29 luglio 2016

Il rito magico dei libri

f2d09fc9663a441a3782b386013ba9d7Ho scritto due righe in merito alla questione del Salone del Libro, raccontando la mia semplice esperienza di lettore e scrittore, senza considerazioni di tipo politico o economico. Buone vacanze e buone letture a tutti!

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Al Salone del Libro di Torino ho sempre raccolto i frutti che il libro dovrebbe generare nelle persone: curiosità per il mondo e desiderio di relazioni. Ho sempre considerato i libri creature la cui crescita si compie nell’atto di lettura.

Il libro non è soltanto un prodotto, ma una creatura vivente, perché è il dialogo che lo scrittore ha intrattenuto con se stesso o qualcuno (anche i suoi personaggi). È nella sua conversazione interiore che veniamo inseriti nell’atto della lettura, maturazione piena di un libro, perché maturità è il nome che diamo alle cose che crescono e raggiungono la capacità di generare. La maturità di un seme è il frutto, che conserva il massimo numero di semi per generare nuove piante. Il Salone del libro però è un ulteriore “raccolto”, perché all’atto di lettura aggiunge la sua ultima propaggine, al frutto il suo profumo: la gratitudine delle persone per il convito a cui hanno partecipato e i legami con gli altri presenti.

Non c’è cultura senza creazione di nuove relazioni o di relazioni rinnovate con il mondo e con gli uomini. Giorgio Caproni, quando gli chiedevano cosa significasse scrivere, rispondeva: l’inabissarsi di un palombaro, quando si vince la paura e si arriva in fondo al cuore, trovi tutti gli altri. Tolstoj ribadiva di scrivere non per risolvere problemi sociali, ma perché la gente si innamorasse di più della vita.

Troppo spesso vedo i libri trasformati in una gara di classifiche e di premi, di copie tirate e vendute, con sterili invidie e sotterfugi, quando la vita di un libro si compie nella capacità di relazioni che crea nel lettore con il mondo e con gli altri uomini, altrimenti diventa un oggetto di consumo individualistico come un altro. Per questo sono sempre andato al Salone, con la paura del mal di testa per il rumore di fondo che caratterizzava la fiera, ma soprattutto con la gioia di un convivio: mi ritrovavo con amici scrittori, che potevo ascoltare e ringraziare, sia conosciuti sia da conoscere. Da lettore avevo un debito di gratitudine con loro: per il numero di gradi che avevano aggiunto alla mia prospettiva sulle cose, al tasso di meraviglia su qualche pezzo di mondo che mi sfuggiva, al risveglio di qualche strato della mia sensibilità assopito o latente. Al Salone si ha la fortuna di farlo dal vivo e non solo nella privatissima camera del cuore. Ho così ricevuto una progressiva e generosissima gratitudine dai miei lettori, cresciuta di pari passo con la diffusione dei libri.

Per me il più bel festeggiamento è stato questo convivio con un numero sempre maggiore di invitati, tra sorrisi, domande, dediche e qualche dialogo strappato tra i corridoi della fiera, dove mi aggiravo in cerca di libri da portare a casa.

Il Salone è sempre stato per me il compimento dei libri, dalla parola scritta alla parola orale, dall’atto creativo e misterioso del riempire la prima pagina all’atto ricreativo del grazie di un lettore contento per aver pianto, riso, scoperto, sofferto, lottato, amato, desideroso di poter continuare autonomamente la ricerca che il libro ha innescato.

Il Salone del libro è stato per me il circolo virtuoso del libro: poter vivere con amici vecchi e nuovi quello spazio che la letteratura sa creare, a differenza di ciò che si consuma in solitudine e non apre al mondo e agli altri.

Comunque vada, sarà sempre quello che cercherò in un Salone del Libro, non una pletora frastornante di eventi e movimenti di massa, ma conoscenza che diventa riconoscenza, raccoglimento che diventa raccolto, libri che diventano e generano amici e bene comune (oltre che nuovi lettori e guadagni).

La Stampa, 29 luglio 2016 – Link all’articolo

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