniale, su cui sicuramente si deve riflettere! La letteratura, dal canto suo, ci mostra antieroi che muoiono, facendoci scoprire la vanità della vita. Penso, ad esempio, al Mastro don Gesualdo e alla sua frenetica esistenza trascorsa ad inseguire la “roba”, morendo da solo, con la sua distorta e stravolta visione dell’amore. E torno a pensare a Pirandello e alla vita intesa da lui come flusso continuo, nascosto e ingabbiato nelle forme più asfissianti delle convenzioni, delle ipocrisie.
È vero, un’opera d’arte può essere il ponte sospeso tra noi e il nostro senso della vita. E di un ponte si tratta, se sotto di noi si dilata quel vuoto interiore che squarcia le nostre certezze, quando queste ci crollano addosso e sotto i nostri piedi. Come prendere sul serio la vita?, diceva Pirandello, approdando al suo umorismo, dall’alto della scoperta di un tragico relativismo del pensiero che non sembra più abbandonarci. Forse proprio attraversando ogni volta quel ponte sospeso, alla conquista della vera felicità. Che cosa sarebbe un mondo senza ponti e senza di noi che li attraversiamo? Un mondo senza senso, senza felicità.