Il terremoto secondo Leopardi
“A chi piace o a chi giova cotesta vita infelicissima dell’universo, conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono?”. Così domanda alla Natura l’indomito Islandese spintosi agli estremi confini con la sua barca, in una delle Operette morali di Giacomo Leopardi. La Natura gli ha appena rivelato che il cosmo è governato da un inarrestabile e indifferente meccanismo di produzione e distruzione, ignaro dell’uomo. Senza ricevere risposta il navigatore viene spazzato via dall’ennesimo inconsapevole sussulto della Natura. Per anni Leopardi aveva riflettuto sul problema del male che attanaglia l’essere delle cose, l’essere votate alla morte. I luoghi leopardiani tornano a essere colpiti dalla forza ignara della Natura, in forma di terremoto che mutila la terra, gli esseri e le cose, senza alcuna misericordia. Il dolce paesaggio della campagna marchigiana, che digrada di collina in collina fino al mare, diventa una morsa sorda.
Negli anni finali della sua vita Leopardi visse a Napoli e lo spettacolo della natura aspra lo toccò da vicino, nel paesaggio vetrificato dalla lava attorno al Vesuvio. Divenne amico di un vecchio che, guardando il vulcano ancora con tremore, gli raccontava come in una sola notte la lava gli aveva rapito tutto: casa e famiglia. Ma non si accontentò della risposta che aveva trovato anni prima, da filosofo, nel dialogo tra l’Islandese e la Natura, non poteva accettare che la distruzione avesse l’ultima parola, perché da poeta aveva fede nell’essere. Superò il terrore del nulla, mise il dito nelle piaghe dell’uomo e credette all’essere fragile delle cose, soprattutto quando lottano per farsi belle. Guardava la realtà come un greco antico e sapeva che se una cosa è bella, porta con sé un segreto di verità e bontà che va scandagliato. Sentiva su di sé le lacrime delle cose e degli uomini, e decise di cantare malinconicamente questo mistero del dolore, per questo nella poesia penultima (Il tramonto della Luna) definisce l’uomo un “viatore confuso”, senza segnaletica, come noi smarriti di fronte alle immagini del terremoto. Eppure proprio da quello sguardo su una Natura creatrice di deserti esteriori si leva un testamento quasi religioso, che ho cercato di raccontare nel mio ultimo libro, una religione della Bellezza fragile, il cui sacramento è la Ginestra, il fiore dal colore e dal profumo intensissimi, che cresce in mezzo alla pietrificazione della terra come nostalgica e viva contropartita. Solo un uomo intriso di misericordia per l’uomo e per le cose, e il loro continuo cadere, poteva accorgersi di un fiore del genere e farne simbolo di speranza. La ginestra nonostante tutto fiorisce e consola la campagna in cui cresce, fedele al suo fiorire, nutrendosi proprio delle circostanze avverse, su cui trionfa come un’opera d’arte silenziosa. Con gli steli di ginestra si fabbricavano corde molto resistenti, proprio per quella umiltà trionfante sul nulla. Corde con cui legare le cose da salvare, legami reali e metaforici tra le persone.
Non cerco di rendere poetica la tragedia che sta colpendo cose e persone: il lavoro straordinario che c’è da fare va fatto quanto prima, per garantire condizioni di vita normali alle persone colpite, e in questo l’azione politica deve fare passi giganteschi e non solo gigantesche promesse. Ma c’è un lavoro ordinario altrettanto urgente, che ci riguarda tutti, prima e dopo ogni terremoto, nel tempo della tranquillità, il lavoro di chi si mette al servizio della vita altrui quando precipita nel deserto interiore o esteriore, porgendo un aiuto, un rifugio, un sostegno. Leopardi, riportato in auge dai suoi luoghi feriti, ci invita all’azione silenziosa ma efficace, non autoreferenziale, ma generosa e vigorosa, proprio per affermare che l’uomo a differenza della natura non è indifferente, ma se vuole sa portare il peso delle cose, sa essere un balsamo per le ferite, ginestra per molti quotidiani deserti contemporanei.
La Stampa, 2 novembre 2016 – link
Buonasera Professore,
Spesso Leopardi viene presentato come un pessimita, forse il pessimista per eccellenza, l’archetipo del pessimista, ma ho maturato grazie alle sue riflessioni e grazie al libro da lei scritto, che quella di prima è una definizione assolutamente incompleta: mi ha colpito la riflessione sulla “Ginestra”, ed è stata spunto di riflessione sul Poeta, infatti mi son chiesto sula religione di Leopardi. Forse la poetica di Leopardi segnata dal dramma esistenziale della distruzione e del tempo e scandita dalla ricerca della Bellezza, non è forse una ricerca a Dio, una ricerca al “Logos”, parola che racchiude il centro della vita di ogni uomo, inconsapevolmente o meno?
Ne sono pienamente convinto, Antonio. Il bello di Leopardi è proprio questa ricerca infinita, come testimonia l’episodio che racconto nell’ultimo capitolo del libro: il dialogo con Ranieri il giorno prima di morire.
Buonasera Alessandro,
ho letto questa sera sulla mia mail, il tuo articolo di cui sopra(in quanto sono iscritta alla newsletter).io sono marchigiana esattamente di un paesino della provincia di Ascoli Piceno e vicino a San Benedetto del Tronto.il terremoto di domenica scorsa si l’abbiamo avvertito molto, molto forte.ci ha svegliati e ci ha scossi per la forza e la durata dello stesso.vedere case che sono crollate in paesi a soli 70 km da noi è stato veramente doloroso e triste.vedere la faglia che si è aperta sul monte Vettore (la cima piu alta dei monti sibillini a 2473 mt e luogo di innumerevoli escursioni durante le mie estati) fa veramente impressione.il pensiero e la mia preghiera va a tutti i miei conterranei ,e non, che hanno perso le loro abitazioni e che stanno soffrendo per questo terremoto.sono certa che queste persone si rialzeranno da questo disastro come la ginestra che, “nonostante tutto fiorise consola la campagna in cui cresce, fedele al suo fiorire, nutrendosi proprio delle circostanze avverse, su cui trionfa come un’opera d’arte silenziosa”.
Buonasera Professore la ringrazio per la Ginestra di leopardiana memoria…Sono marchigiana e in questi giorni non facili ,pur nella assoluta certezza che ci risolleveremo, a volte e’ difficile scorgere il sole o trovarlo dentro di noi.