Il silenzio degli in-docenti
Seconda puntata, la prima la trovate qui.
Il mio articolo su docenti, in-docenti, in-decenti ha suscitato un acceso dibattito, che voglio proseguire, cercando di sollevare non inutili “sensi di colpa” ma fecondi “amorosi sensi”. Spesso i docenti perdono l’amore originario per il loro mestiere a causa delle condizioni del sistema. Burocrazia. Famiglie assenti o aggressive. Ragazzi più o meno sdraiati. Stipendio. Questi sono i demoni che infestano la nostra professione e sembrano trasformare un docente in un in-docente (neologismo, ci tengo a ribadirlo, da prendere alla lettera: colui che non riesce più a trasmettere).
L’in-docente, pur rimanendo competente nella materia, perde gradualmente le sue “abilità relazionali”. Capita a tutti (anche solo a tratti) in questo mestiere, ma siamo sicuri che le cause ultime siano quelle segnalate? O quelle segnalate sono solo conseguenze di cui si traveste la vera causa?
La risposta è nella lettera di una docente di istituiti professionali che mi ha scritto a proposito del primo articolo:
In un professionale mi sono trovata benissimo, perché lì c’era un nucleo stabile di insegnanti e un vice-preside che avevano a cuore la scuola e quei ragazzi. Mi sono sempre confrontata con i colleghi di scienze e di fisica sui contenuti e su come proporli, su come gestire alcune situazioni in classe; questo è stato molto importante e mi ha dato la possibilità di raccogliere qualche frutto. Il collega di scienze mi ripeteva sempre che per quei ragazzi era importante avere di fronte degli adulti che credono in quello che fanno; lì, pure in modi diversi, ci credevano (quasi) tutti. Di conseguenza i ragazzi avevano comunque il senso della scuola, di come fosse giusto comportarsi. Spesso si comportavano male lo stesso, ma c’era la consapevolezza di questo “male”. Ho avuto sì delle sconfitte (insegnare a un professionale è come per un medico lavorare in oncologia: sai in partenza che il più delle volte non vinci tu), ma anche delle soddisfazioni. Ben diversa è stata l’esperienza in un altro professionale. Il problema maggiore è stata la mancanza di coesione fra gli insegnanti: la maggior parte dei miei colleghi aveva letteralmente alzato “bandiera bianca”, si era arresa e puntava alla sopravvivenza personale. I pochi che provavano ad affrontare i problemi si trovavano perciò di fronte a un muro. È stato un anno duro, perché non mi sono mai sentita appoggiata. Docenti e dirigente si perdevano in una burocrazia puntigliosa, mentre alcuni problemi enormi venivano ignorati perché “la scuola non ha gli strumenti”. Venivano approvati progetti che prevedevano gli interventi (purtroppo inutili) di alcuni pedagogisti ed educatori. Sicuramente, in condizioni diverse (con insegnanti che vogliono insegnare e mantenere vivo il “senso della scuola”), molti problemi sarebbero rimasti irrisolti, perché enormi, ma almeno la scuola si sarebbe offerta per quello che è, una scuola appunto, e non un contenitore, in cui i ragazzi bivaccano allo scopo di conseguire (immeritatamente) un titolo di qualifica professionale, senza la minima intenzione di alzarsi dalla sedia a sdraio.
Che cosa è ciò che la docente chiama “il senso della scuola”? Mettendo a confronto le due situazioni risulta chiaro: le relazioni tra docenti. Posso essere il più esperto della materia, ma se non amo più comunicarla, non amo più le persone a cui devo comunicarla, non amo più le persone con cui devo comunicarla, non passa niente di quello che conosco. Il sistema scuola è costituito da relazioni: con gli altri docenti, con i ragazzi, con i genitori. In un mondo ormai basato sulla rete di persone e di saperi, la scuola è ancora fondata sul “broadcasting”: la “cattedra” emette messaggi indifferenziati ad un pubblico passivo. Per un cervello del 2013-14, che ha un modo di ascoltare e apprendere reticolare e partecipativo, e sempre meno analogico e frontale, è come essere sintonizzati su frequenze diverse. La scuola deve passare dall’età della radio-tv a quella della rete.
La rete costringe a tornare all’elemento umano della macchina. La lettera evidenzia che la differenza tra le due scuole non sono le mura, ma le relazioni tra docenti. Una scuola è a immagine delle relazioni dei docenti fra loro: funziona se funzionano queste relazioni.
E quando funziona una relazione? Quando è reale. E quando è tale? Quando produce effetti, perché reale, insegna la scienza, è ciò che produce un effetto.
La relazione docente-studente che effetti produce se reale? La curiosità, il metodo, l’amore per la materia e quindi la conoscenza, la crescita reciproca. Se non ci sono questi effetti è perché non c’è la relazione. Perché non carichiamo le lezioni su youtube dove i ragazzi potrebbero comodamente guardarle quando vogliono e noi evitare ogni fatica? Perché prepariamo “quella” lezione per “quella” classe per “quel” giorno? Perché è nella relazione curata in modo unico che si comunica.
La relazione docente-docente che effetti produce se reale? Il sostegno reciproco, l’approfondimento di passioni comuni, l’arricchimento di porzioni di sapere che ci sfuggono, in alcuni casi l’amicizia. I docenti però spesso si fanno la guerra per invidia, per paura, per stupidità, o semplicemente si lasciano succhiare la vita da quei demoni di cui parlavo all’inizio. Il docente si spegne per solitudine preceduta dal velenoso “silenzio degli in-docenti”.
Solo l’umano rinnova i sistemi, non la tecnologia, e l’umano nella scuola è un intreccio di relazioni, ciascuna con beni specifici in gioco. Sparita la relazione sparisce il senso della scuola, statale o non, vecchia o nuova, di periferia o di centro che sia. Senza relazione emergono solo mura e funzionari (la fase terminale dell’in-docente è il funzionario). C’è scuola dove c’è relazione e costruzione di beni relazionali che senza quella relazione sarebbero irraggiungibili, come pretendere dall’acqua di fare a meno dell’idrogeno o dell’ossigeno: il senso della scuola è questo, il bene relazionale che solo la reciprocità educativa può produrre.
Non sono un dochisciotte a caccia di docenti ideali, ma di docenti nascosti dentro loro silenzio, che possano ritrovare luce attraverso pratiche virtuose, come accade in tante scuole che ho visitato (professionali, tecnici, alberghieri, licei…) e che sarebbero da imitare: docenti che lavorano in equipe con attenzione rivolta non solo alla loro materia, ma ai colleghi e agli alunni come persone. Docenti che continueranno a fallire come ci capita tutti i giorni nonostante gli sforzi, perché fallire è proprio dell’umano e delle relazioni. Ma docenti che, singolarmente e insieme, oltre a fallire, porteranno i ragazzi a scegliere: stare al gioco relazionale e creare insieme qualcosa di buono o lasciarsi andare? La responsabilità dei ragazzi è una risposta non un presupposto.
Propongo per l’ultimo giorno di scuola di dicembre un’occupazione fatta dagli insegnanti. Tutti i docenti di una classe la occuperanno e terranno una lezione di mezz’ora sull’argomento che amano di più. Dovranno solo raccontarlo a studenti e colleghi seduti nella stessa classe, insieme. Si magnificherà il sapere e la propria passione di comunicarlo a colleghi e alunni, riuniti per quel che sono: una comunità di ricerca di ciò che ha valore. Assisteremo all’assenza degli in-decenti, al fiorire degli in-docenti, alla gioia dei docenti. Sognare una scuola per tutti in cui sarà possibile scegliere chi è capace di dare senso alla scuola è forse prematuro, ma sognare un giorno di scuola veramente libera nella scuola dell’obbligo è solo questione di scelte.
Carissimo Alessandro, il problema sorge quando un collega, magari il più esposto dal punto di vista del ruolo istituzionale (perchè c’è una bella differenza di condizioni di partenza tra un prof di religione e uno di italiano, il primo ha 18 classi, non ha il voto che fa media ed è completamente solo e sguarnito di aiuti (educatori e insegnanti di sostegno)e come sai basta questo per definire le situazioni imparagonabili), appunto se questo collega ha qualche problema nella gestione delle classi, che si fa? Gli si dà addosso. Non solo nell’indifferenza e cattiveria dei colleghi, che giungono persino a sgridarlo de’avanti ai ragazzi dicendogli che chi non sa gestire le classi deve cambiare mestiere (questo in epoca di assenza di opportunità lavorative, ignoranza dei fatti, insensibilità totale), ma pure il preside si mette a minacciarlo di mandargli lettere riservate…Ci rendiamo conto che questo è darwinismo-sociale, mobbing, cattiveria nazista, in assenza di nazismo dichiarato?????
Ciao, sono una supplente e ti capisco perchè ho subito il mobbing sia degli alunni che dai colleghi, purtroppo queste storie sono vecchie come il mondo!
Dare addosso ai deboli è tipico dei vili, forti con i deboli e deboli con i forti!
Hai tutta la mia solidarietà e comunque bisognerebbe ricordare l’art.33 della Costituzione Italiana.
E’l’eterna lotta del bene contro il male, ma io credo sia più forte il bene (citazione canzone di jovanotti).
L’etica e la morale dovrebbero guidarci, la giustizia divina, e l’amore grazie al quale esistiamo.
Sì caro Alessandro, condivido ciò che pensi, l’Uomo è felice solo nella relazione. E se l’uomo-insegnante è felice, è felice di insegnare di condividere ciò che è, che spera, che sogna …
Riprendiamoci la relazione, tra colleghi, tra scuola e famiglia, basta muri invalicabili …
Coraggio.
Caro Alessandro,
E’ un’idea grandiosa quella dell’occupazione!
Devo dire che nella mia scuola (un liceo scientifico)sono tutti “docenti indecenti”, se ne salvano pochissimi. Questi professori ti fanno odiare la scuola e spesso anche le materie che ami di più e questo mi fa arrabbiare perché a me piace andare a scuola, imparare..
Vorrei tanto attaccare il suo articolo sui docenti indecenti al portone della scuola, e magari convincere i miei compagni a fare occupazione, ma sono sola per ora, non so come fare e da dove iniziare…
Penso che in quella scuola non c’è nessuno che possa interessarsi al bene dei ragazzi, e temo sia vero.
Sapere che c’è qualcuno che si accorge di questi docenti indecenti, anche se non nel mio liceo, mi rende infinitamente felice!
Grazie Prof, e grazie ai ragazzi del liceo dove insegna che hanno voglia e coraggio di mettersi contro li “in-docenti”
In bocca al lupo a tutti voi!!!
Si, caro Alessandro, la scuola deve riprendersi il suo ruolo educativo e fare la sua parte nella costruzione di società sane, ma per farlo è necessario che al suo interno vi siano competenze certe, non solo a livello di docenti, ma soprattutto a livello dirigenziale. Quando lo capirà il Ministero che pur di tenere nascosto tutto il marcio che c’è copre ogni sorta di malessere: dal mobbing al bullismo, passando per l’ incompetenza totale. Sono quarant’ anni di sofferenza e, grazie alla Fornero, devo ancora sopportare. Grazie per l’ opportunità.
Caro Alessandro,
E’ un’idea grandiosa quella dell’occupazione!
Devo dire che nella mia scuola (un liceo scientifico)sono tutti “docenti indecenti”, se ne salvano pochissimi. Questi professori ti fanno odiare la scuola e spesso anche le materie che ami di più e questo mi fa arrabbiare perché a me piace andare a scuola, imparare..
Vorrei tanto attaccare il suo articolo sui docenti indecenti al portone della scuola, e magari convincere i miei compagni a fare occupazione, ma sono sola per ora, non so come fare e da dove iniziare…
Penso che in quella scuola non c’è nessuno che possa interessarsi al bene dei ragazzi, e temo sia vero.
Sapere che c’è qualcuno che si accorge di questi docenti indecenti, anche se non nel mio liceo, mi rende infinitamente felice!
Grazie Prof, e grazie ai ragazzi del liceo dove insegna che hanno voglia e coraggio di mettersi contro li “in-docenti”
In bocca al lupo a tutti voi!!!
Riguardo alla passione che deve avere un docente, mi tornano in mente queste parole di John Williams nel suo romanzo Stoner:
– Ma non capisce, Mr Stoner? – domandò: – Non ha ancora capito? Lei sarà un insegnante-.
All’improvviso gli sembrò che Sloane si sesse allontanando, insieme alle mura dell’ufficio. Si sentì sospeso nell’aria aperta, mentre la sua voce diceva: – E’ sicuro? -.
– Ma certo-, disse dolcemente Sloane.
– Come può dirlo? Come fa a saperlo? -.
– E’ la passione, Mr Stoner-, disse allegro Sloane, – la passione che c’è in lei. Nient’altro-.
Caro Alessandro,
condivido i tuoi articoli bellissimi, sono entusiasta della parola che tu usi spesso, questa “relazione” che è acqua che ristora. In tutti i lavori purtroppo se ne sente la mancanza e si riesce ad instaurare solo con pochissimi. Come sarebbe bello poter dire davvero che un buon collega è anche allora un amico. Per me la relazione, sa di un qualcosa di così umano che non ne saprei fare a meno, io la cerco negli altri, questa relazione e soffro non trovandola. Perchè senza, in un luogo, ci sentiamo anche più soli. Senza quella fiducia, quel sostegno, quel poter comunicare pur stando sempre noi stessi, senza indossare la maschera della giornata per la paura di venir fregati o traditi. Se riusciamo ad instaurarla, non solo vuol dire che siamo sulla stessa onda di idee, ma anche che cresciamo insieme, ci arricchiamo maggiormente a vicenda. E’ come trovare un tesoro nascosto, proprio là dove è difficile trovarlo. E secondo me sono venti anni, se non di più, che viene passata questa idea diseducativa dell’aggressività fra colleghi e fra persone che sempre si sentono in competizione, una aggressività spiegata nell’invidia, nelle gelosie piccole e grandi, nella puerilità, che non porta a niente..e pensare che questi tipi di persone alla fine sono proprio coloro che hanno più bisogno di molta relazione, perchè loro stessi non l’hanno intorno dove dovrebbe stare…
Un caro saluto..
Adua
Grazie per la Sua continua opera educativa su chiunque la incontri, di persona o attraverso sui scritti. Grazie perchè sceglie di stare all’altezza del desiderio del Suo cuore, che è il desiderio che fa essere l’uomo uomo, per il quale irradia creatività, passione e speranza.
Io sono un medico, per il mio lavoro vale lo stesso discorso dei Prof. Ha ragione Lei, la differenza la fa il fare con e per amore, inteso nel suo significato profondo, non solo sentimentale. Perchè ogni cosa può bloccare o rilanciare. Dipende solo dalla persona. Grazie. Serena.
La splendida idea dell’ occupazione credo sia adatta a qualsiasi attività o professione. Quanto sarebbe bello incontrare i miei colleghi e conoscere la passione che li spinge nella loro professione! spesso ho la sensazione che il momento difficile che tutti stiamo vivendo sia una scusa per NON fare, la colpa è sempre di qualcuno o qualcosa, mai nostra…… un po’ di sana autocritica a se stessi non guasterebbe! Grazie Alessandro.
Condivido la tua idea in merito all’importanza della relazione, sia tra insegnante e studenti, sia tra colleghi e personale della scuola. Credo che alla base del problema ci sia una discreta incapacità di comunicare, ma anche di ascoltare. Spesso mi sono resa conto, che pur investendo tutta la mia buona volontà, tutte le mie competenze professionali e tutta la carica umana personale, non è automatico e tanto meno sicuro un riscontro positivo. In-docenti, in-decenti. Ma vorrei spiegare come mi sento quando sono subissata da richieste di cambiamenti e innovazioni che provengono dall’alto e di cui non vedo l’effettiva volontà di fare in modo che funzionino. Nelle nuove indicazioni nazionali per la scuola del I ciclo, ad esempio ho ritrovato, nelle finalità, le stesse importanti innovazioni rivoluzionarie che c’erano nei nuovi programmi della scuola elementare dell’85. In tutti questi anni non si è fatto altro, a livello ministeriale, che smontare pezzo per pezzo i fondamenti di alto valore pedagogico e umano in essi contenuti. Quindi mi sento frastornata e stanca, sì stanca di dover rileggere e ristudiare quello che si chiede alla scuola, agli insegnanti senza però permetterne l’attuazione: la formazione assente, l’organizzazione scolastica senza compresenze, i tagli continui che non consentono l’attivazione di progetti, la riduzione delle ore di alcune discipline, il totale disinteresse per le difficoltà reali degli insegnanti e degli studenti.
ringraziando di questo suo articolo, volevo dire che mi trovo pienamente d’accordo con la collega (che sia della mia scuola?) di cui Lei ha riportato parte della lettera nel suo articolo. La mia è (era) una scuola professionale, ma di serie A, dove il corpo insegnante era in grado di interagire positivamente fra sè con gli alunni, forse un po’troppo coccolati, ma a cui si dava la massima attenzione, a cui si donava sicurezza, passione, ali per volare…Parlo al passato perchè prima la Gelmini (e la sua riforma)poi un preside ottuso, l’hanno distrutta dimezzando il numero degli alunni, mandando sovrannumerari docenti cinquantenni fantastici, lasciando solo noi (io più che sessantenne) stanche e demotivati dai continui tagli (di ore e di stipendio) e dalla lotta impari con i laboratori sempre più fatiscenti e i nuovi programmi scritti in burocratese a cercare di reagire. Alcuni alunni scorretti e maleducati (5%) fiaccano le mie residue forze. sono la minoranza ma sono sufficienti ad avvelenare il clima. D’altra parte una classe fantastica mi ha portato spesso alla commozione per l’affetto che mi è stato riservato, e questa volta sono io che mi sento quasi coccolato…
Grazie, Andrea. Grazie.
Grazie.
Mi ha riportato indietro di qualche anno, insegnavo in una scuola privata di osteopatia a Napoli . Un giorno mi ferma un allievo per ringraziarmi dell’aiuto che gli avevo dato durante una lezione e mi dice che la cosa più bella che trovava in questa scuola era che gli insegnanti sembravano come fidanzati. Si, fidanzati, per la cura che avevamo gli uni verso gli altri, per come ascoltavamo e con quale interesse seguivamo spontaneamente le lezioni dei colleghi ( fidanzati ) e per come ogni lezione sembrava la passione che ci accompagna nella vita che veniva condivisa con chi è assetato di conoscenza. Era proprio divertente insegnare.
Caro Alessandro, ho letto i tuoi libri ed anche questi articoli sui docenti e sulla scuola. Insegno alla scuola infanzia da 35 anni e condivido la questione delle relazioni tra lavoratori della scuola che creano la differenza nel far funzionare una idea di scuola percepita dagli studenti come dalle famiglie. Ho detto lavoratori della scuola perchè secondo me anche Collaboratori scolastici e Amministrativi se entrano in relazione fanno la differenza nel modo in cui funziona la scuola. Ma certe persone sono in-docenti o in-amministrtivo o in-bidello sin dai primi giorni di lavoro. Soprattutto per quanto riguarda i docenti, sono quasi sempre persone che dal ruolo di figlio e studente è passato al lavoro di docente, senza aver mai sperimentato altri sistemi relazionali in altri contesti di lavoro. E arrivato ad essere docente, ripropone gli stessi meccanismi che ha vissuto nelle classi dove è stato studente, senza sforzarsi di cercare altre strade nè preoccuparsi di formarsi in sviluppo dell’adolescenza o di come si comunica. questa situazione ormai si ritrova in ordine ordine e grado scolastico, un po’ meno all’infanzia ma sempre di più dalla primaria ai professori delle superiori.
ho letto gli articoli con grande interesse visto che appartengo anch’io alla categoria. Devo dire che mi sento un’eroina del tempo passato, visto che ogni giorno LOTTO con i miei cicciobelli per cercare di farli ragionare. Non ho mai creduto alle nozioni imparate a memoria visto che di persone che si riempono la bocca di slogan, di cui non conoscono neppure il significato, ce ne sono fin troppe.Dato però che i miei cocchi sono un po’ paurosi,scappano ogni volta che sentono puzza di bruciato. E’ molto difficile sentire il rumore dei loro NEURONI che entrano in azione; invece è molto facile vedere che i loro ormoni agiscono ……I loro genitori poi, danno un grande aiuto nell’arte della fuga verso spiagge esotiche ….dove liberarsi dal fardello della scuola…..
Eroina. Anche noi ne avremmo bisogno… 😉
Essere docenti decenti, oggi, e’ una sfida epocale, non tanto perche’ e’ in atto una mutazione antropologica nelle nuove generazioni, ma soprattutto perché’ nella scuola gerontocratica non c’e’ spazio per insegnanti appassionati: quello che conta e’ l’istrionismo dell’ostentata autorita’, l’uso terroristico del voto. La scuola e’ in mano ad ex sessantottini che hanno ottenuto la laurea con i libretti di Mao, hanno raggiunto il posto fisso con sanatorie e corsi abilitanti indegni, hanno combattuto contro il principio di autorita’ e ora nostalgicamente lo ripropongono nelle forme piu’ becere. Diceva Pasolini che puo’ educare solo chi sa amare. Nella scuola, oggi, c’e troppa gente che non e’ in grado di amare e che non conosce i rudimenti dell’alfabeto emotivo. Peccato.
Caro prof.
ho scoperto oggi il suo blog e ho letto con interesse i due post sui docenti e la scuola.
La lettera della studentessa potrebbe averla scritta mia figlia: due anni all’istituto tecnico e poi passaggio con esame integrativo al liceo.
In questi tre anni ho visto scemare il suo interesse per lo studio e per l’ambiente scuola in particolare.
All’inizio mi sono arrabbiata, ma poi ho cercato di capire da dove nasce il suo disagio. Sono convinta che in parte derivi da un certo bullismo già alle scuole medie che ha fatto sì che si sia isolata e anzi cerchi di distinguersi dagli altri, cercando e temendo allo stesso tempo di essere esclusa dagli altri.
E gli insegnanti? Non sanno leggere e abbattere il muro che si è eretta attorno. Al liceo la prof. di italiano ha saputo dire solo “eh sa….viene dal tecnico…è più indietro degli altri…” Beh, se questo è un elemento infamante non dovevano ammetterla. E se una ragazza a 16 anni non ha potenzialità di recupero, chi dovrebbe averne? E poi dicono che il liceo allarga la mente. E’ questa l’apertura mentale che si raggiunge? La vera cultura non è quella con la puzza al naso, ma quella che si trasmette con passione.
Ho capito che è solo fortuna avere un figlio/a che ha trovato una sua motivazione nello studio, perciò gli insegnanti e alcuni genitori che mi guardano come fossi una fallita per aver generato tanta incostanza e rifiuto per lo studio, sappiano che poteva capitare a chiunque.
A me basterebbe solo trovare il modo di “raggiungere” mia figlia e farle capire non solo l’importanza del “pezzo di carta”, necessario per continuare un certo percorso (cosa che lei vede nel suo futuro, a giorni alterni), ma soprattutto l’amore per la conoscenza che ci sta dietro (anche se non sempre quest’ultima è raggiunta da chi il pezzo di carta l’ha comunque ottenuto, magari imparando tutto a memoria).
So che non ci sono formule magiche per risolvere la situazione, ma vorrei tanto che avesse incontrato almeno un insegnante come lei. Sono sicura che avrebbe saputo arrivare dove io non sono riuscita.
Quando toccheremo il fondo cambierà qualcosa a livello strutturale, intanto possiamo provare a fare ciascuno la sua parte, causando piccole “rivoluzioni” silenziose. Auguri per tua figlia.
Caro Alessandro
sono molto belle le tue parole ma purtroppo le cose nella realtà vera e propria sono un tantino diverse. I prof quelli veri, che fanno partorire quello che di bello c è in ciascun studente sono pochi. Io ho avuto la sfortuna di avere docenti incompetenti che non hanno saputo educare e continueranno ad insegnerare così anche a quelli che verranno. Spero davvero che con l università qualcosa cambierà. Ho preteso forse troppo dao miei insegnanti specie per qquanto riguarda la mia vecchia prof di itakiano (adesso ho gli esami e posso chiamarla vecchia). Lei stessa mi ha fatto odiare.per due anni Dante criticandolo lei stessa non le piaceva Dante e non lo spiegava due canti di Purgatorio e due canti del Paradiso. Ho cercato di farle capire che Dante è un maestro ma lei forse non ci ha mai capito nulla. Lei prof mi ha insegnato molto moltissimo. La ringrazio tantissimo