Ultimo banco 7. La risata di Joker
«AiAi! Chi avrebbe mai pensato che il mio nome, Aiace, si sarebbe accordato così alle mie sciagure! Ora sì che posso gridarlo due, tre volte: AiAi! poiché è immane la sventura che si è abbattuta su di me». Sono parole di Aiace nell’omonima tragedia di Sofocle, a cui ho assistito quest’estate nel teatro greco di Segesta. La brezza serale di fine agosto saliva dal Mediterraneo in dormiveglia sulla destra, temperando l’aria e amplificando la voce naturale degli attori. Attorno a noi l’oro della campagna immobile era macchiato dal verde dei filari delle viti. Come il tempio sulla collina eravamo incastonati tra cielo e terra, la bellezza abbassava le difese come il vino che quelle viti avrebbero prodotto e accettavamo terribili domande sulla vita e sul destino. È questo che deve fare l’arte: portarci, mentre ci incanta, al dunque della vita, liberandoci da luoghi comuni, superficialità e prigioni del cuore e della mente. Aiace ritiene la sua vita ormai inutile: le armi del defunto cugino Achille sono state date dai Greci non a lui, secondo in guerra solo al Piè Veloce, ma a Ulisse che le ha ottenute grazie ai suoi discorsi e alla dea Atena. Il mancato riconoscimento della statura eroica di Aiace scardina la sua mente che trama di trucidare i capi Greci ma, sviata da Atena, uccide, anziché i rivali, gli animali del campo. E ora? A vergogna s’aggiunge vergogna, e l’eroe, che ha contro dei e uomini, per avere la rivincita su di loro, rivolge la spada contro se stesso: il suicidio è per Aiace l’estremo gesto di ribellione con cui recuperare tragicamente la sua statura eroica.
Il mito è l’orizzonte di senso che l’uomo strappa alla vita, ieri come oggi. Achille, Aiace, Ulisse… sono racconti (mythos significa «racconto») che sempre rinascono per sbrogliare la matassa: senza i miti noi perdiamo il filo del discorso della e sulla vita. Oggi la funzione mitica è affidata anche agli eroi dei fumetti, come il Joker che spopola nei cinema, non solo per l’interpretazione di Joaquin Phoenix, ma perché la domanda su come liberarsi dal male ci tocca sempre tutti. Joker, a causa di un passato nefasto, diventa egli stesso incarnazione del male che ha subito prima dalla famiglia e poi dalla società. La sua risata, disperata richiesta di aiuto più che tic nervoso, esplode all’improvviso, suo malgrado, a segnalare che, in un mondo folle, la follia è l’ultimo e il più efficace modo di dire la verità. Nato come nemico di Batman nel 1940, Joker viene regolarmente evocato per avere una risposta: Moore, Miller, nel fumetto, Burton-Nicholson, Nolan-Ledger, Phillips-Phoenix, nel cinema, per citare solo i più significativi, offrono ciascuno un filo alla narrazione del perché del male. Il mondo esce dalle nostre mani sempre al rovescio: ingiustizie, violenze, soprusi, menzogne… e Joker ritorna per obbligarci a guardare nell’abisso del male che subiamo e compiamo tutti i giorni. È la carta che sconquassa un gioco sbagliato, l’eroe del caos che ne rovescia le regole, smascherando l’apparente purezza dei buoni. Come? Per lui l’unico modo di liberarsi dal male è liberare il male che ha dentro, uccidendo chi lo ha generato, la sua vendetta è la «de-generazione»: vendicarsi della vita eliminandone ogni autore, da Dio in giù. Assassinando chi gli ha fatto del male, Joker libera la violenza della massa in attesa gregaria del suo eroe per sentirsi giustificata a sfogare insoddisfazione, rabbia e violenza. Il Joker in noi è il risentimento nei confronti della vita: anche a noi capita di volerci liberare dal male, compiendolo. E se qualche Joker apre la strada, ci sentiamo legittimati a imitarlo, ma la sempre ardua ribellione al male sta nel non diventarne parte e non identificarsi con esso, né dopo averlo ingiustamente subito, né dopo averlo consapevolmente compiuto. Non è vero, come dice il Joker di Moore, che «basta una brutta giornata per ridurre l’uomo più assennato in un pazzo»: il male si vince senza il male, si disinnesca solo col bene.
Aiace esce di scena, abbandonando familiari e amici, per affermare se stesso contro divinità crudeli e uomini falsi. Joker invece devasta la scena e rovescia il meccanismo di oppressori e oppressi ma, alla fine, al male ne sostituisce un altro, a parti invertite: i carnefici diventano vittime e le vittime carnefici. Se Aiace è l’aiai della condizione umana schiacciata dal male, Joker ne è l’apparente liberazione, ma la sua risata di sangue è solo una maschera dello stesso aiai. I due personaggi sono de-menti, resi folli dal male si illudono di opporsi con la distruzione di ciò a cui il male si attacca: la vita. Una soluzione dissennata perché ignara del fatto che il male è solo un parassita della vita, non il suo seme e principio generativo. Non è distruggendo la pianta di cui il male si nutre a sbafo che lo vinciamo, ma curandola e piantandone altre: generando e non de-generando. A noi la scelta.
Corriere della Sera, 21 ottobre 2019 – Link all’articolo e ai precedenti
Questo articolo lo trovo un po’ impegnativo… ma nel senso buono del termine perché ti offre l’opportunità di pensare.
Non è per niente facile decodificare e decifrare il male, il crimine.
Ricordo che all’università una mia amica mi spinse a scegliere l’esame opzionale di Psicologia della devianza. Mi si è aperto un mondo, anzi: un universo. Da questa magnifica disciplina appresi la motivazione di una carriera deviante. Perché una persona sceglie comportamenti devianti fimo a costruirsi una carriera nel male? Secondo l’approccio della psicologia l’individuo sceglie queste azioni per almeno due motivi:
1) la label theory= la teoria dell’etichettamento, dello stigma per cui il soggetto compie azioni che gli altri si aspettano da lui. È il classico teorema della profezia che si autoadempie ipotizzato da Thomas Merton e ripreso da Moreno: “Se le persone considerano come reali certe situazioni, esse lo saranno nelle loro conseguenze”. Secondo questa teoria applicata all’ambito criminale, le persone devianti si comportano così perché nessuno si aspetta qualcos’altro da loro e scatta un meccanismo di perpetuazione dei comportamenti criminali;
2) perché ne ricavano un vantaggio che può essere di tipo psicologico (se riesco a fare questo vuol dire che sono bravo. Sono un buono a nulla, ma in questo riesco).
Sempre nel programma d’esame c’era il libro “Delitti” di Vittorino Androli. Conobbi meglio il caso di Pietro Maso, Carretta e molti altri… Ho letto cose da far impallidire anche Joker, probabilmente.
Tutti quei casi sembravano un concentrato del male.
Sempre secondo l’approccio psicologico e psicoanalitico, una persona che da piccola ha sofferto di deprivazione affettiva, mancando le “figure di attaccamento”, può soffrire in età adulta di turbe di personalità. Joker non fa altro che confermare l’assunto della psicologia. Oggi alcune correnti come la medicina psicosomatica, tendono a definire la persona in rapporto al suo presente, non al suo passato. Tuttavia, la teoria della psicologia per cui il soggetto è condizionato dal suo passato è dura a morire.
Oggi il male ha tante forme. Quello che, per certi versi, mi fa più paura è il male causato dai Matchmenschen: gli uomini di potere : politici, mafiosi etc. È un male diverso da quello di Joker, anche se nessuno dei due è giustificabile, ma Joker ha subito un trauma, invece i Matchmenschen di oggi si divertono a tener in pugno la sorte delle persone cambiando le regole, aumentando le tasse, illudendo persone.
Quello che rimprovero alla psicologia è di non aver studiato abbastanza e approfonditamente le origini psicologiche del potere e della brama di potere.
Il male non è tutto uguale. Il male è anche di chi sta a guardare un Joker fare del male, senza fare nulla. Credo che l’omertà sia uno dei problemi di oggi, soprattutto in politica.
La frase di Martin Luther King : “Non temo la malvagità dei cattivi ma il silenzio delle persone oneste” può venirci incontro per essere cittadini consapevoli, uomini che hanno a cuore l’ambiente (è inutile andare a scomodare il pianeta Marte, abbiamo solo questa Terra per vivere) e denunciare il male: che sia bullismo o cyberbullismo, che sia violenza sulle donne o altro non importa.
Per questo, per me Joker non è l’incarnazione del male. Perché è uno degli attori se non degli attanti del male.
Ad aprire “Ultimo banco 7” un’immagine che insieme ad altre aveva pubblicato a fine Agosto dopo essere stato alla rappresentazione della tragedia di Sofocle a Segesta.
Grande capacità la sua di ritrovare le emozioni provate quella sera per portare a riflettere su quanto l’uomo abbia da sempre necessità di riconoscimento,fame d’approvazione e d’amore e come la privazione di questi elementi lo intristisca, lo faccia sentire inutile e lo possa anche far diventare cattivo o folle.
Sia Aiace sia Joker rappresentano la solitudine di chi non accetta le leggi del mondo in cui vive ed entrambi rendono manifesta la loro sofferenza difficile da governare.
Todd Phillips ha prodotto la metamorfosi di un personaggio dei fumetti che gli occorreva per occuparsi di atteggiamenti osservabili nella vita di tutti i giorni non facili da spiegare e analizzare col raziocinio. Joker è il simbolo del malessere e del caos del mondo,è un uomo che aveva il sogno di dedicarsi a far ridere la gente ma i soprusi che ha subito, di cui chiunque vorrebbe conservare solo l’agonia, lo fanno diventare sempre più strano. La sua risata è il verso isterico di un essere sottoposto a turbamenti del benessere psicofisico, è ribellione all’inferno che si porta dentro che lo tortura continuamente. E’ reazione involontaria e incontenibile, necessità di un’anima di esteriorizzare con un gesto liberatorio impulsi interni che vanno verso l’adempimento di azioni precise. Quello di Arthur Fleck è lo sghignazzo di un’entità che è frutto del conflitto tra lo spirito del profondo e lo spirito del tempo, il flusso degli eventi che è costretto a vivere lo conduce ad agire con un impeto impossibile da frenare.Una trama con molte rivelazioni , molte domande e la conferma che il male ricevuto può portare alla follia e la follia può far fare cose malvagie in un circolo vizioso che si aggrava.
In un mondo in cui è diventato difficile avere uno sguardo buono sulla vita e sulle cose in che condizione è la civiltà?
Se lo è chiesto Vittorino Andreoli in “Requiem” che è il resoconto di un singolare congresso che si tiene in una villa in cui tra i sette invitati a parlare di civiltà si alza la voce sconcertante dell’Adolescente che a fatica denuncia ciò che non va facendo rimanere gli adulti disorientati.
M.R.D.M.
P.S.
Ho trovato malinconici i suoi scritti su Instagram, questa settimana. Spero di sbagliarmi!
Nei quadri (chi li ha prodotti?) ci sono finestre spalancate, gruppi di case vuote arroccate vicino alla costa, strade deserte, qualche persona che guarda lontano e piccoli scafi nudi e inerti. Il mare calmo, ora assolato, ora azzurro, ora pieno di nebbia, non permette la navigazione. L’immobilità è totale.
Bisogna essere pronti a qualcosa che potrebbe accadere?!
Queste opere mi fanno pensare ad Hopper pittore della solitudine e dell’attesa ma anche a “Le città invisibili ” di Calvino.
E’ un gioco istruttivo costante seguire ciò che pubblica.
Grazie di tutto questo!
Trovato! E’ Michiel Schijver l’artista. Grazie!
Buongiorno,sono Federica Salvan di Rovigo che ha scritto commenti, il primo, ma soprattutto epistole al suo indirizzo, Prof.Alessandro.
Non posso restare inerte dinanzi alla questione aporetica del male.
Sono insegnante di Scienze umane, Filosofia teoretica, come espresso, spesso, nelle epistole.
Sono assai sensibile a tale tematica poiché é stata oggetto della mia dissertazione. nonché dei mie posteriori riflessioni.
Il male si contrasta con il bene, nonostante tutto, come si evince da P. Ricoeur, nella apposita opera.
E’ lezione da trasmettere e da coservare in un mondo fuggevole, diviso, ma che aspira alla concordia per evitare la disperazione di Aiace.
Grazie di cuore, Federica, per le tue parole.