Zibaldino: nullità feconda, mafia & Still life
Da un po’ di tempo non scrivo sul blog. Sono in una di quelle fasi della vita interiore in cui – mentre la vita là fuori continua come sempre piena di impegni, gioie e fatiche – si è più disposti a ricevere che a dare, in cui non si scrive perché la parola nasce solo dal silenzio. D’altro canto si scrive se si ha qualcosa da dire, e non per dire qualcosa. Sono momenti che amo molto, è come se lo spirito si liberasse di molte parole superflue, si semplificasse e si facesse più femminile e disposto ad accogliere, ad essere fecondato, a farsi piccolo per ricevere il mondo. In una cultura in cui si cerca a tutti i costi di affermare il proprio ego, periferia debole della nostra identità, che proprio per questo ha bisogno di avere nemici per ingrandirsi e farsi largo (litigi dappertutto e di tutti, fatica, malattie…), i periodi ricettivi sono benedizioni. Annoia la parola continua e che tiene in piedi la facciata di cartapesta dell’ego, la bandierina piantata sulla Luna, come se questo la facesse diventare propria, come se la Luna ce l’avessero messa l’America o la Russia lassù.
Il silenzio è il grembo della parola, il femminile della parola, quella ricettività che è farsi piccoli fino ad essere quasi un nulla, che è tipica dei poeti e dei contemplativi, come diceva in versi Ungaretti nel 1916 “Quando trovo / in questo mio silenzio / una parola / scavata è nella mia vita / come un abisso” e come spiegava in prosa la poetessa russa Marina Cvetaeva nel 1926:
“Io ascolto, tra i [critici] non professionisti, ogni grande poeta e ogni grande uomo, meglio se tutti e due in uno…
Chi ascolto ancora? Presto ascolto ad ogni grande voce, a chiunque appartenga. Se delle mie poesie mi parla un vecchio rabbino reso saggio dal sangue, dall’età e dai profeti, io sto ad ascoltarlo. Ama la poesia? Non lo so. Forse non ne ha mai letta. Ma ama (sa) tutto ciò da dove viene la poesia, le fonti della vita e dell’essere. È saggio, e la sua saggezza basta e avanza per me, per i miei versi. Presto ascolto al rabbino, presto ascolto a un bambino di sette anni – a tutto ciò che è saggezza e natura…
Chi ascolto ancora, oltre la voce della natura e della saggezza? La voce di tutti i mastri e maestri. Quando recito una poesia sul mare e un marinaio che non capisce nulla di poesia mi corregge, io gli sono riconoscente. Lo stesso con il guardaboschi, il fabbro, il muratore. Ogni cosa che mi viene donata dal mondo esterno mi è preziosa, poiché in quel mondo io sono una nullità. Ma quel mondo mi è necessario ogni ora, ogni minuto”.
Benedetti i momenti in cui proprio perché siamo una nullità diventiamo grandi, perché torniamo alle fonti dell’essere ad abbeverarci e non da quella pozza noiosa dell’ego. Periodi in cui smettiamo di affermare la vita e riscopriamo che la vita va solo ricevuta, accettata, difesa, coltivata, data. Periodi che portano la pace nel cuore, come la preghiera, perché si diventa liberi dal mito dell’auto-realizzazione e dell’autonomia. E si è finalmente più liberi, perché tutto è necessario, originario, primario per chi può solo ricevere. E la vita diventa subito grande, perché grande è la vita, non l’ego.
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Tra le cose belle, bellissime che ho ricevuto in questi giorni c’è stato un incontro per ragazzi insieme a Piero Grasso, il presidente del Senato, che ho accompagnato in una presentazione del sul recente Lezioni di Mafia. Di fronte a ragazzi, genitori e insegnanti si è parlato di come la Palermo di sangue delle stragi abbia determinato e paradossalmente fecondato la vita di entrambi. Quello che più mi porto nel cuore è la reazione dei ragazzi. Un silenzio pieno di riflessività, un cuore che si fa pensiero e non effimera emozione, comprende (cioè sente e sa) che la vita non si può dare per scontata, e che ci si attacca più che mai alla vita proprio quando la vita più si frantuma. Fare del ricordo memoria è passare una tradizione, perché il ricordo può rimanere sterile, invece quando diventa memoria feconda la vita di altri, perché è vita di nuovo in azione, anche se è passata. E si è ancora una volta attraversati, fecondati e fecondi.
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Qualcosa di analogo è avvenuto guardando il film Still Life. Non un film di grande richiamo, perché non proprio pieno di effetti speciali, se non quelli di una vita ordinaria. La vita ordinaria di un uomo che si sforza di raccogliere quel che resta di persone morte senza nessuno che li ricordi, neanche al loro funerale. Con amorevole cura quest’uomo salva quello che in ogni vita c’è da salvare e restituisce la grandezza alle vite, anche le più piccole e apparentemente insignificanti. E la sua diventa quella di un eroe, proprio perché è piccola sino quasi ad essere trasparente, ma come il percorso del film mostra, una vita che si ingrandisce a dismisura proprio perché al servizio di quelle degli altri. Un film in controtempo e proprio per questo pienamente contemporaneo.
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Scrivere qui è condividere e sempre più vorrei questo spazio si arricchisse dei vostri apporti. In questi momenti di silenzio guardo le cose, le persone, la vita con la verginità di chi le scorge per la prima volta. Assomiglia così tanto a pregare che sembra di non fare altro. Ed è una pace che nessun fallimento turba.
I cinque principali rimpianti in punto di morte. Non è un argomento di conversazione “leggera”, ma è un tema discusso in rete, da quando il Guardian ha scoperto il blog e il libro di Bronnie Ware. La donna, australiana, racconta sul suo blog e nel libro The top five regrets of the dying di essere un’infermiera che ha lavorato a lungo in un reparto di cure palliative per uomini e donne in punto di morte. Impressionata dalla grande lucidità che accompagna gli ultimi giorni di vita di questi pazienti, perfettamente consapevoli di essere ala fine delle loro esistenze, Ware ha cercato di rivolgere a tutti la stessa domanda: qual è il più grosso rimpianto della tua vita?
Sorprendentemente, i temi ricorrenti sono piuttosto frequenti, le la donna li ha ordinati in una specie di graduatoria del rimpianto.
1) Vorrei aver avuto il coraggio di vivere la mia vita, non quella che gli altri si aspettavano da me
Secondo Ware questo è il rimpianto più comune di tutti. Quando le persone capiscono che la loro vita sta finendo, capiscono anche che non hanno realizzato moltissimi dei loro sogni, di solito nemmeno la metà delle cose che avrebbero voluto veder realizzate.
2) Vorrei non aver lavorato tanto
“Questo” dice Ware “lo sostengono tutti i pazienti che ho assistito. Avrebbero voluto godersi l’infanzia dei loro figli, l’affetto dei loro cari. Specialmente gli uomini, rimpiangono di aver combattuto tutta la vita contro i mulini a vento della vita lavorativa”.
3) Vorrei aver avuto il coraggio di esprimere i miei sentimenti
“Molti mettono da parte i propri sentimenti, per manenere apparenti buoni rapporti con gli altri. Il risultato è che spesso si trascinano in esistenze mediocri senza mai avere il coraggio di cambiarle. Molti somatizzano fino a sviluppare malattie legate alle amarezze e al risentimento”.
4) Avrei voluto rimanere in contatto con i miei amici
“Spesso gli uomini non realizzano l’importanza di un vecchio amico fino alla fine della loro esistenza. Tutti rimpiangono i loro amici, quando sono in punto di morte, e rimpiangono di essersi fatti scivolare via l’opportunità di rimanere legati nel corso degli anni”.
5) Avrei voluto essere più felice
“Questo è sorprendente. Molti non realizzano fino alla fine che la felicità è sempre una possibilità concreta, nella vita. Preferiscono restare chiusi nelle loro vite e nelle loro vecchie abitudini. La paura del cambiamento li costringe a non vivere con pienezza quei momenti che possono dare vera felicità”.
E voi? Se questa fosse l’ultima settimana della vostra vita, quale sarebbe il rimpianto più grande?
“Ci vuole la vita! Non basta la dialettica. Eppure c’è chi pensa che la testimonianza, cioè la vita, l’esperienza del vivere, sia una scelta da rinunciatari, intimistica, una giustificazione del disimpegno. Niente di più sbagliato. La testimonianza è in realtà la scelta più esigente, perché chiede un impegno più totalizzante di qualsiasi altra opzione.
Chiede tutto di noi, non solo qualche ritaglio di tempo che decidiamo di dedicare a qualche progetto. La testimonianza è per gente che vuole vivere all’altezza della propria umanità, richiede di essere presenti con tutto noi stessi nell’andare incontro all’altro, portandogli una novità vissuta in modo così radicale che lui possa ridestarsi in tutta la sua umanità, da
uomo a uomo. «Dio salva l’uomo attraverso l’uomo».
(L. Giussani, All’origine della pretesa cristiana, Rizzoli, Milano 2011, p. 132.
Ecco un piccolo contributo, ascoltato una settimana fa, in un momento di riflessione per rigenerarsi… Vorrei regalarlo, senza aggiungere altro, solo l’invito di abbracciare sempre più l’Essenziale!!!
Caro Prof,
e come non darle ragione… Il silenzio a volte nasconde profondità irraggiungibili altrimenti. Lontano dai clamori, dai consensi o dissensi altrui un uomo di cultura e che fa cultura si guarda dentro e si riscopre. Io resto sempre in attesa dell’uscita del suo romanzo, il nuovo, (quello che parla anche di mafia), io che quando scendo in Sicilia, percorrendo l’autostrada per raggiungere Trapani faccio fermare l’auto a Capaci e con mio marito e le mie tre bimbe preghiamo, aspetto le sue parole, la sua verità. Buon lavoro Prof. Un’affezionata lettrice. Lu.
è strano leggere che quello che scrive è più o meno ciò che mi succede ora: è come se ogni notte mi addormentassi nell’attesa che succeda qualcosa, qualcosa che mi stravolgerà la vita… Poi in realtà non accade nulla che non sia “malinconicamente quotidiano”.. Però quella sensazione di calma, di quiete prima della “tempesta” resta sempre. Ho paura che possa essere una cosa tragica (mi investirà un tram mentre sono in bici?), oppure una cosa bella (un nuovo amore? ritornare a Parigi? magari le due cose insieme?!)
Ma io nel frattempo mi sento una statua, immobile, cristallizzata in questa strana “attesa”.
Sono sospesa tra questa vita e un’altra che non so.
Sono pronta a “ricevere”, ad accogliere il nuovo, comunque sia, ma da dove arriverà il segnale? per quanto tempo dovrò restare in ascolto? purchè sia come l’uragano.
E’ molto bello e significativo il messaggio che arriva dalle tue parole.
Dici: “il silenzio è il grembo della parola, il femminile della parola, quella ricettività che è farsi piccoli fino ad essere quasi un nulla, che è tipica dei poeti e dei contemplativi,…”.
Forse perchè stiamo entrando nella Settimana Santa, ma questa tua riflessione mi ha immediatamente portato a pensare alla figura di Maria, creatura contemplativa per eccellenza. Mi ha riportato al suo essere sotto la croce,con tannto dolore, ma in silezio,un silenzio che anche in quella situazione diventa fecondo perchè capace di sciogliere la paura, La rende capace di reggere,Lei per tutti, lo smarrimento di tanti di fronte a quell’evento umanamente incomprensibile della Croce, ci accompagna con disrezione a scoprire e ad accogliere ciò che a volte ci sembra senza senso.
Il Suo è un silenzio che “parla” da solo!
Grazie Alessandro, anche se sei “in silenzio” ascoltarti è sempre bello e arricchisce l’ascolto della propria vita interiore.
Come sempre colpisci nel segno.
Non metto in dubbio che quella del silenzio sia una tua reale necessità contingente, ma ora coincide con quella che è la settimana del silenzio fecondo e ricettivo.
La settimana dove il silenzio si fa preghiera e la preghiera vertigine, di fronte al Dono che racchiude in sè una triplice grandezza: la grandezza propria del dono della vita, la gratuità e la salvezza.
Durante la nostra storia personale possiamo ignorarla, possiamo considerarla per un giorno, celebrarla per una settimana appunto, oppure viverla tutti i giorni, perché in fondo lì ritroviamo la storia di ciascuno di noi, lì il nostro esserci è al tempo stesso significato, causa e motivo.
Tu dici che è un periodo in cui hai diradato gli scritti perché sei più disposto a ricevere che a dare,
io però continuo gelosamente a non perdermi i tuoi interventi, perché ogni tua parola è gioia per la mia vita.
Inoltre, non sono in grado di apportare un granchè a questo spazio, se non un pezzettino della mia quotidianità così ordinaria.
Grazie e buona Pasqua.
…grazie…
Ciao! ti ringrazio moltissimo per queste tue parole, descrivono esattamente il mio stato d’animo attuale o meglio ciò che sento che mi è chiesto di fare in questo periodo. Fermarmi dalla frenesia del fare e del “dover essere” e raccogliere un po’ i pezzi di quella che è la mia vita.
In questi giorni sto facendo le pulizie di primavera e mentre svuoto mobili e cassetti continuo a trovare oggetti del passato: Cd, gioielli, fotografie, orologi, libri etc…mentre li guardo e scelgo per loro una collocazione nei vari spazi di casa mia, mi rendo conto che in realtà sto facendo di più di questo, gli sto dando una collocazione nella mia vita. Ogni oggetto che dispongo ha un significato ben preciso per la mia storia oltre che in quella dei miei famigliari e mi rendo conto che il lavoro che mi è chiesto è proprio quello di accogliere il mio passato così com’è, valorizzarlo, per poi ripartire a costruire i miei sogni.Non è un lavoro semplice,ma niente, in questo momento, mi fa sentire più serena.
Ho appena finito di vedere il film “Still Life”! Bellissimo film, specchio di un uomo straordinariamente ordinario. Impossibile non commuoversi. La scena che chiude il film cotta livelli di lirismo estremo! Grazie Alessandro per questo consiglio cinematografico! 🙂
Caro Alessandro ci hai invitato a scrivere sul tuo blog per arricchirlo. Ecco una poesia di un’autrice a me molto cara. EMILY DICKINSON
*Io temo un uomo silenzioso
Io temo un uomo dall’eloquio frugale
Io temo un uomo silenzioso
L’arringatore, lo posso sovrastare
Il chiacchierone, intrattenerlo
Ma colui che soppesa, mentre gli altri
spendono le loro ultime monete,
da quest’uomo mi guardo
ho paura che sia grande.
Anelo a quella pace… che da sempre cerco e non trovo…mi sembra di incontrarla quando ti sento…
un caro saluto.
nadia
Ciao Alessandro , leggere ciò che scrivi in questo Zibaldino , mi fa pensare alla necessità dell’anima di rimanere in solitudine con il Grande Silenzio , fuori dai riflettori , dal giudizio delle nostre prestazioni professionali e allora ascoltarsi diventa proprio un bisogno necessario e per questo necessitiamo di non “fare “, di fermare la giostra che gira e prendere per noi quel tempo necessario per contemplare il mondo che abbiamo intorno , ciò che siamo , quello che desideriamo , come amiamo , la verità che portiamo ,anche se a volte non è cosi semplice .Uno dei traguardi piu’ belli nella vita e’ riuscire ad avere la serenità dentro di se ..
Mi rincuora trovare la pace , dove c’è la smania di essere grandi , di mostrarsi , di dimostrare .
Il silenzio e’ un grande amico , bravo chi si impone sul tempo e sui suoi ritmi frenetici , per cercare se stesso … Se non mi viene in contro lui , sarò io a cercarlo , pensando che quel tempo non è perso ma alimento per la propria anima .
“Lo spirito si fa femminile, disposto ad accogliere, a essere fecondato…”.
Mi piace questa frase perché penso che donare la vita inizia da qua.Fa paura il silenzio perché quando si fa silenzio esce quello che ci portiamo dentro e non è facile ascoltare, soprattutto all’inizio, ma poi è bello perché in quel silenzio stai con te, trovi te, Dio parla a te…e quando questo accade ci si riappropria della propria vita in modo diverso: è un avere per dare. Io sono fortunata perché qualcuno mi ha insegnato ad ascoltarmi e ad ascoltare anche con gli occhi…e ora Qualcuno mi sta insegnando ad ascoltare con il cuore…e così tutto diventa preghiera, proprio come dici tu. Grazie per il tuo fecondo silenzio
Lena
“Yair, se mi rimane un altro desiderio voglio, chiedo, che tutte quelle migliaia di parole diventino corpo”. David Grossman, “Che tu sia per me il coltello”.
Così Myriam interrompe un lungo rapporto epistolare con il suo amato Yair; così ha il coraggio di chiedere silenzio. Un silenzio paradossale, in grado di rendere più vero il loro rapporto, fino ad allora dato soltanto da parole, da identità riversate le une sulle altre.
“Che tutte le migliaia di parole diventino corpo”. E’ proprio così, solo con il silenzio, con la sua grande ricettività siamo in grado di sentire, ma sentire davvero, con i sensi, le parole che affollano la nostra mente. Solo quando siamo pronti ad accogliere, esse si presentano davanti a noi come esperienza, come corpo, come vita. Il poeta, per fare posto alla musa nel proprio corpo, deve ritirare sè; l’invasamento può accadere solo in un vaso vuoto.
Anni fa (1976), una bellissima ragazza quindicenne di nome Maria Letizia, Cilla per gli amici, ebbe il grande coraggio e la grande forza di scrivere, su un foglietto attaccato al proprio frigo, “Cilla = niente”; da allora la sua vita, anche se troppo breve, fu come riempita.
Miracolo della nullità che dona vita!
Grazie prof.
Caro Alessandro, è bellissimo quello che ogni volta scrivi, tu “scrivi” anche se resti in silenzio. Questo Blog è un mondo di vita. Sono d’accordo con quello che dici.
La parola è un dono, il silenzio a volte anche di più.
E questa vita, veglia come un grande cielo su tutti quanti i doni dell’essere umano, ne è il più grande, fra i doni.
Mi sento minuscola, un puntino, spillo fra mille spilli, se mi soffermo a pensare che tutto quel che è più di me e più immenso, mi è alla fine necessario, sa rendermi così più viva, più vera.
L’animo del poeta è forse questo stato senza suoni, ma pieno della musica che canta dentro? …Chi lo sa…
So solo che quando ci raccogliamo con noi stessi, in quei momenti che nascono da una scintilla spontanea e limpida, diventiamo più ricettivi, si osserva di più, si intuisce di più, si ascolta anche di più il mondo e quello che ci sta dentro. Come se avvenisse un impercettibile cambiamento: esteriormente meno appariscenti siamo, ma dentro infinitamente più brillanti, pronti ad uscir di nuovo rinnovati.
Benedetto sia il momento del silenzio, il piccolo, sconosciuto, inesplorato uomo che perciò talmente è bello, tanto che non avrebbe neppure bisogno di affermare la sua vita sterilmente, perchè già totale è, e solo Lei è così Santa.
Grazie alle parole che offri nei momenti più improvvisi e giusti, al tuo silenzio sempre in ascolto, a quel sapore di scorgere cose e persone, tutto quanto, come per la prima volta.
Un caro saluto.
Adua B.
Qualche settimana fa ho avuto la fortuna di assistere a una videoconferenza di Umberto Eco registrata nello studio televisivo della mia università. Parlando di silenzio mi è venuta in mente questa citazione biblica inserita da Eco nel suo discorso:
“Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo, da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì Elia si coprì il volto con il mantello. Uscì e si fermò all’ingresso della caverna. Ed ecco venne a lui una voce che gli diceva: che cosa fai qui Elia?” (1Re 19,11-13)
In questo passo Elia si trova in uno stato di totale abbattimento, è smarrito sotto il peso del suo recente fallimento, teme per la sua vita minacciata dalla persecuzione della regina Gezabele, sente la vanità di tutti gli sforzi profusi nell’adempimento della sua missione, desidera soltanto un po’ di pace. Anche se sa che la sua battaglia è giusta, è stanco di lottare continuamente contro chi non vuole o non può capire la verità, è insomma a un passo dalla resa finale, ma è proprio in questo momento che Dio gli si manifesta e lo fa non nel vento, né nel terremoto e neppure nel fuoco, bensì nel silenzio, sotto forma di brezza leggera. Solo nel silenzio possiamo scavare nei bui recessi della nostra anima e intraprendere quella ricerca interiore che porta alla scoperta delle verità più insondabili sulla nostra esistenza. E’ in quel momento che Dio ci scova e ci dice: “che ci fai qui? Perché ti nascondi in questa caverna?”, ovvero ci mette di fronte alle nostre paure, alle nostre incertezze, alle nostre fragilità per scuoterci e farci tornare alla parola. Perché, se è vero che il silenzio è un momento necessario nella vita di ognuno, funzionale alla ricerca esistenziale e all’incontro con Dio, deve però essere solo preludio del ritorno alla missione assegnata a ciascun individuo. Non può essere certo un pretesto per venir meno al dovere di mettere a frutto i doni che più o meno ognuno è consapevole di avere, perché scopo primario di un essere vivente è quello di rendere gloria a chi lo ha creato, proprio come fa una volpe col suo essere volpe, così deve fare ad esempio uno scrittore col suo essere scrittore. Tutto nasce con il “logos” e ad esso dobbiamo tornare.
Still life film meraviglioso forse poco apprezzato, quando l’ho visto mi ha sconvolto il silenzio che faceva da sottofondo al film che entrava dentro e produceva emozioni profonde.
Mi fa piacere che ne ha parlato anche D’avenia.
La mia professoressa di musica delle medie,un giorno disse che il silenzio assoluto non esiste ,c’e`sepre un suono nell’aria ,una musica probita che solo chi tace riesce a sentire e a godere di quella melodia.
Io voglio provarci ,nel silenzio ci sono le risposte che cerchiamo.
A volte abbiamo bisogno di periodi “bianchi”,per comporre la musica che ci scorre dentro.
Preparando il concerto della vita.
Vorrei commentare il tuo articolo, un tempo, neanche troppo distante, lo avrei fatto. Avresti quantomeno scoperto che la ‘penna’ la so usare, un dono che mi è caro.Non lo faccio, se non con queste poche parole, perchè viviamo lo stesso momento. Io però ho molta meno esperienza di te a metter via l’ego e rimanere piccola. Lo faccio per la prima volta ma al momento non posso dire di provare l’amore che tu descrivi.E’dura anche se credo di non sbagliare ad astenermi per un pò dalla vita ‘caotica’. È comunque bello sapere di non essere sola. Mi fa sentire meno ‘matta’ e credere di più che ne valga la pena.
Scrivo ora, perché solo da poco tempo ho scoperto l’esistenza di questo blog che su di me ha uno “strano effetto”: suscita emozioni che difficilmente esternerei. Tempo fa poi ho scritto anche una mail dopo aver letto un suo libro e mentre cliccavo “invio” mi sono sentita un po’ folle vista anche l’età (ho superato gli anta, e da qualche anno poi). Ma poi alla fine ho pensato: “Va bene così. Non importa”.
Scrivo qui, sotto questo post dove sono capitata cliccando nelle varie sezioni, perché è citato il film “Still Life”. Sono andata a vederlo, da sola, anni fa ed eravamo pochissimi.
I miei amici hanno storto il naso quando l’ho proposto. La trama non attirava. Per me non è stato vedere un film, ma una poesia, velata di dolce malinconia.
Ho pianto, mamma quanto ho pianto, prima nascondendomi nel collo della mia giacca e poi scoprendomi e scorgendo le lacrime anche negli occhi del signore seduto accanto a me. Ci siamo guardati e ci siamo scambiati un lieve sorriso. Una piccola magia, in fondo. C’è solitudine, tanta solitudine in questo film ma anche tanto amore, per gli altri ma soprattutto per la vita. L’altra sera è stato trasmesso in tv, spero che in tanti lo abbiano visto. Se posso consiglio altri due film che mi hanno commosso perché sottolineano quanto l’animo umano possa essere meraviglioso soprattutto se nascosto in gesti quotidiani e quando si apre al prossimo: “Io, Daniel Blake” ora nelle sale (almeno a Milano dove l’ho visto pochi giorni fa in una sala vuota) e “Le ricette della signora Toku” da recuperare in dvd perché credo non sia più proiettato.
Buona visione e Felice Natale.
Fabiana
Grazie per le tue parole Fabiana, e per i consigli cinematografici. Un abbraccio e auguri