Maturità: ma di che e di chi?
È il momento del giudizio di maturità. E quindi della crisi, necessaria e feconda, perché crisi è parola che in greco indicava il “giudicare” operato nei campi dai contadini, quando dovevano vagliare il grano e distinguerlo dalla pula (l’involucro del chicco) o dal loglio (la zizzania che imita in tutto e per tutto il grano ma è velenosa), per conservare il primo ed eliminare i secondi. Il primo avrebbe dato farina e pane, il secondo un po’ di fuoco. Per un attimo potremmo provare a pensare a questa maturità non come una prestazione ansiogena, ma come momento del raccolto, sì faticoso ma gioioso, per il pane buono che verrà messo in tavola. Da insegnante mi chiedo se, dopo 13 anni di percorso scolastico, quel ragazzo quella ragazza sapranno affrontare questa crisi, cioè questo giudizio, con la capacità di distinguere il grano, ciò che vale da ciò che è effimero o addirittura nocivo. Maturità è la capacità di vivere “in crisi”, cioè nel momento del giudicare cosa è vero e cosa è falso, cosa è bello e cosa è brutto, cosa è buono e cosa è cattivo, e di tutte queste cose le loro gradazioni, per poter impegnare la mia libertà ad affermare nello spazio e nel tempo il valore che ho saputo identificare. Solo questo dà felicità, cioè fecondità, ad una vita.
Vedo molti ragazzi confusi, annoiati, spaesati proprio dalla difficoltà di vivere le crisi, forse perché noi adulti cerchiamo soluzioni facili e non vogliamo che si faccia tutta questa fatica a “giudicare”, forse perché il nostro pensiero troppo debole e liquido non sa più dire (da dicere latino che significava indicare) che cosa è vero, bello, buono. Il relativismo, teorico o pratico che sia, impedisce il momento della crisi, perché non sa cosa raccogliere, il grano vale quanto la pula, non lo si distingue dalla zizzania, perché non c’è un ordine reale entro cui il mio agire libero si muova, c’è la mia libertà come a priori, non il campo in cui raccolgo. A farne le spese sono proprio i ragazzi, nella vita di tutti i giorni. Molti di loro non riescono a giudicare se frequentare o no l’università, e che facoltà scegliere nel primo caso, perché non sanno che talenti hanno, in 13 anni non hanno fatto del loro logos (parola, ragione, verbo) uno sguardo sul mondo capace di raccogliere (anche logos viene da un verbo che originariamente significava raccogliere i frutti, al tempo opportuno, senza logos il momento della crisi, cioè del giudizio, è assurdo). Spesso oggi non c’è maturità perché non c’è logos, e non c’è logos perché non c’è dialogo (dia-logos: un logos che viaggia da me a te e viceversa, e che supera e trascende, in cerca della verità, della bellezza, del bene). Si parla moltissimo, ma non si ha dialogo vero, perché non c’è nulla da cercare, nessuna verità, nessun frutto da raccogliere. Si parla moltissimo perché il vuoto deve essere riempito di parole e di procedure da compiere alla perfezione (molta della didattica si riduce a prestazioni ripetute, come addestramento per animali) e il logos viene rimpiazzato da un sistema di doveri, perché non c’è più alcun amore alla vita (logos abbraccia amore e conoscenza in un’unica parola dopo l’audacissimo primo verso del vangelo di Giovanni). Questo accade nelle coppie: si parla moltissimo e si pensa di amare l’altro con il compimento dei doveri (io lavoro, faccio la spesa, io vado ai colloqui dei figli, io cucino…), ma manca amore tra i due. Questo accade nei rapporti docenti-alunni: si parla moltissimo e poi si riduce tutto a prestazioni doveristiche, non ad una maturazione della vita sia del docente sia dell’allievo, in una comune ricerca della verità nel campo della materia e della vita che si condivide per varie ore a settimana.
Siamo entrati un un vicolo cieco del logos, sostituito dall’informazione, in cui nulla è più distinguibile, perché non si deve più giudicare nulla, ma solo moltiplicare i dati e le procedure con cui riempire il vuoto delle differenze (la differenziazione è confusa con la discriminazione). Lo raccontò Borges con un fulminante apologo, in cui un imperatore megalomane pretendeva dai suoi cartografi una mappa del suo immenso impero sempre più precisa, pena la vita degli stessi cartografi. La sua mania di vedere il suo regno lo portò a chiedere la mappa apparentemente “perfetta”, in scala uno ad uno. I cartografi pur di non perdere la testa si impegnarono nell’impresa, ma poi divennero inservibili sia la mappa sia il regno coperto dalla mappa. Così l’impero andò in rovina. Il nostro delirio di informazione ha esiliato la sapienza, la nostra capacità di “raccolta”, di logos, è resa impossibile dalla autoreferenziale scala uno ad uno. La quantità di dati ha sostituito la ricerca del vero, del bello, del buono, la crisi non è più momento di giudizio, ma fallimento da rimuovere. In questo campo del mondo siffatto è molto difficile diventare maturi, perché nessuno sa più dire che cosa è maturo, quando e perché (la tecnologia ha sostituito l’ecologia). O torniamo al logos e alla crisis dei contadini o continueremo a illuderci che le procedure, burocratiche o prestazionali, ci renderanno migliori. Ma noi di tutti questi dati, di tutte queste informazioni, di tutte queste procedure, non sappiamo più che farcene, perché non ci servono a vivere meglio. Invece del pane ci ritroviamo in mano un pugno di mosche, e per di più siamo stanchi. Li vedo questi diciottenni con il loro bel voto da 60 a 100, con la loro bella mappa in scala uno ad uno in versione smartphone (che gli abbiamo messo in tasca quando avevano solo 10 anni), che si guardano intorno, spaesati, sperando che qualche forma umana dica loro la direzione per tornare a casa, per sentirsi a casa.
Avvenire, 22 giugno 2016 – LINK
Riflessione molto importante, che ho letto con grande attenzione, tanto da accorgermi di un piccolo errore, che ti segnalo.
“cioè nel momento del giudicare cosa è vero e cosa è falso, cosa è buono e cosa è brutto, cosa è buono e cosa è cattivo”
C’è per due volte “buono”, mentre il primo è “bello”.
Ho controllato su Avvenire per sicurezza!
Grazie mille, Clara. 😉
Di niente! Se hai bisogno di una correttrice di bozze mi offro volontaria! 🙂
Prof, sembra che mi abbia letto dentro. Io frequento un istituto tecnico turistico che mi piace e appassiona, ma ho anche altre passioni per questo quando ho iniziato a studiare i vari aspetti di crisi che riguardano il ‘900 mi sono ritrovata tantissimo e ho pensato di fare una tesina che riguardasse proprio questo. È la prima persona che leggo che vede quello che vedo io,che vede nella mia generazione una generazione persa e che non vuole pensare al futuro che non ha più eroi come dice il titolo della mia tesina. La sua sensibilità è ammirevole, ci capisce davvero, cosa che, le posso assicurare, in veramente pochi riescono a fare! Un abbraccio, una maturanda che magari annoierà ma almeno sa di non essere l’unica a pensarla così
Grazie, Susy. Hai centrato il punto. Bello il titolo della tua tesina! In bocca al lupo.
Un articolo intelligente, arguto, profondo, commovente, che induce alla riflessione ed allarga respiro ed orizzonte mentale. Macavoloquantoseibravo!!!!!!!!!!!!!!!
È arrivato dritto al cuore quello che hai scritto e in particolare la parte della crisi.
Anch’io sono una maturanda e quest’anno per me è ben rappresentato da questa parola;ma non rigurada tanto la maturità in sé, ma ciò che è successo prima e quello che verrà dopo. Il prima sarebbe un corsi sulla sostenibilità che ho cominciato quest’anno e che ha scoppiato tutto a un tratto la bolla di sapone da cui guardavo con ingenuità la realtà e mi ha immerso improvvisamente nelle contraddizioni e nel male di molte scelte del tutto umane dei giorni nostri. Ecco, questa crisi prima si è limitata ad abbattimaneto, ma poi ha nutrito un sempre crescente desiderio di cambiamento.
Ed è qui che arriva la seconda parte, quella che riguarda il futuro, perché sento una gran voglia e bisogno di cambiare e di portare il cambiamento che posso, ma al tempo stesso non ho ancora visto la via per attuarlo.
Spero davvero che riuscirò a capire, non sarebbe male nell’estate, dove mi vuole portare questa crisi.
Tutto questo messaggio lunghissimo perché volevo ringraziarti davvero di cuore per avermi dato quell’ulteriore spinta a ricercare ciò che di meglio ha da offrire questo stato che i più evitano e ti spingono a fare lo stesso.
GRAZIE 🙂
Grazie a te, Marta. Sei sulla strada giusta, coltiva la crisi e cerca ciò che vale e ciò che hai dare a questo mondo.
Ebbene sì, anche io sto affrontando la maturità, lunedì c’è la temutissima 3 prova e mi chiedo: ma è davvero così utile l’esame? Cosa si dimostra? Spesso penso al fatto che nonostante un ragazzo si possa impegnare per tutti e cinque gli anni, studiando costantemente, prendendosi le sue soddisfazioni, potrebbe capitare che il giorno dell’orale (ma anche durante gli scritti) vada nel panico e rovini il duro lavoro di anni. Personalmente sono una ragazza che si fa prendere molto dall’ansia e ho paura di agitarmi durante l’orale,dimenticandomi tutto, rovinando così,la mia costanza e il mio impegno lunghi 5 anni. Non penso che l’esame di maturità possa attestare veramente la “maturità” di una persona. Cos’è la maturità? è studiare, rimboccarsi le maniche, prendere bei voti (magari imparandosi tutto a memoria, senza un minimo di ragionamento) oppure è crescita, imparare a gestire una qualunque tipo di situazione, senza la paura di essere giudicati? Quanti “100” valgono veramente il voto che hanno ricevuto? E chi dice che un “60” non possa essere migliore del “100”?
Io so solo che questa maturità mi sta togliendo vita sociale, mi sta facendo passare le ore sui libri e mi sta mettendo molta ansia. è giusto tutto ciò? L’unica cosa che ritengo corretta della maturità è il fatto che siano presenti dei commissari esterni, in quanto, non conoscendoti, possono valutarti per quello che veramente vali (ma, attenzione, va sempre ricordato il fattore ansia che potrebbe alterare la performance!). Detto questo, testa alta e vado a prendermi quello che merito, cercando di non farmi sopraffare dall’ansia.
Un saluto, un abbraccio e un ringraziamento a te Alessandro!
Anch’io sono alle prese con gli esami di Stato e ho deciso di basare la mia tesina proprio sulla maturità,intesa non come semplice rito di passaggio, ma come ricerca di se stessi nelle varie tappe della vita:la ricerca della maturità mi ha accompagnata in questi cinque anni,in cui ho imparato ad accogliere il mio destino nella sua unicità,ho imparato ad amare me stessa con miei talenti e miei limiti,ho capito che maturità è raccontare la propria verità piuttosto che cercare una risposta ad ogni nostro interrogativo…ci sarà sempre qualcosa al di là del nostro sentire,un’incognita troppo più grande della nostra umanità,ma il segreto sta nel capire quanto di noi c’è in quel mistero. Maturità è scegliere se abitare quella infinita bellezza o farla entrare in noi stessi,per quanto finiti,per quanto fragili. Un po’come in un dipinto romantico,dove l’uomo fa esperienza del sublime,mantenendosi in equilibrio fra il fascino e lo sgomento,fra paura e incanto. Si sente piccolissimo,smisuratamente lontano dalla perfezione,eppure solo così può farsi spettatore dello spettacolo della natura e osservare quella bellezza da un punto di vista privilegiato. Maturità è scrivere la propria storia piuttosto che cercarne incessantemente una migliore. Forse il segreto dei “grandi” è avere il coraggio di essere se stessi e nient’altro. La scuola dovrebbe insercelo prima di ogni altra cosa.Grazie prof per non stancarsi mai di ricordarlo con la sensibilità e la maturità delle sue parole!
grazie a te, Rosanna, per le tue parole
Complimenti per l’articolo, credo che offra uno spaccato davvero profondo della lacerazione interiore della nostra società, attraversata da una rivoluzione tecnologica di tale portata che non sappiamo bene nemmeno cosa farcene; dobbiamo amplificare i nostri bisogni o inventarne di nuovi per dare senso e scopo a questo processo, trascurando però quelli che sono a fondamento del nostro essere, il bisogno di verità, di giudizio, di amore.
Sono un ragazzo di 20 anni e credo che la mia generazione stia risentendo molto di questa assenza di ‘crisi’, al punto tale da essere giustamente denominata “anxiety generation”, generazione dell’ansia, in debito com’è di punti fermi spirituali. Mi rallegra allora vedere su questo blog un professore, ma anche tanti ragazzi che invece cercano, seppur con fatica, una strada diversa, una strada che sicuramente è più difficile da percorrere, ma che è feconda e che porta a una ricchezza che non è di facciata ma di contenuto, quella che tanto manca al mondo occidentale di oggi.
Grazie Prof. per questa riflessione e per continuare a credere con perseveranza e andando contro corrente in noi giovani e nel nostro futuro!
sono un ingegnere, e quello che lei scrive, alessandro, è evidente nell’approccio oggi imperante anche negli ambienti del mio lavoro, soprattutto a livello universitario, normativo e burocratico; si pretende – con infinite, complicate, ricercate e sempre più specifiche prescrizioni – di raggiungere la progettazione perfetta e sicura. Il risultato è invece che l’ingegneria, la grande ingegneria italiana è agonizzante. Il genio umano (parola etimologicamente legata a ingegneria) è stato soppiantato dal tecnicismo, così perfetto da perdere di vista completamente la realtà.
E il cervello si spegne.
cari saluti
Mi conforta, caro Michele, sentire un parere del genere anche da un ingegnere. Anche se non mi conforta molto sapere che la mia analisi non è poi così catastrofica…
Come ogni maturando anche la mia commissione sarà composta da tre professori interni e tre professori esterni. Io, però, ho sempre considerato lei come un professore speciale, che mi ha guidato durante questi ultimi mesi di scuola, facendomi scoprire la bellezza di Leopardi ed avvolgendo ogni cosa con un filo rosso, conduttore di poesia e passione. Domani ci sono gli esami, e io sento di avere anche un altro professore nel corpo docenti, esterno, perché non ho mai avuto l’onore di ascoltare una sua lezione, eppure così meravigliosamente interno, con i suoi libri ed il suo amore. Grazie per avermi insegnato a guardare.
Ne sono felice. In bocca al lupo, cara Annarita