Cristianesimo: religione per deboli?
“Contemplare le bellezze e i pregi di un figliuolo proprio, non con altra soddisfazione, che di aver fatta una cosa bella al mondo; sia essa o non sia conosciuta per tale da altrui”. Così scriveva nel febbraio del 1828 Giacomo Leopardi riguardo ai suoi versi, per lo più disprezzati dai suoi contemporanei. Sapeva che quei versi avrebbero avrebbero reso il mondo meno immondo, più bello, indipendentemente dal successo pubblico che, in vita, quasi non arrivò. La sua opera abbellì il mondo, e resta (a differenza delle critiche dei suoi detrattori).
Il cristianesimo, accusato da molti di basare la sua speranza nel futuro, dimenticando l’impegno nel presente, è esattamente il contrario: è la vita di un Dio fatto uomo, che dà tale consistenza al presente e quindi al passato da farne dipendere il futuro. La garanzia che Dio offre all’uomo è che le sue (dell’uomo) opere lo accompagneranno, ciò che l’uomo porrà nel mondo sarà ciò che non gli sarà tolto, la sua eredità. Il contrario di una fuga consolante nel futuro.
La misericordia che ci è chiesta è proprio quella di chi si prende cura del mondo e lo rende più simile a Dio. Questa è la redenzione a cui siamo chiamati a partecipare: rendere più visibile la verità in ogni angolo di questa terra, perché la verità è Cristo stesso, quindi permettere a Cristo di regnare su quell’angolo di mondo. La redenzione è la bellezza che si sprigiona, per opera della grazia, in ogni cosa, ma ciò accade attraverso di noi, che costituiamo il legame tra Dio e il mondo, la possibilità di Dio di tornare ad abitare tra gli uomini: la creazione sta aspettando, nelle doglie del parto, la rivelazione dei figli di Dio, cioè di quelli che assomigliano al Figlio. Fu Cristo stesso a dire: “chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre” (Gv 14,12). Promessa che si realizza tutte le volte che “non sono io che vivo, ma è Cristo che vive in me”. Il cristianesimo non è religione del futuro, ma al massimo del futuro anteriore, tempo verbale stranissimo e segno dell’esistenza di Dio, che si fa garante, nel futuro, del nostro passato: le nostre opere non saranno “state” dimenticate (futuro anteriore passivo), perché quando le avremo compiute (futuro anteriore attivo), in-con-per Cristo, esse non potranno più essere cancellate. O meglio, quelle malvagie potranno esserlo se, ammesse, sono accolte nella misericordia divina e trasformate in un bene più grande. Il cristianesimo è la religione che si fida così tanto delle opere dell’uomo che dà loro consistenza eterna, purché ci sia misericordia (il nome di Dio, ci dice il papa) in quelle opere.
Me lo ha ricordato recentemente un ragazzo 19enne, raccontandomi della morte di tumore di sua madre 58enne: “Amava scoprire. Andava sempre alla ricerca di cose nuove, che avrebbero potuto aiutarla. Per questo amava altrettanto viaggiare. Ha girato l’Europa intera, anche quando, da adolescente, ciò non le era possibile, economicamente parlando. Lei comunque si dava da fare, ci provava e ci riusciva. Era affascinata da tutte le meraviglie di questo mondo, nelle quali vedeva sempre cose che agli occhi normali sfuggivano. Amava insegnare. Ha cominciato come supplente e ha continuato ad esserlo fino a quando siamo nati io e mio fratello. Nonostante le mille difficoltà che le si presentavano lungo il cammino, continuava e andava avanti. Era un amore talmente grande che solo una grande malattia come questa poteva impedirle di continuare a fare ciò che amava. Era una Prof. diversa dalle altre. Una Prof. con la “P” maiuscola. Non perché sia io a dirlo, ma perché sono i suoi alunni a crederlo e a riportarmelo in frasi come “sono passato da essere l’alunno da 4 a l’alunno da 8. Tua mamma era capace di risvegliare la passione in uno studente e questo è uno dei doni degli uomini grandi”. È riuscita così ad unire due passioni: insegnare e viaggiare. Andava ovunque il suo fisico le permettesse di andare, ancor meglio se con i suoi alunni. Amava altrettanto leggere. Leggeva in continuazione, ne sentiva il bisogno. I libri la aiutavano, le davano consigli. L’ultimo libro che ha letto, prima che la malattia non le permettesse più di continuare a farlo, è proprio il suo: “Ciò che inferno non è”. Qualche giorno prima di andarsene, ne ha consigliato a molte sue amiche la lettura e soprattutto la parte delle “cinque cose che un uomo rimpiangerà quando sta per morire”. Si rispecchiava in tutte e cinque. Mia madre amava vivere. Qualche giorno prima di andarsene mi ha detto “non mi lamento, ho avuto comunque una vita fantastica e ho fatto quasi tutto ciò che volevo”.
Queste storie mi aiutano a capire che per essere felici non basta realizzare i propri sogni, se quei sogni non sono al servizio degli altri. Nella vita di tutti i giorni siamo chiamati a compiere non solo opere di misericordia, ma la misericordia delle opere, cioè tutte quelle che compiamo in, con e per Dio, che “salva” le nostre opere, perché “salva” attraverso le nostre opere.
Avvenire, 15 giugno 2016 – link all’articolo
È una delle riflessioni più belle e vere che abbia mai letto sul cristianesimo.Probabilmente trovo quello che hai scritto così toccante perché rispecchia molto quello che ho sempre pensato.
Sto leggendo “Ciò che inferno non è” e, al momento, ne sono del tutto rapito.
Ti ringrazio molto per quello che fai, di sicuro sei una di quelle persone che rende il mondo un posto più bello ed aiuta gli altri a riconoscerne la bellezza.
Buon fine settimana.
Ti ringrazio, buon fine settimana anche a te.
Bellissime parole, che condivido anche se devo ancora capire in cosa credere. Ma “una fede, ecco quello che è necessario all’uomo”: e io credo nella Bellezza, come lei. Perché “Il bello è utile quanto l’utile. O forse di più.”
Grazie per le sue parole e per quelle del ragazzo, testimonianze diverse della stessa bellezza della vita.
P.S.: le citazioni sono da “I miserabili” di Hugo.
P.P.S.: ma “saranno dimenticate” non è un futuro semplice passivo?
cara Beatrice, continua a cercare: la vera Bellezza ti farà trovare la risposta. Grazie per il p.s.: era saltata la parola “state” che ho aggiunto. Brava ragazza attenta! 🙂
Lei dice delle cose bellissime ma come facciamo a sapere che la fede non sia solo la soluzione ad un grande bisogno di non sentirsi abbandonati a se stessi? Che non sia solo una favola per dare un senso a cose come la morte? Come è possibile credere, mettere il cuore e dare fiducia a qualcosa di cui non si ha la certezza? Si parla tanto di cristo, come fa qualcuno morto 2000 anni fa a “manifestarsi”? Potra mai nella vastità dell’universo interessare a Dio della mia vita???? “ascoltare” le preghiere altrui?
Cara Isabella, bisogna cercare senza stancarsi. Leggere, studiare, approfondire e soprattutto avere cuore aperto, perché la fede non è un contenuto teorico (lo è anche), ma è un’amicizia, a cui arriviamo attraverso la frequentazione e la testimonianza di altri. Buona ricerca!
Condivido l’articolo con amore.
Sono un’insegnante e mi sono rivista nella descrizione del ragazzo. Non si può comunicare ciò che non si ha dentro.
Penso sia un grande dono poter stare a contatto con le nuove generazioni e riuscire ad entusiasmarli, ad incuriosirli, a fargli amare il “desiderio di conoscere”.
Desiderare, entrare in comunione con la parte universale che vive in noi e ci rende stelle luminose per altre vite.
Solo così possiamo essere parte di un progetto divino di evoluzione sia materiale sia spirituale.
Alessandro bellissimo scritto.
Ne approfitto per chiderti cosa ne pensi dell’insegnamento della religione a scuola e se puoi, vorrei sapere padre Puglisi come insegnava a scuola? Tanta Stima