Ultimo banco 6. La notte di Francesco
«O mio fratello fuoco, l’Altissimo ti ha creato splendido fra tutte le creature, forte, bello e utile. Sii buono con me e gentile. Io prego il Signore che t’ha creato, perché moderi il tuo calore. Così tu brucerai dolcemente e io potrò sopportarti». Sono le parole di Francesco d’Assisi quando il medico, con un ferro arroventato, sta per cauterizzargli la tempia come rimedio per curare la sua malattia agli occhi. Francesco dava del tu a ogni cosa, per lui non esisteva la «natura» come entità astratta ma quest’albero, non l’ «umanità» ma quest’uomo, non si prendeva cura del mondo ma delle circo-stanze (ciò che sta attorno), perché in ogni cosa vedeva la luce dell’esserci: il fuoco è questo fuoco, figlio dello stesso Padre, e quindi fratello. Grazie a questo guardare negli occhi ogni cosa e ogni persona, nel 1224 comincia la nostra letteratura con il Cantico delle creature. Ridotto spesso a ode sentimental-panteistico-ambientalista, è invece un inno scritto in un nascente italiano letterario dopo una notte di tormento, proprio a causa del dolore agli occhi, e infatti, nella (spesso dimenticata) seconda parte, Francesco loda Dio per coloro che «sostengono infirmitate e tribulatione in pace», cioè chi vive crisi e difficoltà in una misteriosa pace con se stesso: qualcosa che tutti noi vorremmo saper fare. Ma come possono mai il dolore e le crisi trasformarsi in canto e bellezza?
L’alba portò, insieme alla luce, i 33 versi (gli anni di Cristo) del Cantico, scritto sul modello dei salmi biblici. Poesia è dire-bene le cose, e Francesco le bene-dice tutte: come un cieco che torna a vedere, egli è così felice della loro ritrovata compagnia, dopo quella notte di dolore, che vuole ringraziare Dio con e per «tutte le creature» (v.5). La nostra letteratura comincia bene-dicendo, all’opposto del cieco quotidiano dire-male di cose e persone, a male-dirle di continuo. Per Francesco tutte le cose, essendo create da Dio, sono consanguinee: da fratello sole a sorella terra, passando per luna, stelle, vento, aria, cielo, acqua e fuoco. In questi elementi, nella prima parte, e nell’uomo, nella seconda, egli riconosce i tratti di un Creatore che è tale perché è Padre. Per lui ogni cosa è creatura, parola composta da creo (da cui cresco) e un suffisso latino che indica un’azione che sta per accadere: la creatura non è «creata» una volta per tutte, ma «sta per esserlo», continuamente e in ogni istante. Francesco vede la continua creazione-crescita operata da Dio in ogni cosa e prende parte allo spettacolo. A me succede con l’appello, il mio cantico delle creature: imparo a dare del tu a nomi e volti, e a gioirne. Dal Cantico ho imparato che chi loda non odia, chi stima ama. Quand’è l’ultima volta che avete detto «grazie perché ci sei» con tre aggettivi, come fa Francesco: l’acqua è preziosa, umile e casta; le stelle luminose, preziose e belle? Non è un esercizio facile, richiede coraggio: ha il coraggio di bene-dire cose e persone solo chi ha il coraggio di riceverle come sono e di impegnarsi per come saranno. Quest’apertura a ogni cosa significa soprattutto disponibilità a fare la propria parte nella loro creazione-crescita, cioè ad amare. Francesco riesce così a trasformare tutto, persino il dolore, perché ne accetta il potenziale creativo-accrescitivo: alla sofferenza cerchiamo sempre una causa, un colpevole, per diminuirne il morso. Eppure il segreto (cioè ciò che secerne, il succo) del dolore non è nel passato ma nel futuro, è una storia ancora da scrivere, che «in-vita», spinge ad aprirsi alla vita con occhi nuovi. Francesco chiama «sorella» persino la morte: voglio conoscere il segreto di chi è così libero da bene-dire anche la male-detta per eccellenza, di chi nell’estremo limite non vede il muro ma una soglia, non il capolinea ma un transito. Il Cantico muta la ferita in feritoia per far entrare più vita: quella che sgorga proprio dalle crisi, quando, con le mani aperte della resa, riceviamo ciò che a pugni chiusi non riuscivamo ad afferrare da soli.
Il Cantico inaugura la letteratura italiana inventando e cucendo, nella lingua che ci fa da madre, parole che liberano cuore e mente dalla male-dizione, e rendono la vita più bene-detta. Lo sguardo di Francesco è poetico e profetico, crea e fa crescere: come accade in amore. Egli guarda ogni cosa negli occhi e gli riconosce la sua originaria e originale bellezza, perché lodare significa «ri-conoscere», conoscere qualcosa, ogni volta, «di nuovo» e «come nuovo»: chi loda è «in-novativo» e «ri-conoscente», ha e dà gioia. All’ultimo banco della vita non si guarda negli occhi e si male-dice tutto, al primo si dà invece del tu a ogni cosa, ricevendone il valore più o meno compiuto: anzi se è incompiuto ci si sente impegnati a portarlo verso il compimento, costi quel che costi. Rileggere il Cantico guarisce dalla cecità, facendo del semplice fatto di vivere un’arte e un’irripetibile avventura.
Corriere della Sera, 14 ottobre 2019 – Link all’articolo e ai precedenti
Questa rubrica è la mia compagna settimanale.
San Francesco è un Santo magnifico e il Cantico delle creature qualcosa di indescrivibile!
Francesco opera quasi un “ribaltamento dei valori”. Il sole, le stelle, l’acqua, sono le sue uniche ricchezze, sue sorelle. La fratellanza di Francesco è universale, abbraccia tutto, è inclusiva.
Tutto è occasione di comunione e di comunicazione con tutte le singole creature. Da qui deriva la bene – dizione. Anche la contrarietà e la negatività sono occasioni di crescita e maturazione personale, forse per questo motivo vengono bene-dette. La morte può essere intesa da lui come l’ incontro definitivo con il Padre della vita, forse per questo viene bene – detta. Francesco sembra suggerirci che la morte non è nemica, non bisogna temerla. Non è un vecchio adagio filosofico : “Non temete la morte: se c’è lei, non ci siete voi e se c’è lei non ci siete voi”.
Francesco non fa filosofia, o comunque la sua intenzione non è filosofica strictu senso. Lui ci dice che la morte è sorella perché favorisce l’incontro con Dio. Non è un mero non esserci. È un esserci nel senso pieno!
Facciamo fatica a capirlo perché siamo immersi nella materia e non riusciamo a comprendere la nostra sopravvivenza al di là di spazio -tempo.
Francesco ci suggerisce di non aver paura, di vivere in letizia. Solo le persone che muoiono in peccato mortale si devono preoccupare. Non della morte, ma della seconda morte che è la morte dell’anima, dello spirito, la Geenna.
Qui entra in campo il diabolico e le male-dizioni.
Colui che male – dice veramente è il diavolo, Satana. Colui che odia. Qui entra in campo anche la visione.
Non penso che chi si rifiuti di guardare negli occhi le persone, sia per rifiutarle o perché le odia.
Mal-occhio e in-vidia (da in-videre cioè guardare di traverso) sono due categorie del diabolico e rimandano a due dimensioni della visione intesa in maniera distorta. Uno è il mal – occhio, un occhio cattivo che ti guarda male. L’altra è l’in-videre : guardare di traverso, guardare storto. Non è un non vedere, no no. In questo caso ti vedo (anche troppo), ma per trasmetterti del male con lo sguardo.
La Bibbia ci suggerisce che il male è entrato nel mondo a causa dell’invidia del diavolo. Una visione patologica e distorta, malvagia .
E grazie a lei, Prof, per averci ri-cordato queste tematiche.
Grazue. Mi ha fatto palpitante il cuore. Il cantico delle creature in lingua originale l’ho sentito come se parlasse il nostro SERAFICO Francesco e mi sono emozionato.
Domenica scorsa leggendo “La Lettura” del Corriere mi sono detta che quello in cui viviamo è un’universo partecipativo che risponde ad una soggettiva osservazione.C’è un modo per ognuno diverso, di vedere le cose. E’ la cornice entro la quale siamo capaci di guardare le situazioni che fa la differenza. E poi c’è uno scarto tra ciò che crediamo reale e ciò che è vero, dibattuto fin dalle origini del pensiero filosofico, che non si può tralasciare. Bisognerebbe per questo essere attenti nel giudizio, ci vorrebbe riguardo e discrezione. Il più delle volte meglio si farebbe a tacere. Il rispetto per il prossimo è quasi scomparso a vantaggio dell’egocentrismo, dell’ingordigia, del menefreghismo senza vergogna, della moda di essere sensazionali a tutti i costi. Come affronta le giornate chi ha ancora voglia di mettersi in gioco, di usare il cuore in ciò che dice e fa e di adoperare l’occhio e l’orecchio e gli altri sensi con l’anima? come fa a sopportare il peso della sua scelta controcorrente e trovare il coraggio di non arrendersi?
Lunedì mi ha risposto “La notte di Francesco” e il Cantico delle creature che è lode al Signore, infinita gratitudine non solo per le cose del creato belle e buone per loro natura ma anche per quelle che non appaiono tali, per la sofferenza, per le croci delle quali non sappiamo trovare un perché e per la morte.
Dunque solo chi è capace di accettare le avversità con le virtù della fortezza e della temperanza potrà dire: “Che sia benedetta! Per quanto complessa la vita è perfetta.” e sentirà l’esigenza di ringraziare.
Con alcuni versi tratti da “Bello mondo” di Mariangela Gualtieri anch’io “ringraziare desidero” per tutti i benevolenti.
……..
Ringraziare desidero
per l’amore,che ti fa vedere gli altri
come li vede la divinità
…….
io ringraziare desidero
per il coraggio e la felicità degli altri
…….
per la bellezza delle parole
natura astratta di Dio
per la scrittura e la lettura
che ci fanno esplorare noi stessi e il mondo
…….
per il fatto di avere una sorella
….
ringraziare desidero per tutti quelli
che sono piccoli, limpidi e liberi
….
Io ringraziare desidero
…..Francesco d’Assisi
per aver già scritto questa poesia
per il fatto che è inesauribile
e non arriverà mai all’ultimo verso
e cambia secondo gli uomini
…..
ringraziare desidero
per la gran potenza d’antico amor
per l’amor che se move il sole e l’altre stelle
E move tutto in noi.
La saluto con riconoscenza per il rispetto e l’apertura tenera che lei ha verso l’altro.
M.R.D.M.