In-decenti, in-docenti, docenti
Un libro li definisce “sdraiati”. I ragazzi di oggi. Una generazione che non sa tenere la schiena dritta, ma spalma sulla vita la propria spina dorsale liquida. Avrei la schiena come la loro se mi avessero dotato di una comodissima sedia a sdraio, dalla quale avrei mandato a quel paese chi dopo averla fornita ora, pentito, la rivuole indietro. Moralismo. Nostalgia del tempo andato. Paternalismo sornione.
Gli sdraiati invece li vedo tendersi quando offri loro qualcosa di cui non possono fare a meno e che abbiamo sostituito con surrogati tecnologici, assenza di “no” e limiti, ma soprattutto di mete non autoreferenziali e narcisistiche. Raddrizzano la schiena quando al moralismo sostituisci la morale: facendo loro toccare cosa è bene e cosa è male, non a parole; quando alla nostalgia del tempo andato sostituisci la nostalgia del futuro, sudando lo stesso loro sudore, non metaforico; quando al paternalismo sostituisci la paternità, difendendoli dalle paure ma sfidando le loro risorse migliori, dedicando loro tempo al di fuori di quello stabilito.
La spina dorsale cresce dritta a chi è teso verso la luce, come quelle piante a cui mia nonna metteva accanto un bastone fissato con uno spago, che le lasciava abbastanza libere da slanciarsi verso l’alto e non troppo libere da curvarsi su se stesse. Come si slanciavano verso il sole affondando proporzionalmente le loro radici! Dopo un po’, eliminati spago e bastone, rimanevano dritte, perché la fisica vuole che più ti slanci in alto più hai bisogno di radici profonde. Incolpare la pianta di non avere radici salde è incolpare se stessi, ma questo è duro da ammettere, e la colpa finisce sempre per cadere fuori dal recinto della responsabilità personale: loro, la tv, il consumismo, la scuola, la playstation (che abbiamo comprato con la sdraio).
Solo la vita e l’esempio educano, le parole non bastano. Non basta dire tieni su la schiena, se non additiamo il panorama da guardare oltre la soglia. Il nostro modo di vivere autoreferenziale lancia spesso proclami contraddittori rispetto alla schiena dritta che esigiamo. I bambini allo stadio fanno lo stesso che fanno i padri: e ci scandalizziamo pure? O li multiamo?
C’è però chi reagisce, cito da una delle tante lettere di contenuto analogo che ricevo:
Mi dica, le piace essere un professore? Pensa che abbia ancora un valore, per un professore, essere tale? Io sinceramente odio la scuola e non perché non ami studiare, imparare cose nuove, ma perché mi sento soffocare, quando la prospettiva è entrare in classe ed ascoltare passivamente persone che nel loro mestiere non mettono impegno, che sembrano sempre sull’orlo di una crisi isterica, che non fanno amare ciò che si vantano di insegnare.
Ho solo diciotto anni, che ne so io della vita, di come si svolge un mestiere? Potrebbe chiedermi e dirmi che tutto ciò è una scusa per giustificare il fatto che di studiare non mi va. Sì è vero, non mi va di studiare un argomento che non mi appassiona. Ma non dovrebbe essere proprio quello, il ruolo del professore? Far amare la cultura? Far amare lo studio? No, perché quello che nel mio liceo si fa è imparare a memoria. Ma a Lei non sembrano sbagliati i verbi che vengono usati per capire se si è studiato o meno? Interrogare e ripetere.
Io li odio questi due verbi, Professore, perché interrogare ha perso il suo significato latino, è diventata una minaccia, e alla domanda “La misoginia nella Medea di Euripide” – che neanche è una domanda a dirla tutta – si deve ripetere, come un automa, quello che il professore ha “pazientemente” dettato in classe per un’ora (50 minuti, nei primi dieci era a prendere il caffè col collega di turno) e le altre cinquanta pagine che invece avresti dovuto imparare a memoria a casa.
Io invece vorrei che un professore mi chiedesse “Ma tu della Medea cosa hai capito?”, “Ma perché secondo te Manzoni ha rinnovato completamente il genere del romanzo?”, “Ma quindi a te cosa è rimasto di Hegel?”, e vorrei lo facesse con quella luce che si ha negli occhi quando si fa qualcosa che si ama, per guidarci verso la maturità, quella vera, verso la capacità di guardare con occhio critico la realtà, quella luce che fa scattare dentro la curiosità, una volta a casa, di aprire il libro e capire “Ma quindi cosa voleva trasmettermi D’Annunzio, con tutta ‘sta pioggia?”.
Io guardo i miei professori e in loro vedo tante cose, tranne l’amore verso il proprio mestiere. Più che odiare la scuola, io odio i miei professori. Preferisco passare i pomeriggi a scrivere o visitare una mostra che hanno appena allestito o andare in quella libreria, un po’ nascosta tra le vie del centro, dove posso comprare un libro e sedermi a leggerlo.
Lei la vede intorno a sé la voglia di insegnare, di trasmettere qualcosa a coloro ci si aspetta siano il futuro del nostro Paese? Le vede le loro anime accese, vive, piene di voglia di fare, di dire?
Questa non è una lettera sdraiata, ma la lettera ben dritta di una ragazza all’ultimo anno di liceo, delusa, polemica, in uscita con un cumulo di nozioni in testa e la certezza di sapere chi non diventare. Eppure ne voleva di cultura, di quella che trasforma la vita, cultura indicata infatti come “luce che fa scattare”. Non basterà rispondere che la vita è la fatica di fare “anche” ciò che non appassiona, perché lei la passione non l’ha vista proprio e le sembra di dover fare “solo” ciò che non appassiona, la morte in vita per chiunque, figuriamoci per un diciottenne.
Chiedete ad un ragazzo di oggi quali lezioni frequenta volentieri: vi citerà non l’“in-decente” (professore amicone, complice, che parla di sé e non fa lezione), non l’“in-docente” (colto ma freddissimo), ma il docente che li mette alla prova, che li sfida, che dà molto ed esige molto, che si occupa della loro crescita e non solo dei loro voti, il docente che amano e odiano, e che sceglierebbero autonomamente, se fosse loro consentito. I ragazzi si sdraiano nella scuola degli “in-decenti”, e odiano quella degli “in-docenti” (letteralmente coloro che non-in-segnano anche se conoscono in modo ineccepibile la materia). L’in-docenza si nasconde dietro la ripetizione, la formula vuota, il dovere per il dovere, evita la vita, non la seduce, non per portare gli sdraiati verso noi stessi (triste e inutile beffa), ma per raccontare loro il sole, attraverso la luce di occhi posati sì sulle carte ma altrettanto sulle vite, perché raggiungano -singolarmente e insieme- la loro altezza. Prima di discettare sul ridurre di un anno la scuola italiana, per uniformarci (verso il basso) al resto dei paesi europei (se la sognano una scuola con contenuti come la nostra), dovremmo provare a costruire scuole in cui sia consentito scegliere insegnanti decenti e docenti, come prova a fare qualsiasi mamma che vuole iscrivere il figlio in prima elementare.
Sante parole!!! Condivido pienamente da diciottenne anche io. Grazie
Sono felice di essere uscita da questa scuola. Per questo sarei felice se togliessero un anno al liceo, non per somigliare agli altri paesi, ma per cominciare l’università un anno prima. Università che in tre mesi mi ha dato più soddisfazioni del quinquennio liceale. Università dove il docente è fiero di insegnare quella materia e quel programma, dove il docente inventa metodi alternativi per spiegare chimica, dove il docente porta veramente gli studenti in laboratorio. (Laboratorio che al liceo era o inesistente perchè era stato trasformato in classe o era utilizzato come premio/ripicca).
Forse l’unico dispiacere è quello di aver abbandonato una preparazione universale, che toccava tutte le materie. Ma se il prezzo da pagare per avere un cultura a 360 gradi è quello di essere vessati da punizioni perchè non si riesce ad insegnare una materia, o essere schiacciati da libri e libri di versioni perchè a scuola non si ha tempo di spiegare nulla per fare verifiche e l’imparare avviene da soli a casa, beh allora dico togliamo subito quest’anno al liceo. Lasciamo che arrivi prima il tempo in cui esistono mesi solo di spiegazioni e interesse! La Scuola è proprio da rivedere tutta, magari bastasse agginugere o togliere un anno.
Cara Giulia, concordo in linea di massima con quanto affermi, tieni conto, però, che l’insegnamento universitario è qualcosa di totalmente diverso per il docente in quanto:
1. non si trova limitato da programmi decisi da altri ed è libero di insegnare quello che davvero lo appassiona.
2. gli studenti sono desiderosi di imparare e non c’è il “poutpourrì” che si trova alle medie e nelle scuole successive in cui si trovano studenti che interrompono, fanno “casino” etc…misti a coloro che vogliono davvero imparare qualcosa.
3. Sono persone appagate ( all’università si guadagna bene e si diventa anche un nome all’interno del proprio campo di studio)
4. Molti insegnati non motivati del liceo erano persone desiderose di accedere ad una cattedra universitaria ma si sono visti tagliare i fondi per la ricerca ed i posti per i dottorati ripiegando, così, sul liceo, cosa che vedono come un declassamento e li frustra tantissimo (per non parlare del precariato…non è certo costruttivo fare solo supplenze senza avere una cattedra, non sai dove ti mandano e non puoi prepararti le lezioni…)
Ovvio che queste non sono giustificazioni ad insegnare male, ma volevo solo sottolineare che la condizione di un docente universitario è diversissima rispetto a quella di un insegnante di medie o scuole superiori.
Mamma mia,come sono d’accordo su ciò che hai lucidamente descritto!Ho 53 anni,e sono felice d’aver avuto prof.che mi hanno portato ad amare lo studio,al tempo che fu,ad amare la scuola,allora,perchè mi ponevano domande interessanti,a cui io,attraverso la mia naturale curiosità e fame di conoscenza,cercavo di porre risposte ed altrettante domande,quasi come in gioco, e senza rendermene conto,ho imparato a Vivere!Ancora adesso,di fronte a delle domande che mi pongono in discussione con me stessa e con gli altri,cerco risposte,ed il gioco continua portandomi ad espandere conoscenze e voglia di Vivere e di lottare per un futuro migliore!Nella vita,non si finisce mai d’imparare,e non è una frase tanto per dire,ma è la realtà!Grazie,e ciao!Roxane<3<3<3.
Mi è piaciuto tantissimo l’articolo. Mi spiace per i ragazzi di oggi che devono sorbirsi le lezioni di docenti che non sono in grado di interessarli… forse non sono preparati a sufficienza. Ricordo quando andavo a scuola io, quando i miei professori mi trasmettevano il loro amore per la materia che insegnavano e facevano il loro lavoro con passione (almeno la maggior parte). Certo studiare a memoria non aiuta… molto meglio capire cosa si studia, cercare di “entrare” nella materia che ci viene insegnata, questo sarà utile per il domani… Ciao, prof. so che tu sei capace di interessare i tuoi alunni!
A mio parere sono pienamente d’accordo con la studentessa. Ormai trovare professori veri, che AMANO insegnare e AMANO far amare a noi (sdraiati) la cultura. Altrimenti è solo un mucchio di informazione non interiorizzate e non capite bene. Nella vita ci vuole passione per ogni cosa, altrimenti non sarebbe vita…
Io sto pensando di lasciare gli studi (lo so sono solo in 3° superiore, ma ormai non ho piu’ la voglia, e non c’è nessun professore che me la faccia venire, che mi dia anche una piccola scintilla). Ci sto male, ma ormai a noi ragazzi viene sempre meno voglia di andare a scuola..
Caro Professore,
cinque anni fa ho scelto di iscrivermi al liceo classico non perché sono andata ad esclusione, non perché non ero brava in matematica, ma perché sapevo quello che volevo. Volevo imparare e volevo imparare il più possibile della maggior parte delle cose possibili. Volevo ritrovare l’amore per il mito, l’epica, e per l’arte antica che mio nonno a suo tempo trasmise a mio papà e che mio papà ha trasmesso a me. Volevo frequentare una scuola che mi permettesse di conoscere meglio quelle storie da quando sono piccola conosco, proprio perché l’Iliade e l’Odissea, la Medea e gli Argonauti, la storia di Arianna, Teseo e il Minotauro erano le mie favole della buonanotte. Volevo una scuola in cui mi insegnassero la poesia, e mi facessero conoscere la letteratura. Volevo leggere Dante, perché ancora non avevo capito bene chi fosse: volevo una scuola che mi insegnasse.
Tutto quello che ho imparato, invece, sono state le declinazioni, l’aoristo e gli aggettivi verbali. In cinque anni, quello che mi è rimasto di questa scuola è solo una gran delusione e un gran bisogno di uscirne. Perché dopotutto, quale professore, dopo trent’anni di insegnamento, ha ancora voglia di andare oltre la mera spiegazione? (sempre che di spiegazione si tratti). E noi, alla fine, cosa impariamo leggendo la spiegazione del quinto canto del Paradiso su internet per supplire ad un professore che preferisce raccontarci la sua infanzia? Che cosa impariamo di Medea, così come di Elena, di Agamennone, Ifigenia, di tutti quei personaggi delle tragedie, dei quali sappiamo raccontare a memoria solo la storiella? E cosa sapremo mai, di Leopardi, se in classe in mezz’ora ci vengono “spiegate” 4 poesie?
“Il liceo classico vi aprirà la mente, vi insegnerà a pensare”. Davvero? Non penso, non così. Prendete 30 studenti con la voglia di imparare e metteteli davanti a 50 pagine da imparare in un giorno: l’unico modo, lo sanno benissimo, loro, è la memoria. Memoria che domani sarà svanita, e allora addio ragionamento, addio pensiero, addio spirito critico.
Mi scusi per l’amarezza, Prof, ma la delusione è grande. Purtroppo solo ora mi son resa conto di aver perso cinque anni, e non pensi che sia per ingratitudine, se dico che vorrei solo uscire da qui in fretta. Non mi sento di poter dare niente di più ad una scuola che non mi ha dato niente.
Ho solo voglia di iniziare, finalmente, ad imparare qualcosa.
Come sempre grazie professore! Condivido pienamente questo articolo, anche se nelle scuole d’oggi capita raramente di vedere qualche “esemplare” di professore amante del suo lavoro.
Spesso i professori perdono di vista l’unico obiettivo che dovrebbero prefissare prima di iniziare un qualsiasi anno scolastico: la formazione dell’alunno. Veniamo bombardati di nozioni attraverso lezioni scarne e prive di qualsiasi passione per ciò che si sta facendo,veniamo,ogni ora della nostra giornata scolastica,pressati dall’ansia (che ci trasmettono) dell’esame (parlo per me che sono all’ultimo anno di liceo) e puntualmente veniamo accusati di non dar peso a quello che facciamo,di non avere passione,di assumere tutto come se fosse datoper scontato,ma spesso è l’indecente docente che spinge noi alunni ad appiattirci completamente ed accontentarci solo del numero che ci viene assegnato. Ma la scuola non dovrebbe essere così. Sono uno studente come tanti,ne scarso ne eccellente,vivo passivamente gran parte degli ‘insegnamenti’ dei miei professori e anche gli argomenti che m’interessano perdono significato quando esco dalla bocca del mio docente,come se riusciscerro a spernalizzare qualsiasi cosa tentino di spiegarci. La mia scuola (Liceo classico) ha perso tutto lo splendore che aveva 20anni fa e c’è chi s’interroga per cercare di capire la colpa di chi è: studente vs docente? Sembra una trincea la mia classe,apparentemente unita,ma appena scoppia una bomba al di qua della trincea subito iniziano a nascere fazioni,che se dapprima unite contro un ‘nemico’ comune,si ritrovano a far guerra con lo stesso alleato. Nemmeno l’unità,un misero valore,sono riusciti ad impartirci grazie a favoritismi di ogni genere e distinzioni senza ragione di quei numeri che compongono la classe. Danno voce alle nostre idee solo per sopprimerle,si appropiano della ragione e la usano come coltello,ma non capiscono che il manico,che tanto si vantano di avere dalla loro parte,è dalla parte nostra. NOI manteniamo viva la scuola non LORO,NOI saremo la futura classe dirigente,NOI siamo il cuore dell’italia. Non dovremmo essere contenti quando ci troviamo difronte un in-docente,anzi dovremmo ribellarci il più possibile,perché ci toglono l’unica cosa che è veramente imprescindibile: LA LIBERTÀ DI PENSOERO.
Buongiorno io voglio scegliere allora quegli studenti che gli appunti li prendono e li rielaborano a casa, voglio quegli studenti che non escono a prendersi il caffè o vogliono la pausa se hanno due ore di lezione, studente come lo ero io, la mia schiena stava curva sui libri e non a smanettare su internet le varie schifezze. Voglio degli studenti che vadano oltre la spiegazione e il libro, che studiano a memoria perché non dedicano tempo allo studio. Voglio studenti come le mie piante che come sua nonna cura con attenzione, ma li sente x strada come si esprimono, li sente si che riescono a dire 4 parolacce e un grugnito???? Io mi vergono per loro e sono fiera di fare l’insegnante senza definirmi indecente o quant’altro……braccia rubate alla terra, olio di gomito e dimostrassero intervenendo in classe quanto sono in grado di esprimere un parere personale anche su un semplice articolo di giornale…..ma leggono poi????? E non ho finito ma devo prendere mio figlio a scuola.
Cara Piera, tu eri così perfetta alla loro età?
Buongiorno Piera, il Suo intervento mi ha lasciata sconcertata ed esagerando scioccata: Lei intende dare la colpa ai giovani d’oggi se si esprimono con parolacce, grugniti, o non “stanno curvi sui libri dalla mattina alla sera”??
A chi pensa debba essere imputata la grave colpa o “mancanza” della loro educazione? a loro stessi?
Non credo proprio. Sono figli di una educazione che i genitori demandano alla televisione, ai social net, ad internet in generale e credo proprio che con questi strumenti anch’io a 14 anni sarei cresciuta con la fissa degli abiti firmati, dei soldi facili, del “tutto è lecito” purchè faccia tendenza!
Se non c’è alle spalle una famiglia SOLIDA, che infonda dei sani principi, e che sia di esempio per i figli, avremo tutti ragazzini a cui dello studio non frega niente, dell’onestà men che meno e dalla moralità del tutto assente!
Scusate lo sfogo, ma mi (incacchio) quando sento parlare male dei ragazzi sulla base de “ai miei tempi…”.
La nostra famiglia è solida, di sani principi, diamo l’esempio studiando ancora adesso, e coltivando le nostre passioni. Eppure a mia figlia interessa solo lo sballo. L’equazione “solida”famiglia=ragazzi impegnati, purtroppo, non regge
Mi perdoni, ma, se depreda a tal punto i giovani, per quale ragione continua a essere un’insegnante? Se è solo per paura di rimanere disoccupata, non può poi lamentarsi dell’avversione che gli studenti provano per materie “insegnategli” da chi è mosso da un mero bisogno economico.
Io, da studentessa diciassettenne, trascorro le mie giornate leggendo, m’interesso di arte e scienze, amo la cultura in generale. Tutto questo non è nato da me, ma mi è stato trasmesso da una docente PERFETTA, che corrisponde alla perfezione alla descrizione che qui vien fatta di insegnante ideale. Il che vuol dire che, magari, la “colpa” non è tutta da dare a noi ragazzi.
Chiedo venia: non intendevo “depredare” ma “denigrare”. La fretta gioca brutti scherzi!
Cara collega,
il bello e la fatica dell’insegnare consiste proprio nel fatto di mettersi al “servizio” degli studenti: non si nasce imparati, non è poi così naturale prendere appunti correttamente, svolgere un riassunto in maniera mirabile, leggere e commentare personalmente gli articoli di giornale (e tale difficoltà non è una “specializzazione” solo degli alunni mediocri, ma anche di quelli bravi che, anche se sono capaci di stilare un mirabile riassunto, talvolta non sono capaci di far trasparire le loro emozioni riguardo ad un libro, un articolo di giornale, un argomento di storia o di italiano). Ogni docente con autorevolezza e pazienza deve riuscire a trovare ogni volta un modo diverso e originale per tirare fuori le potenzialità di questa generazione di alunni che … non è superficiale, vuota ed attaccata a wozzup come vuole far credere. Questa generazione di alunni, che è vittima di un crisi sociale ed economica, deve essere incentivata non solo dalla famiglia, ma soprattutto dai docenti (anche tenendo presente il fatto che da settembre a giugno gli alunni trascorrono la maggior parte del tempo a scuola) che hanno il privilegio -se pur faticoso- di lavorare con la PURA ESSENZA della VITA. Se si fa leva sulla innata curiosità degli alunni -forse un pò sopita- ci si renderà conto che sono in grado di SORPRENDERE e lasciare i loro prof. a bocca aperta … ma per tali SORPRESE … l’impegno e il potenziamento della CURIOSITA’ devono essere reciproci!!!! Ora scappo a scuola dove tra autogestione e occupazione non si capisce niente … meglio il ritmo cadenzato della normale routine scolastica, molto più produttiva che, finalmente, riprenderà dopo le feste natalizie … che ora sono sognate da tutti i prof. e da tutti gli alunni… per cui BUONE FESTE NATALIZIE a te e al collega D’Avenia.
Ricambio gli auguri di cuore.
Fossero tutti così gli insegnanti, consapevoli dell’importanza del loro compito, dell’influenza che hanno sulle vite degli adolescenti (ma anche dei bambini, perché personalmente non ho mai sottovalutato il lavoro dei maestri delle elementari), dei capolavori che tramandano, così pieni di passione che davvero non capisco come possano non emozionarsi loro, ogni volta che leggono una pagina di quelle antiche parole! Professore, anche io mi ritrovo nella lettera che ha pubblicato, sono studentessa di un liceo classico in cui spesso vedo gli alunni dimostrare più maturità dei loro stessi docenti. E se tornassi indietro, sceglierei questa scuola mille altre volte, perché anche le delusioni sono state insegnamento, e tra tutte quelle delusioni ho avuto la grande fortuna (ormai rarità) di aver visto sprazzi di quella ideale passione di cui parla.
Sono al quinto anno di liceo scientifico e devo dire che in 5 anni di questa scuola non ho fatto altro che imparare a memoria dei concetti che ora, anche solo a distanza di un anno, non ricordo nemmeno. Avrò avuto, in 5 anni, al massimo 5 professori decenti che non ti regalavano voti, ma ti davano sempre quello che ti meritavi ed erano la stessa persona con chiunque si presentasse alla lavagna. Per studiare una materia decidendo di rimanere al passo devi rinunciare automaticamente a stare al passo con l’altra. “Se aveste studiato tutto dal primo giorno non sareste ridotti così”, io vi giuro che ci ho provato ma dopo nemmeno un mese stavo impazzendo e ci ho rinunciato. Come fai dopo un ora e mezza, due ore di esercizi di matematica, due ore di storia, un’ora di scienze a studiare con la stessa lucidità qualsiasi altra materia? Come si può dimenticarcisi che lo studente è anche una persona, con degli interessi che andrebbero coltivati IN PARALLELO alla scuola e non soppressi a favore di cose che non si riescono mai ad apprezzare? Non vedo l’ora di andarmene perché, io cerco di riderci su, ma ogni giorno è un incubo peggiore del precedente.
Alessandro sono nella tua stessa situazione e la penso allo stesso modo! Tra le altre cose, poi, è ridicolo e frustrante sentirsi dire dai professori che vorrebbero studenti curiosi, attenti e interessati. Mi chiedo, si sono visti loro? Su una decina di prof che mi ritrovo davanti ogni settimana ce ne saranno sì e no 2 che sono lì perchè gli piace veramente quello che fanno e non per rubare uno stipendio! Che esempio ci danno loro? Ho professori che si aggrappano ad ogni sciopero/protesta/ponte per non venire a scuola e andarsene in vacanza e che quando sono in classe non si spingono certo a dire di più di ciò che è scritto nel libro. Che adulto potrò diventare io con questi esempi? Come farò ad essere curiosa e interessata? Me lo chiedo ogni giorno. Un abbraccio di solidarietà a te e un grandissimo grazie a questo scrittore fantastico che esprime delle enormi verità con uno stile sublime!
Eccomi! Un’insegnante di musica felice e soddisfatta del suo lavoro!Ho 49 anni, ho studiato in Conservatorio quell’Arte sublime che (a mio avviso) dà una marcia in più agli esseri umani e pensanti…. Ma ho studiato anche l’aoristo, le perifrastiche, D’Annunzio e Dante. Sono laureata in Lettere ma ho scelto di continuare a insegnare Musica perché sento che è in quello che AMO di più, che posso veramente dare. Ed è quello che faccio tutti i giorni con i miei ragazzi della scuola Media, suonando, cantando, ballando, a volte emozionandoci fino alle lacrime…Perché ciò che va indicato ai ragazzi non sono solo le note, ma tutto quello che vi è dietro. Angela
Sono pienamente d’accordo con le parole della studentessa. Nella mia carriera scolastica sono sempre stato molto diligente, ma questo non mi ha impedito di notare quanto numerosi e quanto grandi fossero i difetti della scuola: pochissimi i professori veramente validi, che non si distinguono solo per la preparazione, ma anche per la serietà professionale e soprattutto per il rapporto che riescono a stabilire con gli studenti, che non è un rapporto di amicizia, ma quello di una stima reciproca, di disponibilità ed apertura. Mi è sembrato, tra l’altro, che nella scuola si prolungasse quell’assenza di “no” che viene giustamente additata come una delle cause dello “sdraiarsi” della mia generazione: ragazzi più impegnati a trovare modi per barare durante i compiti in classe che a studiare venivano comunque promossi, a giugno o a settembre, per una sorta di “bontà d’animo” che mi fa rabbrividire; la bocciatura è ormai vista come una punizione in una società dove non si usa più punire in quasi nessun caso, invece che come una semplice constatazione di mancato raggiungimento di un livello minimo. In questi primi tre mesi di università ho avuto modo di toccare una realtà diversa, in cui i professori sono veramente appassionati, il numero elevato di studenti impedisce il formarsi di rapporti sbagliati tra essi ed i docenti e in cui tra i ragazzi è presente ancora l’interesse di conoscere, oltre a quello di raggiungere delle alte votazioni. Grazie per questo articolo e per avermi dato la possibilità di esprimere la mia idea.
Caro professore, ho letto con grandissimo interesse questa sua riflessione sulla scuola, che condivido in pieno, pur avendo ormai solo gli occhi di un “vecchio” studente, essendo lontano anni luce, quantomeno da un punto di vista temporale, da un’aula scolastica. Penso che il tema dei “modelli” educativi sia centrale per un paese. E non penso solo alla scuola, ma anche e soprattutto alla famiglia e ai luoghi di lavoro. Essere capaci di trasmettere passione, interesse, curiosità, è una funzione fondamentale qualunque ruolo ci si trovi a rivestire nella società: lei come professore, io come dirigente di un’azienda che ha la responsabilità di un gruppo di lavoratori. Chi ci ha “scelto” per ricoprire i nostri rispettivi ruoli deve aver valutato e riconosciuto a monte le nostre competenze e soprattutto le nostre rispettive capacità di insegnare (lei) e di dirigere (io). Troppo spesso, invece, in questo paese, questo passaggio di “selezione” è mancato, e a dirlo non siamo nè io nè lei, ma gli “utenti” della scuola o delle aziende che alla fine devono scegliere (nel suo caso, se inscrivere il proprio figlio nella sua scuola e alla sua sezione; nel mio caso, se acquistare il mio prodotto perchè giudicato migliore rispetto a quello di un’azienda concorrente). Ecco, mi permetto di integrare al coraggio delle sue parole, il coraggio di un’ulteriore argomentazione: questo paese è disponibile a selezionare la sua classe dirigente, e a premiarla, se vale, e a cacciarla, se non va? Si sfiora da anni questo tema, ma nessuno ha mai avuto la forza e gli strumenti per affrontarlo, nella scuola pubblica come nelle aziende private. E molta della crisi che stiamo vivendo ormai da anni, a mio parere, discende anche da questa voluta assenza di valutazione. Prima di pretendere il merito dai nostri studenti e dai nostri dipendenti, non dovremo forse averlo noi, insegnanti e dirigenti, nei loro confronti? E qualcuno sopra di noi, forse, non dovrebbe valutarci di anno in anno? Però non all’americana, con i questionari di valutazione, ma venendo a vederci sul campo come lavoriamo. Secondo me facendo così, qualche “in-decente” e qualche “in-capace” ce lo leveremo dalle scatole, e faremo solo del bene alla società: perchè se è facile bocciare a fine anno gli alunni più “difficoltosi”, non capisco perchè non dovrebbe essere altrettanto facile mandare a casa anche gli insegnanti difficoltosi, se non vanno e se così vengono valutati dalla scuola o, nel caso dei dirigenti, dalla stessa azienda. Che ne pensa? Io sono convinto che i giovani devono guardare al futuro con speranza, sapendo con certezza che i loro insegnanti devono essere dei modelli, capaci di instillare in loro la curiosità per il mondo e di fornire loro gli strumenti per poter interpretare quello che li circonda. Distoglierli dalla “realtà 2.0”, cioè dalla convinzione secondo la quale tutto è facilmente rintracciabile nei motori di ricerca e nei social network, è il compito dell’insegnante del terzo millennio, ma anche dell’imprenditore del terzo millennio. Io sono convinto che se avremo tutti questo obiettivo, e lo condivideremo anche e soprattutto con i genitori dei ragazzi, usciremo da questa crisi in maniera molto più rapida e con più forza. Un caro saluto
Caro Roberto, quello che mi scoraggia è il senso di impotenza. Ho scritto l’ennesima analisi e non ne posso più manco io. Che fare?
Sono una docente di Lettere, amo il mio lavoro e mi impegno a svolgerlo nella maniera migliore possibile. Ritengo che dovrebbe essere la normalità il mio modo di pensare e non mi ritengo una wonderprof. Poi, qualche giorno fa, entro in negozio e, per caso, incontro una mia ex alunna di una ex terza Lic. Scient..Ricordiamo con gioia le passate lezioni di Latino ed Italiano e qualche momento di vitalità della classe. Poi lei mi dice che, quando sono andata via (sono precaria per cui a giugno il mio contratto scadeva), la classe ha sentito la mia mancanza soprattutto perché io nell’insegnare ci mettevo qualcosa in più. Ci mettevo il cuore. Io mi sono emozionata per questa osservazione della mia ex alunna. Lei, che ora frequenta l’università, mi ha detto che questi complimenti li devo prendere con gioia e senza imbarazzo perché non tutti i prof. ci mettono il cuore nell’insegnare e non tutti vengono fermati dagli alunni per strada in un buio pm invernale o tra i banchi del supermercato o in un negozio per un saluto e un aggiornamento sulla vita che corre con i suoi alti e bassi. Le sue parole mi hanno fatto pensare alla lettera che mi ha scritto una mia ex alunna di prima Lic. Art. alla fine dello scorso a.s.: per la sua classe sono stata “come un contadino che coltiva un piccolo seme indifeso indirizzandolo verso una crescita ricca e rigogliosa”. Inutile dire che mi sono emozionata. Come mi sono emozionata qualche giorno fa quando gli alunni della mia quinta tec.ind. mi hanno detto che sono un esempio da seguire perché sono laureata, pluirimasterizzata-specializzata, e svolgo il mio lavoro sempre con determinazione e passione nonostante (a detta loro) tutto questo mio impegno non sia ricompensato da un adatto e corrispettivo stipendio. Certo la questione stipendio ha un suo peso, ma quello che mi importa di più è che la mia classe sostenga un dignitoso esame di stato e che sappia già quale strada lavorativa o di studio intraprendere una volta uscita dal mondo della scuola.
Eccomi! studentessa di quarta classico oberata di studio!
I miei professori? Fortunatamente ne ho di bravi, di quelli con gli occhi che luccicano e le parole che incantano.
Nel caso di altri, lo studio a memoria resta un’ amara pillola che a volte sono costretta a ingoiare. Volevo fare una aggiunta, però, perchè ora come ora mi ritrovo costretta a passare almeno quattro ore al giorno sui libri, e questo, per quanto anche possa essere interessante, è stancante a prescindere, soprattutto se a quelle quattro ore vi si aggiungono le sei di scuola… Mi piace studiare, e non mi vergogno a dirlo, ma i ritmi asfissianti e le nozioni con le quali veniamo ingozzati, non danno neanche un attimo di respiro. Preferirei fare meno ma meglio.
Assolutamente d’accordo.
Caro Alessandro,
anch’io mi sento impotente a volte (mi riferisco alla tua replica a Roberto). Non è facile oggi insegnare, farlo bene, trasmettendo la propria passione. Non è facile soprattutto quando vedi svanire la curiosità e l’ansia di scoprire cose nuove dagli sguardi dei ragazzi non appena dici (e lo devi fare, purtroppo): “Bene, ora fissiamo le verifiche”. Ecco quello che non va nella scuola: dover per forza ottenere un “congruo” numero di voti per poter valutare un allievo. E tutte le volte in cui la lezione si fa dialogata e ti rendi conto, tu insegnante, di chi è attento e partecipe e chi non lo è? Cosa fai, metti dei voti solo per compilare a dovere il registro? E lo puoi fare sulla base di un intervento appropriato, di cinque minuti, oppure di un palese disinteresse dello studente che ti guarda con aria stralunata, riemergendo dal mondo dei suoi sogni (certamente più edificanti di una lezione di letteratura … per lui, ovviamente) e ti chiede se puoi ripetere la domanda? Che fai quando uno, alla richiesta di spiegare il legame fra Foscolo e Zacinto, ti risponde che si amavano, credendo che Zacinto fosse la sua morosa? Gli metti un due più che meritato e, a suon di interventi di questo tipo, hai voglia di collezionare un “congruo” numero di voti! Io non sono capace di farlo. Non lamentiamoci se i nostri studenti non sono capaci di amare lo studio, costretti a ripetere a memoria (cosa di per sé sbagliata) argomenti che, fatta la verifica, vengono archiviati nell’arco di cinque minuti. Sono i voti che uccidono la passione per lo studio e, a dirla tutta, anche quella per l’insegnamento. Perché io davvero non ne posso più di questo sistema. Fosse per me, farei una prova a quadrimestre per materia su tutto il programma.
Anch’io come faffa ogni tanto incontro degli ex studenti che mi esprimono tutta la loro gratitudine. Sono felice di vedere quelli che tornano nel loro vecchio liceo a trovare gli ex insegnanti. Un giorno ne ho incontrato uno che mi ha detto: “si ricorda, ero discolo, non avevo voglia di fare niente. Grazie a lei sono cambiato, mi sono iscritto all’università, vado piano ma alla laurea ci arrivo, vedrà.”. E quando ci siamo congedati, abbracciandomi ha aggiunto: “prof io sono la testimonianza vivente del buon lavoro che ha fatto. Grazie.” Dopo questi incontri pensi che non sia poi così inutile il tuo lavoro. Ma sono gioie passeggere e in breve si ritorna a sentire quel senso di impotenza che opprime sempre più.
Amore per il proprio lavoro. Amore per gli altri. Amore per se stessi.
Tutto passa inevitabilmente dall’amore.
Vale ancora la pena di mettersi in gioco per amore di qualcosa o di qualcuno?
Quando intorno tutto si sgretola, tutto cade, quando cinismo e disillusione sembrano gli unici rifugi,
cosa ancora ci può spingere a tendere verso e indicare ad altri la luce?
Rispondere e rispondersi forse vuol dire provare a cambiare il proprio cuore.
Se nulla ormai mi cambia dentro, io non potrò poi cambiare niente di ciò che è fuori.
Carissimo prof,
oramai La seguo da moltissimo tempo, leggo quotidianamente i suoi post, ho letto i suoi due romanzi e ovviamente attendo con ansia l’uscita del terzo. Ho sedici anni e frequento il terzo superiore al liceo classico ( primo liceo) e devo dire che concordo pienamente con quanto detto in questo articolo. Oramai ai professori non interessa più trasmettere i valori, i sentimenti e la voglia di apprendere nuove cose.. no.. a loro interessa solo
Carissimo prof,
è da moltissimo tempo che La seguo, leggo quotidianamente i suoi post, ho letto i suoi primi due romanzi e ovviamente attendo con ansia l’uscita del terzo! Le parlo da ragazza sedicenne che frequenta il terzo anno di Liceo Classico e posso dire che sono pienamente d’accordo con quanto scritto nell’articolo. Lei ha capito di come vanno realmente le cose, forse è l’unico che riesce a comprendere i suoi alunni e a immedesimarsi nelle varie complicanze che ogni giorno sono costretti ad affrontare, gli altri docenti pensano di sapere sempre tutto su noi ragazzi ma la verità è che non sanno proprio nulla! Sarà che Lei è molto giovane e quindi riesce a comprenderci però tutto ciò che scrive si rispecchia moltissimo con le mie esperienze.. ecco perché passo molto tempo sul Suo blog, perché grazie a Lei riesco in un certo senso a “evadere” da ciò che mi circonda e da un lato leggere i suoi post mi consola perché almeno so che c’è qualcuno che tiene davvero ai suoi ragazzi! Oramai i professori di oggi danno tutto per scontato, a loro non importa se un ragazzo ha un problema, sta male o semplicemente quel giorno non ha voglia di studiare.. no.. loro nel momento in cui entrano in classe si siedono, spiegano le pagine che avevano in programma di spiegare, interrogano, mettono il voto, si alzano e se ne vanno.. Non so Lei, ma a me sembra molto un’officina meccanica o una di quelle grandi fabbriche.. tutto così freddo e distaccato.. e allora come si meravigliano se i ragazzi non provano più amore per il sapere? La ammiro moltissimo prof, lei è un grande.. potrei definirLa come l’eroe della nostra generazione.. un uomo capace di motivarci e spronarci ad andare avanti.. Un saluto
sono rimasta stupita nel vedere tra le tue righe parole come “stufo”, “senso d’impotenza” e verbi come “scoraggia”, non me le aspettavo da te.
Sono in un periodo difficilissimo della mia vita ( se ti ricordi della mia domanda che ti ho lascato l’11 ottobre dopo la proiezione di Bianca come il latte rossa come il sangue sai a cosa mi riferisco)e ieri ero particolarmente giù quando mi è capitata tra le mani una frase di W.Shakespeare “Come arrivano lontano i raggi di una piccola candela, così splende una buona azione in un mondo malvagio” .Mi sono sentita meglio dopo averla letta ed è per questo che voglio lasciarla a te e a tutti i lettori del tuo blog.Coraggio coraggio coraggio perché possiamo essere come i raggi delle piccole candele che rischiarano il mondo.
Sono una studentessa al 4 anno di liceo scientifico e concordo pienamente con l’autrice della lettera. Nella nostra scuola quei pochi professori che amano fare il loro lavoro sono considerati dei “pappamolli” troppo buoni e che si fanno mettere i piedi in testa. Vorrei anche io una scuola dove i professori entrano in classe sorridendo, dei professori che quando iniziano a parlare di un autore si perdono nei meravigliosi loro versi, un professore che ti rispiega un’espressione fino a farti amare ogni singolo procedimento e che riesce a farti sentire realizzato quando hai superato i tuoi limiti. Nella mia scuola questi professori non esistono. Esistono però professori che ,quando ti chiedono “che università vorresti fare dopo?” e tu rispondi parlando dei tuoi sogni, ti rispondono che non riuscirai a superare i test e che al massimo potresti rimanere disoccupato. Gli insegnanti che dovrebbero aprirci la strada ai sogni, ci tagliano le gambe.
Concordo, parola per parola. L’in-decenza e l’in-docenza sono gramigna da estirpare nella scuola italiana. Difficile, difficilissimo. Se il nostro Paese è alla deriva è proprio colpa della “scuola” che rappresenta il nervo scoperto della cultura italiana: il livello empatico degli insegnanti è ai minimi storici! La seguo e la ringrazio per ciò che scrive e per come lo scrive.
Un insegnante
Perché prof. D’Avenia non facciamo prima e non ci dice che cosa vuole?
Nuove forme di reclutamento per gli insegnanti (perché no?) o, meglio, la possibilità di scegliersi gli insegnanti per i genitori? La fine della scuola pubblica dove gli insegnanti sono quelli che sono e non te li puoi neanche scegliere in base ai tuoi gusti e alla tua fede religiosa.
Di difendere la categoria degli inseganti non me ne frega niente. Di difendere me stessa come insegnante, ancora meno. Ma utilizzare la lettera di una studentessa, (della cui autenticità non ho motivo di dubitare, pur facendolo lo stesso) che scrive a Lei per lamentarsi della pochezza dei suoi veri insegnanti, mi sembra per così dire un espediente poco deontologico.
Da che mondo è mondo la scuola è fatta anche di insegnanti miseri come quelli descritti. Li avevo io alle scuole magistrali 30 anni fa, e ancora sicuramente esistono, ma in tutti questi anni di scuola ho imparato una cosa: i bambini crescono, i giovani maturano e diventano uomini e donne e qualcuno di loro anche niente male, e tutto questo nonostante noi insegnanti. Si rassegni anche lei. Non si senta così indispensabile. Siamo tutti autodidatti.
Voglio che la gente rifletta e non si accontenti. Di lettere come quella della ragazza ne ricevo centinaia e credo sia deontologicamente non solo corretto, ma dovuto, dare voce a chi non ce l’ha, una generazione di inascoltati e che ha molto da dire. Legga i commenti a questo post. Continuiamo a farci la guerra tra noi e a non ascoltare. Da che mondo è mondo la scuola deve preparare al mondo contemporaneo, noi continuiamo con formule che andavano bene negli trenta. Ma le pare sensato che l’unico criterio di merito sia l’anzianità? Suvvia, metta da parte il livore e provi a riflettere e ascoltare l’opinione di chi la pensa diversamente. Se mi ritenessi indispensabile mi farei due risate ogni mattina davanti allo specchio. Per fortuna, questo sì, tutto passa, ma di vita ne ho una sola e me la gioco come mi pare. A scuola ho imparato anche questo.
Innanzitutto la ringrazio per la risposta. Immagino che Lei sia molto impegnato e che le costi trovarsi il tempo per rispondere. Tuttavia la risposta è insoddisfacente e in alcuni punti persino non corretta.
Non è corretto che l’unico criterio per insegnare sia l’anzianità, magari lo fosse come direbbe il mio collega di musica entrato di ruolo a 56 anni dopo 33 anni di precariato.
E’ insoddisfacente invece che mi liquidi con un banale “livorosa” che comunque accetto perché mi hanno bocciato al corso di bontà (però ho preso 30 nell’esame di pensiero divergente rompicoglioni). Ma soprattutto è paradossale che, dopo essersi goduto il deliquio dei suoi fan (non c’è un solo parere divergente in questo blog), lei chieda a me di accettare chi la pensa diversamente.
Abbastanza curioso anche il fatto che, dopo avere scritto un articolo dal titolo “insegnanti indecenti” o giù di lì, mi inviti alla solidarietà con la categoria ricordandomi che non ha senso farsi la guerra tra noi.
Infine, in merito al suo articolo, mi sembra che il paternalismo da Lei tanto (e giustamente) vituperato, raggiunga l’apoteosi qui, come nel suo fortunato libro.
Il suo approccio a spiegare i mali della scuola è tutto ciò che lei non vorrebbe che fosse e manca totalmente, nella mia modesta e livorosa opinione, di capacità di analisi e soprattutto di proposte di soluzioni concrete. Mi sarebbe piaciuto ad esempio che lei affrontasse le cause reali dei scarsa qualità della classe docente dovute soprattutto alla mancanza di una formazione universitaria seria e in linea con il resto d’Europa. Ma la nostra classe dirigente non ci crede nella SCUOLA PUBBLICA e non è disposta a investire per migliorane la qualità. Lei invece ci crede?
Ci mancava anche l’insegnante in-decente che se la prende con parole cosi vere di una studentessa, evidentemente sentendosi presa in causa e confermando in pieno la tesi del prof. Sono una insegnante anche io, e gente come questa finta divergente solo rompi scatole ne conosco tante. Che preferiscono dare la colpa al sistema che cominciare a cambiare se stesse.
Forse non ha letto l’articolo o lo ha letto di fretta. Una docente che dice che siamo tutti autodidatti non so cosa ci stia a fare in una cosa chiamata scuola. Vedo che non interessa costruire ma attaccare, quando nel mio articolo attacco gli indecenti e cerco di far reagire gli in-docenti. Poi chiaramente se lei vuole un trattato sulle cause dei mali della scuola in un articolo volutamente provocatorio da 6000 battute sa bene che questo è impossibile. Ma ripeto il problema sono io per lei, non le idee, come si evince da parole come fan in deliquio (evidentemente non ha letto tutti i commenti ed evidentemente le do fastidio, ma se è qui a scrivere è perché ha trovato un pensiero, diverso dal suo forse, ma lo ha trovato, altrimenti non sarebbe qui). E se il problema fosse veramente solo la formazione universitaria e non la pletora di gente entrata nella scuola per decenni senza nessun filtro o solo quello delle conoscenze le darei ragione. Se dopo una laurea, un dottorato, la SISS vengo ritenuto meno valido perché insegno da soli 13 anni e devo aspettarne altri 15-20 mi faccio una risata di questo sistema kafkiano, che non sa cosa sia valutare la qualità e infatti non ha trovato altro sistema che bloccare le graduatorie (ad esaurimento o sbaglio? chissà come mai?) e istituire (un delirio) i TFA formativi (che da quel che vedo sono condotti seriamente). L’età media dell’insegnante nella scuola statale è 54 anni e quindi persone che hanno frequentato l’università in anni non sospetti di mancanza di qualità… Se non credessi nella scuola non starei qui a scrivere. Statale, non statale, purché sia di qualità. Contraddittorio che chi sostiene che siamo autodidatti poi si lamenti della qualità dell’insegnamento universitario. In tutto questo la cosa meravigliosa è che le parole della lettera è come se non esistessero, il vero punto dell’articolo. Ma si sa a scuola i ragazzi sono un accessorio. Stia bene.
Grazie dell’ulteriore risposta. Mi rendo conto che Lei ha parecchi meritati fan e quindi non voglio affatto rubarle tempo prezioso.
Il commento della signora Roberta, immediatamente dopo la sua risposta, che utilizza la sua definizione per darmi dell’insegnante indecente, pur non avendomi mai visto dentro una classe, le dovrebbe far capire molte cose su come sul suo articolo. Questa pagellina che lei dà ai suoi colleghi mi è sembrata veramente una cosa piccola e anche inutile per affrontare e caire quali sono i veri problemi della scuola.
Sono cattiva è vero. Ma lei è bravo (le giuro senza nessuna ironia) e ha molto successo, quindi può anche sopportare senza avere crisi d’indentità le critiche di una rompicoglioni.
Alessandra, non la ritengo una rompicoglioni, ma mi stupisce che lei si senta giudicata dal mio articolo. COme mai? La mia analisi si basa su cose che vedo e che famiglie e ragazzi raccontano. Credo che per cambiare la realtà bisogna partire dalla realtà. Se la reazione delle persone a questo articolo è così viva sarà perché tocca qualche punto sensibile. Poi si può non essere d’accordo. Non do nessuna pagellina. Sarebbe però ora che cominciassimo a valutare il nostro lavoro, soprattutto quando non funziona. Non mi ruba tempo, io sono qui per questo. Non mi interessa avere ragione, quella è roba che lascio alle ideologie, a me interessa migliorare la scuola. Se poi il modo in cui lo faccio le sembra sbagliato pazienza, per quello che ritengo giusto nelle critiche cercherò di migliorare, per il resto continuerò a fare le mie battaglie. Passi una buona domenica.
ottimo commento, non avrei potuto rispondere meglio
E’ verissimo! Io studio in un liceo classico Europeo, un liceo che utopisticamente si pone l’obiettivo di sperimentare una didattica innovativa e aperta all’Europa che formi un cittadino europeo consapevole. Tralasciando l’ipocrisia dei tanti bei discorsi del Preside e delle tante belle parole del POF, la scuola effettivamente è messa MOLTO meglio delle altre che la circondano qui in Italia. Come mai i problemi sono gli stessi delle altre? Forse oltre che economico il problema è sociale… è il modello di educazione su cui è fondata questa società che è sbagliato: studiare, fare per dovere. L’insegnante insegna perchè deve guadagnare lo stipendio, lo studente studia perchè deve prendere un bel voto nella verifica/interrogazione. Proprio oggi “l’educatore” (figura prevista da questo liceo) notando il mio calo di rendimento scolastico rispetto alll’anno scorso che ha suscitato stupore negli insegnanti mi chiede preoccupato il motivo. Potrebbe essere che il clima in classe con i compagni non è mi mette a mio agio nell’attenzione e nello studio… oppure un periodo mio di confusione mentale… tante cose… ma poi lui mi chiede: “parlando con tua mamma, mi ha detto anche che vorresti cambiare scuola?” io: ” beh si ho pensato anche questo” “ma quale sarebbe la tua scuola ideale?” “beh… poter studiare con voglia! vorrei per esempio che la mia prof.ssa di lingue classiche mi insegnasse la bellezza e l’utilità di quelle lingue invece di dire: imparate a memoria la declinazione x!” Un mio compagno odia la scuola e difatti ha moltissime materie sotto e paradossalmene sarebbe il ragazzo-modello. Durante la lezione si mette a leggere altri argomenti nel libro, allora non gli manca interesse… E’ solo che la sua famiglia lo ha obbligato ad andare in quella scuola prestigiosa sempre perchè “BISOGNA studiare!” “BISOGNA imparare!” Insomma questi annedoti per sottolineare tutto ciò detto fin’ora! Solo se si cambiano radicalmente i valori educativi di questa società si può pensare ad una “Scuola” per il vero significato che ha quella parola -dal greco “tempo libero”. Un’educazione meno opprimente, che dia più libertà. E’ utopistico purtroppo per questa società moderna sempre più meccanicizzata e consumistica… la coscienza umana sta perdendo la passione e si sta adattando a meccanismi meccanici (fare perchè devo), noi giovani però possiamo cambiare questa società, noi siamo il futuro! E’ per questo che è un segno positivo questa poca voglia di fare da parte di noi studenti, vuol dire che non siamo vittime di questa meccanicità, ma che possiamo ribellarci e trovare la voglia, la passione,l’umanità!
Chissa perchè i tempi andati sono sempre meglio del tempo presente?!?! sarà proprio vero oppure la nebbia che offusca e caratterizza i ricordi è un ottima alleata a sostegno di questa affermazione?! eppure si dice anche che il presente sia la conseguenza del passato..e per come ci ritroviamo..questo “passato” tanto perfetto non deve essere stato! E ora da che parte stare?! Io direi che è ora di chiudere con i luoghi comuni sui giovani, sulla nostra incapacità e sul nostro disinteresse nei confronti del mondo. E’ vero il mondo è cambiato, è cambiato molto velocemente, troppo forse, e la verità è che i più deboli ne hanno subìto i danni, e i più deboli sono i più piccoli, quelli che vogliono risposte che nessuno sa dar loro,quelli che vorrebbero solo che qualcuno li consideri,che vorrebbero solo essere importanti per qualcuno, e non perchè se lo meritano, ma per il solo fatto di esserci. Ho sempre pensato che la scuola, così come è, non serva a niente nella vita, e lo penso ancora, perchè è carente di relazioni, e quindi di vita. Nella scuola mancano le relazioni. Relazioni di crescita tra professori ed alunni, relazioni costruttive tra professori,e relazioni educative tra professori e genitori e ovviamente ci sono poche relazioni anche tra alunni. I professori sono diventati dei “professionisti”, quando invece ci si dovrebbe render conto che hanno tra le mani delle vite. E io penso che questa sia la responsabilità più grande che si possa avere. Vorrei fare una domanda a tutti i prof: ma voi avete mai guardato i vostri alunni negli occhi? avete mai pensato che cosa ci sia dietro quello sguardo a volte un po assente? Magari avete mai chiesto ad un vostro alunno “COME STAI,TI VEDO UN PO STRANO OGGI?”.. un consiglio che vorrei dare è di mettere da parte ogni tanto quelle nozionistiche lezioni, per osservare i vostri alunni e provare ad immaginare cosa vivono nelle loro vite, perchè c’è un mondo dietro quello sguardo. Magari si potrebbe partire da qui. Perchè non se ne può davvero più di sentire commenti sfiduciati e senza speranza verso di noi (I GIOVANI). Io la speranza me la voglio tenere stretta ed è importante che voi(I GRANDI) ci guardiate avendo fiducia in noi, nonostante i nostri “difetti”!
Sfortunatamente esiste questo genere di insegnanti. Fortunatamente, nel mio percorso scolastico, ho avuto la fortuna di incontrare docenti che mi hanno fatto amare le materie da loro insegnate, tanto da scegliere di proseguire gli studi classici (lettere classiche), ormai sconsigliati da tutti!
Non dormo stanotte. Non dormo perchè vedo mia figlia scivolare via. E non si sono NO, non ci sono esempi, non c’è vita insieme che la possa fermare. Persa dietro allo sballo facile, incapace di alcun minimo impegno, senza alcuna curiosità sul mondo. Lascerà il liceo per una scuola professionale dove continuerà a non aprire libri, dove starà, staremo, in attesa che il tempo passi, che diventi maggiorenne, e poi chi sa che potrà succedere. Non so se questa incapacità di affrontare la vita si eredita o sia determinata dal tempo che viviamo. So che è un enorme dolore dover vivere nell’impotenza di vedere scorrere giorni tutti uguali, dove l’unico interesse è digitare qualcosa sul cellulare e organizzare lo sballo del weekend. Ho ucciso io la vita? Di certo non sono stata un “buon bastone” a cui legare la pianta per farla crescere forte e diritta.
Cara Donatella, non ti scoraggiare. L’esempio dato darà i suoi frutti presto o tardi. Ma il punto è proprio questo: non basta la famiglia! Bisogna potersi appoggiare a interlocutori esterni che ne proseguano lavoro e principi. La scuola potrebbe fare questo ma non lo fa: molti docenti non sanno riconoscere un alunno ad un colloquio con i genitori. Da sola la famiglia non basta.
La penso anch’io così, ed è per questo che mi sento molto sola.
Caro prof come sempre hai colto nel segno! Ieri ho fatto leggere il tuo articolo a mia figlia( 18 anni, ultimo anno di liceo) e sai qual è stato il suo commento? “Questa lettera potrei averla scritta io!” Ha urlato che vorrebbe tappezzare la sua scuola con questa lettera, che vorrebbe sbatterla in faccia ai suoi prof e si chiede quanti ragazzi e ragazze dovranno passare ancora dalle loro forche caudine! Ecco, questi sono gli “sdraiati”: ragazzi che urlano al mondo intero la loro fame di vera cultura, di sguardi apprezzanti che fanno crescere, di veri testimoni e non solo di voci tonanti. Ma una scuola così è davvero impossibile? Finirà mai questa generazione di in-decenti e in-docenti? Quando capiranno che i nostri ragazzi e ragazze aspettano dei veri MAESTRI? Io non ho saputo cosa rispondere a mia figlia!
Caro Alessandro, le tue parole sono vere e meravigliose, tutti i professori dovrebbero essere come te…..
mio figlio minore 15 anni fra un mese frequenta il primo anno del liceo scientifico, ragazzo intelligente, vivace, ben educato non lo direi altrimenti, sono una mamma pronta a seguirli e ad imporgli limiti e responsabilita’.
Primo colloquio con i professori: quasi tutti lo hanno definito vivace e chiacchierone , e chi non lo era alla sua eta’, mi domando io, comunque il commento peggiore e’ stato della professoressa di fisica e te lo dico cosi’ come lei lo ha detto a mio marito poi sarei te a commentarmelo se vuoi o qualcuno che ci legge nel tuo meraviglioso blog: ” Suo figlio non mi piace,sta con la schiena appoggiata alla sedia e sembra sdraiato, secondo me i ragazzi apoggiati alla sedia sembrano sdraiati e per me chi ha questo atteggiamento ha sdraiato anche il cervello !!!”
Non ci sono davvero parole e dirti che sono avvilita e’ dire poco, chi costruira’ i nostri ragazzi per il loro futuro…noi genitori se non siamo aiutati dai professori che comunque hanno anche loro una parte importante della loro vita non ce la faremo….
Laura
Io sono un’insegnante precaria di trent’anni e lavoro nella scuola dal 2008, mi sono diplomata nel 2001 quindi la mia diretta esperienza scolastica è ancora abbastanza recente.
Devo dire che quello che leggo in questo articolo, non solo il contenuto ma anche il tono con cui è scritto, mi preoccupa molto. Ne parlavo proprio qualche giorno fa con un mio alunno di quarto liceo scientifico, uno di quei ragazzi che non sono per niente stupidi ma che fanno di tutto per sembrarlo.
Quello che io percepisco, da questo articolo ma anche dalle parole dei miei studenti ogni giorno, è che i ragazzi di questa generazione (che è quasi anche la mia) pensano – perché evidentemente crescono con questa idea, se la sentono ripetere, la vedono continuamente applicata negli ambiti più disparati – che sia loro DIRITTO studiare, imparare e impegnarsi solo nelle cose che “li appassionano” e che sia preciso DOVERE di qualcun altro appassionarli a queste cose. Innanzitutto non tutto ciò che serve nella vita ci appassiona. Potrà anche essere che “non basterà” questa risposta, potrà anche non piacervi sentirvelo dire, però questa è la realtà. Io ho studiato un sacco di cose che non mi piacevano o che mi piacevano meno di altre, tutti lo abbiamo fatto, è il mestiere dello studente. Di più: è il DOVERE dello studente. E studiando, anche indipendentemente dal professore, mi sono appassionata a cose che non credevo potessero mai interessarmi. Non è il docente che mi appassiona, è la materia che mi appassiona. Il docente deve insegnarmi, spiegarmi, guidarmi nell’apprendimento, darmi un filo conduttore da seguire, offrirmi degli esempi, chiarirmi delle perplessità, farmi capire il valore e l’importanza di quello che sto studiando. Io posso essere appassionato di filosofia ma rompermi le scatole a studiare Aristotele perché Aristotele non mi piace. Ma ha senso non sapere niente di Aristotele e dire di amare la storia della filosofia? No: io Aristotele lo devo studiare lo stesso, anche se non mi piace e anche se non piace a chi me lo spiega. La mia professoressa di greco del liceo era tutto tranne che ispirante, ma io mi sono lo stesso laureata in letteratura greca.
Ora non sto dicendo che non esistano cattivi insegnanti. L’insegnamento è un mestiere e come esistono cattivi architetti o cattivi ingegneri esistono anche cattivi insegnanti. Io avevo una pessima insegnante di matematica e fisica, ma la matematica e la fisica mi piacevano lo stesso.
Io credo che atteggiamenti buonisti come questo, che difende una ragazza che afferma di non capire quale sia il senso della domanda “la misoginia nella Medea di Euripide” – e non capisce nemmeno che una domanda non deve avere per forza il punto interrogativo, che non esistono solo domande ma anche questioni, aperte o chiuse che siano – credo che atteggiamenti come questo peggiorino una situazione che è già abbastanza drammatica.
Questo tipo di interventi, che rispetto ma non condivido, mi conferma che la nostra capacità di ascoltare è ai minimi termini. Nel migliore dei mondi possibili, con una morale kantiana, certo quello che proponi, Giorgia, sarà possibile. Il punto è proprio questo: non si può più partire dal dovere, siamo fuori tempo. Bisogna arrivare al dovere dopo averlo motivato di senso. E la passione è quella molla che fa scattare un senso del dovere autoimposto. A qualsiasi latitudine e longitudine ciò che consente a ragazzi con talenti molto diversi di darsi da fare è la motivazione e in questa congiuntura storica non è il senso del dovere a far scattare questa molla. Insegno da 14 anni, ricevo migliaia di lettere, forse conviene ascoltare anche queste istanze e non limitarsi a tacciare di buonismo e addirittura di peggioramento della situazione. Aspettiamo le tue proposte, Giorgia, che saranno sicuramente adeguate.
Sono un’insegnante di scuola media. Cerco di leggere tra le righe il vissuto di questa studentessa e trovo le stesse preoccupazioni che mi porto dentro ogni volta che entrando in un’aula guardo negli occhi i miei alunni. Con il mio lavoro di insegnante e quindi di educatrice, cerco di far aprire gli occhi dei ragazzi sul mondo, sulle sue contraddizioni, sui suoi perché. E se gli occhi si accendono, attenti a ciò che succede intorno a loro per capire, conoscere e migliorare quello che è ingiusto, sbagliato, affossante della cultura, mi ritengo soddisfatta del mio lavoro. Auguro a quella studentessa o studente (non ricordo) di incontrare nella vita chi saprà aprire il suo sguardo verso orizzonti migliori di quelli che ha guardato fino a questo momento.
Patrizia
Caro Prof,
Ho apprezzato molto il suo articolo.
Sono stanca di ascoltare chi continua a non cogliere la grande responsabilità che sta dietro ‘l’Educare ‘ le persone. I ragazzi oggi ci ‘sdraiano’ con la loro necessità di trovare Esempi che siano sempre più veri e non fatti di gran belle parole, anche ricche di conoscenza, ma che rimangono inerti. Hanno bisogno di costruire insieme a noi il loro futuro, in un movimento dinamico e non con ‘insegnanti televisore’ che cercano un silenzio passivo e sottomesso.
Non sono una sociologa ma una persona che si sente responsabile di mostrare, a chi incontra tutti i giorni, che esiste ancora un mondo in cui ci si puo’ sentire capace di essere il meglio di ciò che si è; un mondo che premia chi pensa, discute, studia, in un continuo scambio educativo.
E’ nostro dovere aiutare i giovani a capire che possono e devono tendere verso l’alto.
Concludo citando una frase di William Butler Yeats :”Education is not the filling of a pail but the lighting of a fire”. Mi pare possa stimolare tutti noi educatori docenti ad una riflessione ben più ampia.
Simona Del Mastro
Gentile Alessandro, cari lettori del blog,
leggendo il post risuonava forte e chiara dentro di me una parola: RESPONSABILITÀ.
Non sono un insegnante, non sono un genitore, non sono uno studente (almeno di scuola)… mi trovo qui a leggere e commentare questo stimolantissimo articolo perché mi occupo da anni di formazione per i Docenti.
I miei incontri non puntano a stabilire quale sia la “verità” o “la soluzione” per riuscire ad ottenere risultati didattici migliori: tendo a diffidare da chi afferma di aver trovato la verità, sono molto più incuriosito ed attratto da chi è impegnato nel cercarla.
Spesso mi confronto con gli Insegnanti sul tema dell’in-decenza, dell’in-docenza e della Docenza; i nostri animati dibattiti vertono ogni volta sulla CORRESPONSABILITÀ del processo educativo/formativo. Da un lato non si può affermare che gli esiti scolastici raggiunti dai ragazzi siano da imputare unicamente ai loro Insegnanti, come del resto non possiamo affermare il contrario (cioè che la responsabilità del Docente non intervenga minimamente).
Purtroppo (o per fortuna) non sappiamo quanto pesi sul totale la nostra “fetta di responsabilità”. Quello che sappiamo (e che tante volte abbiamo sperimentato direttamente sulla nostra pelle) è che questa è l’unica sulla quale possiamo intervenire direttamente. La responsabilità degli altri (studenti, colleghi, scuola come istituzione, genitori…) è per noi lontana e scivolosa. Un antico adagio buddhista afferma “Se vuoi davvero aver problemi, allora comincia a cambiare un’altra persona”. Del resto è quello che viviamo noi stessi ogni volta che qualcuno prova a cambiarci: tendiamo ad irrigidirci e ad contrapporre resistenze.
E come la mettiamo allora: come Insegnanti abbiamo precisi doveri sui nostri Studenti. Quello che possiamo fare è CAMBIARE direttamente qualcosa che rientra nella NOSTRA responsabilità (i nostri modi di comunicare, ascoltare, vivere il “mestiere”, credere, appassionarci, suggerire nuove prospettive, ecc.), fiduciosi del fatto che, con il tempo, i nostri cambiamenti INFLUENZERANNO inevitabilmente ci sta attorno.
“Cambiare qualcuno” è ben diverso da “influenzarlo”… nel secondo caso riusciamo a produrre uno sviluppo dello Studente sano e autonomo, quindi anche più duraturo.
“Cambiare noi stessi per il piacere di crescere ed imparare qualcosa di nuovo” è ben diverso da “cambiare noi stessi per cambiare gli altri”: ma qui si aprirebbe il delicato tema delle ASPETTATIVE…
Mi auguro di essere riuscito a trasferire chiaramente il concetto che, se mi trovo a parlare con un Docente, gli parlerò delle sue responsabilità; parlando con uno Studente lo stimolerei a prendere in considerazione quello che LUI può fare (non quello che dovrebbe fare il suo prof…); lo stesso vale per un Genitore, un Dirigente Scolastico…
Ultimo spunto di riflessione: la responsABILITÀ è, appunto, un’abilità! Possiamo coltivarla, allenarla e godercela. In più farà per sempre parte del nostro bagaglio…
Grazie per la lettura e… buona responsabilità!
Alberto DP
Grazie, Alberto. le tue parole mi danno tranquillità e mi confermano che tanti riflettono su una realtà che è diventata inaccettabile. Perché non unire queste forze e cambiare la situazione?
Riguardo la ricerca di un nuovo modello di trasmissione della cultura, che corrisponde a una evoluzione della figura dell’insegnante, mi permetto di consigliare la lettura di un articolo del blog “Ecco Cosa Vedo”, dal titolo “Allergia ai maestri” (ho messo il link diretto di modo che possiate arrivarci cliccando su questo commento).
Sono al quarto anno di liceo scientifico e non posso che accodarmi agli altri ragazzi che hanno già espresso le loro opinioni. Sono dell’idea che per far tenere dritta la schiena ai ragazzi sia necessario innanzitutto che sia dritta quella dei docenti, sia nel senso umano che nel senso meramente scolastico; due settimane fa Consiglio di classe: due professori non hanno mai (MAI!) alzato la testa dal tablet, indipendentemente da chi stesse parlando. Il rispetto, questo sconosciuto!
Riguardo all’aspetto puramente scolastico due esempi di quello che voglio dire: settimana scorsa compito d’italiano su Tasso, il testo di tre ottave da parafrasare. Cosa me ne farò di otto versi di parafrasi una volta terminata la verifica? Non è che forse abbiamo un po’ perso di vista il senso per cui facciamo tutto ciò?
Poi c’è fisica, ogni lezione lo stampo della precedente: prendete penna e quaderno e scrivete, poi un’ora di dettatura. Abbiamo avuto questo professore in prima e lì la dettatura era prassi, poi in seconda e terza non lo abbiamo più avuto e lo abbiamo incontrato di nuovo quest’anno e speravo che le cose fossero cambiate, essendo in quarta. A quanto pare mi sbagliavo, ma mi chiedo solo una cosa: la scuola non serve forse anche a insegnarci a capire cosa vale veramente in questa vita? E come faccio a capire quali sono i concetti importanti da scrivere (sul quaderno come nella vita) se per tre ore a settimana mi viene richiesto di scrivere ciò che il prof, e non io, ritiene importante? Solo prendendo appunti autonomamente e fallendo un’interrogazione saprò che non ho colto il nocciolo della questione e credo che questo valga anche nella vita: nessuno ti detta niente (per fortuna!), ma solo con le batoste saprai di aver sbagliato, di aver capito tardi chi/che cosa era importante e cosa no. La scuola non dovrebbe servire anche a renderci autonomi e responsabili di fronte alle nostre scelte? probabilmente più di qualche professore dovrebbe capire che il senso della scuola è l’arrivare a togliere quel bastone di cui parla l’articolo, dalla pianta, in modo che questa diventi una quercia e non un’edera che ha sempre bisogno di un muro su cui arrampicarsi. Bisognerebbe dunque capire che passiamo 13 anni della nostra vita tra le pareti di un’aula scolastica per diventare PERSONE e non SCATOLE da riempire con dettature e parafrasi imparate a memoria per il compito.
Non è solo colpa degli insegnanti. E’ il “sistema scuola” che strema gli insegnanti, tanto da farli “appassire” e diventare in-decenti o in-docenti. La Scuola è tutta da rivoluzionare. Burocrazia e raggiungere gli obiettivi sono le indicazioni tra le righe.Non c’è tempo per gli alunni, non c’è tempo, non ci sono scuole adeguate ai tempi. Bisogna fare da baby sitter, da psicologi, da assistenti, da assistenti sociali, da genitori, da amici, da segretari, da tuttologi, da santi. Curare i bes, i dsa, i bambini stranieri, l’handicap “non supportato” da sostegno, gli iperattivi. Orari folli pieni di buchi. Avere a che fare con 2,3,4,5,6, anche 7 classi…il che vuol dire 120, 150 alunni. E comprare a proprie spese anche il materiale scolastico e i corsi di aggiornamento. Chi appassiona i ragazzi è perchè ha fatto della Scuola, in tempi come questi, una missione escludendo se stesso e la sua vita.
Sono d’accordo con te Francesca, è un circolo vizioso, ma da dove cominciare? Io credo che si cominci dalle persone e non dal sistema.
…e io concordo: si comincia dalle persone. Chi vuole poi tra gli altri docenti ti viene dietro,ma intanto i bambini imparano la passione per la vita!…e per tutto quello che si fa nella vita, perché alla fine è la vita che ti appassiona!
queste cose con etichette diverse le dicevano i prof degli anni 50-60 quelli considerati baroni che la rivoluzione culturale anni 60-70 pensò di abbattere….invece le vittime si sono identificate col carnefice e ne ripropongono gli stessi modi-modelli. Infatti, in gran parte, i docenti indecenti o in-docenti di cui parlano gli studenti nei commenti precedenti sono tutti tra i 50-60 anni quindi studenti ribelli di quegli anni.
“Sdraiati” è il titolo del libro di M.Serra che, da quanto letto in alcune recensioni, mi sembra abbia un taglio non moralistico, ma giustamente interrogativo (cfr ad esempio Massimo Recalcati in http://www.tracce.it/detail.asp?c=1&p=1&id=37797). Forse, invece, nel tuo articolo hai voluto usare soprattutto l’aspetto giustamente provocatorio del titolo?
Sono d’accordo con te e alcuni altri lettori sulla situazione così anchilosata della scuola italiana: in alcune pubbliche, del resto, non solo non si può scegliere gli insegnanti; a volte si vieta espressamente di stare con gli amici delle scuole medie da cui si proviene… Come se la spersonalizzazione del luogo in cui apprendere sia automaticamente positiva.
Ma è vero che la vita che c’è nei ragazzi, talvolta in modo inaspettato, finisce per trovare la sua strada, nonostante le storture del “sistema”.
Sul tema, mi dicono, è molto bella anche la prefazione di Robert Bly al “Verso una società senza padre”: l’hai letta?
Buon lavoro a te.
Qual è la causa, quale l’effetto?
Sono i professori indecenti o sono così perchè scoraggiati da studenti indecenti.
Per me, come sempre, la verità sta in mezzo.
Certo, se i professori fossero bravissimi, ci sarebbero studenti più coinvolti ed alla fine preparati. Ma è vero anche il contrario: se i giovani fossero più brillanti, i professori sarebbero più stimolati.
Basta con il politicamente corretto: diciamolo che i giovani oggi sono spesso male educati dalle famiglie che li seguono svogliatamente, nei ritagli di tempo, preoccupate dell’apparire più che dell’essere. Educare, oltre ad essere difficile, non ha lo stesso significato per tutti.
I professori alla fine hanno a che fare con classi di ragazzi disomogenei che si aspettano cose differenti dalla scuola: è inevitabile che alla fine molti siano scontenti.
Bisognerebbe consentire ai presidi di formare classi omogene per obiettivi e determinazione.
E’vero le famiglie spesso e nella maggior parte dei casi sono inesistenti e, nel migliore dei casi, le vedi solamente ad inizio febbraio al ritiro della pagella del primo quadrimestre. Quindi, se le famiglie talvolta non riescono ad essere un punto di riferimento per i loro figli è la scuola che dovrebbe cercare di capire i suoi alunni e riuscire a dare delle risposte ai dubbi adolescenziali dei suoi alunni. E le risposte la scuola non le deve dare solo a parole, ma prima di tutti con i gesti: se nell’edificio scolastico è vietato fumare e il D.S. fuma, il personale di Segreteria fuma e anche qualche docente, la scuola come si può permettere di vietare ad un alunno di fumare? E se quest’alunno fuma a più non posso e ti dice che a casa sua fumano tutti tranne i fratellini più piccoli, chi può aiutare l’alunno? Secondo me, è dal rispetto delle buone norme civili che la Scuola deve partire per formare gli adulti di domani. Prima le regole civiche, poi Dante, Petrarca e i contenuti disciplinari.
Insegno, da precaria, da quasi dieci anni, ho insegnato in più di quindici scuole di ogni ordine e grado e la cosa che mi rattrista di più è che in quasi nessuno Collegio Docenti le parole DOCENTE nel senso più latino del termine e DIDATTICA sono state le parole chiave su cui impostare un percorso scolastico annuale.
Lei parla di CLASSI OMOGENEE nelle quali fare lezioni omogenee di alto livello o di basso livello. Mi scuso, ma non mi trova concorde: il mondo è eterogeneo e ogni alunno all’interno dell’eterogeneità della classe deve imparare a diventare adulto del domani. Attraverso l’eterogeneità passano valori quali il RISPETTO DELL’ALTRO, l’IMPARARE AD ASCOLTARE IL PUNTO DI VISTA ALTRUI, l’IMPARARE A DIALOGARE, l’IMPARARE AD AIUTARE CHI E’IN DIFFICOLTA’.
Sono completamente d’accordo. L’ostinazione di includere tutti in un stesso gruppo classe in nome di una non discriminatoria eteregeneità, non fa altro che demotivare gli studenti capaci e/o motivati e scoraggiare coloro che hanno dei problemi oggettivi nel compiere un percorso “regolare” di apprendimento. E’ vero che la scintilla della passione che un docente deve suscitare nei propri studenti tocca corde interiori che tutti possiedono, ma le modalità in cui poi questa scintilla infiamma l’anima sono troppo complesse per essere gestite da unico docente costretto a fronteggiare intelligenze e motivazioni di studenti tanto diversi. E’ davvero difficile farlo e nessuno ci aiuta a compiere percorsi in cui davvero le esigenze di ognuno possano essere considerate e curate.
Forse sembrerà una domanda banale e sempliciotta, in apparenza, ma mi chiedo “Perché abbiamo scelto di fare gli insegnanti?”
Anche secondo me basterebbe farsi questa domanda, è proprio questo il punto centrale. La mia modesta opinione, in quanto non faccio parte dell’ambiente ma lo vivo solo da esterna, è che non si dovrebbe “fare” l’insegnante ma “essere” insegnante. Non è un mestiere come un altro, è come fare il medico, è una responsabilità avere davanti tante giovani vite e cercare di supportare il loro modo di crescere ampliando il più possibile la loro capacità di scegliere, di ragionare, di emozionarsi. Per molti la scuola potrebbe essere l’unica possibilità di incontrare qualcuno che ampli i loro orizzonti. Peccato buttarla via così. E’ forte la tentazione di “sdraiarsi” con loro, ma non bisogna scoraggiarsi perchè tutto quello che invece chiedono è essere alzati! Coraggio insegnanti, credeteci!
Grazie per questo messaggio di speranza. Condivido ogni parola.
Mi piace paragonare la funzione dell’insegnante a quella di una guida alpina.
La meta della scalata offrirà panorami mozzafiato, sensazioni irripetibili, ma prima di arrivare a quel punto, si dovrà affrontare una grande fatica.
Non tutti si presentano alla partenza convinti dell’impresa che stanno per compiere, qualcuno preferirebbe altre mete, altri sono affascinati dall’impresa, ma hanno ai piedi scarpe inadatte o temono l’altitudine; se la guida svolgerà bene il suo compito, riuscirà a portare tutti in vetta e potrà far loro capire che gli sforzi fatti hanno permesso di apprezzare il meraviglioso spettacolo che apparirà ai loro occhi.
Lungo il percorso, potranno capitare ostacoli, imprevisti, scivolate, ma se la guida saprà mantenere il proprio ruolo, riuscirà ad incoraggiare i più paurosi, a ridare vigore agli sfiduciati, a far apprezzare – mentre la comitiva trova rifugio durante un improvviso temporale – la bellezza della montagna anche in condizioni avverse. In quelle circostanze, ci sarà, per il gruppo, l’occasione di fare il punto della situazione, confrontarsi, condividere le proprie esperienze e le riflessioni personali: quando si potrà riprendere il cammino, il gruppo sarà più forte e la meta sempre più vicina.
All’inizio di settembre, ogni insegnante deve prepararsi ad una nuova scalata da compiere con i propri ragazzi: anche se ha già fatto decine di volte quel percorso, non può accontentarsi di dare sommarie indicazioni stando al rifugio, perché la montagna, così come la scuola e la vita sanno regalare ogni giorno nuove emozioni e nuove prospettive.
Concordo pienamente per i genitori e’ faticoso anche scegliere la scuola dell’infanzia. Proprio oggi una mamma di e’ lamentata con me che i figli tornano a casa ordinati e puliti. Quando invece lei li vorrebbe sporchi di tempera, porporina e quant’ altro.
fatevi un giro negli istituti tecnici e professionali di periferia…al centro del vostro orizzonte ci sono solo i liceali
Hai ragione, ma conosco realtà sorprendenti in quell’ambito, che ho visitato per incontri con docenti e studenti. Perché non imitare queste realtà? E poi non sopporto più la logica del “fatevi un giro”, come se quella fosse una condizione immodificabile. Mi spiace ma questo non lo accetto, e non perché io sia idealista, ma perché vedo che alcuni ci riescono.
Concordo! Io lavoro in un Centro di Formazione Professionale di periferia e vi assicuro che, nonostante le reali difficoltà quotidiane sia dei ragazzi sia di noi formatori, si può costruire molto ed i ragazzi ti seguono se si ha voglia di camminare con loro.
Simona Del Mastro
Hi!! Sacrosante parole, soprattutto quelle della liceale insoddisfatta, ma… io mi chiedo….
perché ad es , nel calcio , i giocatori ripetono e svolgono esercizi sempre uguali senza fiatare? perché affrontano i tests senza discutere la simpatia e la vicinanza dell’allenatore??? perché quando ascoltiamo un medico che magari è terribilmente serio e stressato, non pretendiamo da lui quella vicinanza o entusiasmo che ci aspettiamo dai docenti??? A me talvolta sembra che ci si aspetti che i docenti siano tutti novelli Benigni affabulatori , simpatici, ironici oppure dei Don Bosco capaci di sorridere ed accogliere chiunque e comunque… Credo che la scuola sia palestra di vita e non isola felice….dove persone rigorose , preparate e attente sappiano preparare i cuccioli alla vita…Non siamo piazzisti che mettono in vendita le loro merci con trucchi accattivanti e strategie di comunicazione….intrattenendo il pubblico con un eterno e falso entusiasmo che non è di questo mondo…Siamo persone vere che cercano di fare e dare il massimo con onestà e generosità sempre- altrimenti non avremmo scelto questa professione….
Cara Ileana, l’insegnamento è relazione. Nelle tue parole si confondono gli effetti speciali con la sostanza. L’essere rigorosi non significa essere freddi: piuttosto mettiamo le lezioni su youtube e il gioco è fatto, ma significa condividere uno spazio di ricerca comune, crescere insieme, come in ogni relazione. Il paragone con le altre professioni è fuorviante e credimi, gioco a calcio, la ripetizione di quei gesti è un divertimento. Non si tratta di intrattenere ma di comunicare. Conosco docenti che comunicano ancora ai quindicenni pur lambendo la soglia dei settanta. E non usano effetti speciali.
Ma se ne rende conto di cosa sta dicendo? Io sono una studentessa di 17 anni che frequenta il Liceo Classico. Ho scelto questa scuola perché pensavo mi avrebbe dato un’apertura su tutto e invece mi ritrovo ad odiare le materie che faccio, non tanto per quello che riguarda i contenuti, ma per chi me li spiega. Ho visto professori incompetenti, incapaci, che non amano la loro materia o più semplicemente il loro lavoro e soprattutto che non sanno insegnare (laurea non si sa presa da dove), ho visto professori bravi, appassionati e appassionanti che vengono mandati via dopo un anno perché la scuola preferisce spendere soldi in inutili tablet piuttosto che rinnovare un contratto ad insegnanti capaci. Ecco, a questi “insegnanti” c’è solo da chiedere di cambiare lavoro.
Condivido anche io tutto ciò che è stato scritto. Vorrei poter ritrovare il sorriso a scuola invece di uscirne sempre con la tristezza negli occhi.
…Ho insegnato anche io, anche se alle scuole elementari, pur non facendolo attualmente, e c’è una vena di me che sa quanto è delicato occuparsi, riparare e forgiare la crescita dei ragazzi, di tutte le età, seppur con bisogni diversi..e come sarebbe bello se davvero venissero costruite scuole in cui sia consentito scegliere insegnanti e docenti..come provano a fare le mamme alle scuole elementari per i loro figli..sarebbe un passo enorme, forse ancora lontano..ma mi auguro che questo proposito si realizzi..forse siamo pure sulla via del cambiamento, nuova e giovane generazione di idee..
Un saluto, Adua
Ricordo che i docenti insegnano per diritto e non per raccomandazione o benevolenza del padrone delle ferriere. Capisco il marketing per accaparrarsi dei lettori, ma il pensiero del prof di cui sopra alimenta il solito qualunquismo denigratorio. O si parla dei casi specifici, generalizzare un’istituzione che conta un milione di lavoratori non ha senso, o si tace. O meglio: si occupi il tempo cercando di scrivere qualcosa di leggibile.
Distinguendo le tre categorie si fa tutt’altro che generalizzare. Insegnando da 14 anni sono le tre categorie che vedo. Il pensiero dell’articolo è completato dal successivo. Ma percepisco dall’intervento che il bersaglio sono io e non l’apertura alla provocazione. Buon anno.
E’ vero, la maggior parte dei professori, con poche eccezioni, sono davvero incapaci di svolgere il loro mestiere perchè non riescono a relazionarsi con noi studenti, ci considerano contenitori vuoti da riempire con nomi, nozioni e paroloni incomprensibili… la mia professoressa di filosofia ci ripete ogni anno la differenza tra le parole EDUCAZIONE e ISTRUZIONE. Io penso che l’educazione sia una cosa bellissima, con un’etimologia chiarissima e meravigliosamente diretta: ex-ducere dal latino, tirare fuori. Dare ai ragazzi gli strumenti per conoscersi, per capire il mondo, aiutarli a tirare fuori il loro talento! non è questo il compito di un insegnante? ISTRUZIONE è una cosa vuota, riassume tutte le conoscenze che vengono insegnate a scuola, ma c’è una bella differenza tra conoscenza e saggezza. I cattivi insegnanti considerano l’istruzione una religione, se stessi dei sacerdoti e guai a porre domande che mettano in dubbio il loro operato! E poi si lamentano se noi alunni non facciamo domande e sembriamo passivi… Come facciamo, se dopo ci dicono che siamo degli stupidi perchè non riusciamo a capire i LORO concetti? E queste cose purtroppo le vedo tutte le mattine a scuola nella mia aula… e sono davvero triste di andare all’esame di maturità così…
con questo non voglio demonizzare la razza degli insegnanti, perchè esistono delle eccezioni, professori che amano il loro mestiere e comunicare valori importanti ai ragazzi! a loro va tutta la mia stima!! voglio dire che spesso la colpa è anche di noi alunni: i menefreghisti esistono ovunque,sia nei licei che nei professionali, sia alle elementari che alle media, ovunque: sono loro i veri sdraiati, che si lasciano scivolare tutto addosso. E ci sta, non siamo tutti uguali! Ma sarebbe bello vederne sempre di meno, e io credo che ciò sia possibile se, anche in famiglia, i ragazzi e le loro passioni fossero ascoltati!!! FATECI APPASSIONARE ALLA VITA, ALLA CULTURA, ALLA SCUOLA E ALL’ONESTA’!! Scusate per il tema che ho scritto 🙂 complimenti per il bellissimo articolo, Professore!
Salve,
ho finito l’anno scorso il liceo scientifico e mi dico d’accordo con l’articolo ma non sono d’accordo.
Mi spiego: la professoressa di storia e filosofia che ho avuto in terza e quarta si era laureata in Legge, poi però ha preferito laurearsi anche in Filosofia e fare l’insegnante perchè Eraclito era la sua passione, premettendo che storia era la mia materia preferita, io ero contentissimo di questa professoressa, e non solo io, piaceva a tutta la classe (l’unica professoressa in cinque anni)!
Non è che spiegasse le cose in un modo molto diverso da quello degli altri professori, ascoltati giusto per prendere meccanicamente appunti, ma era il suo atteggiamento che invogliava, mi veniva voglia di sapere come i vari filosofi avessero interpretato il modo che li circondava,ma non solo questo.
Avevo alcuni professori che alla domanda “Perchè?” ripetuta ogni dopo loro risposta per andare sempre più a fondo della questione e capire le basi dell’argomento arrivavano ad un punto dove non sapevano la risposta e quindi rispondevano con “Non è questo il punto”, “Cercatelo sul libro”, “Adesso dobbiamo andare avanti” e risposte simili, lei no, se una cosa non la ricordava, non la sapeva rispondeva con “Questa è una domanda interessante, non so risponderti, mi informerò quando torno a casa, tu fai una ricerca su questo così poi lo puoi esporre alla classe.”, e si facevano tantissime ricerche, che poi venivano veramente esposte alla classe, non era solo fumo negli occhi, e la prof faceva domande e chiedeva conferme su ciò che gli studenti spiegava: esortava ad informarsi, si informava lei stessa e imparava da noi studenti.
Io una volta chiesi le strategie dell’esercito napoleonico(!) e feci una ricerca sull’argomento perchè ovviamente la prof non le sapeva, oggi mi ricordo pregi e difetti di formazioni a quadrato, in linea, in colonna di un’esercito armato con moschetto e sciabola su terreni montagnosi, pianeggianti e collinari.
Mentre non ricordo, anzi odio, la filosofia e la storia del XX secolo anche se razionalmente so che sono la parte più interessante della materia.
Questo per colpa di un professore in-docente anomalo, coltissimo e anche voglioso di farci partecipi della sua cultura ma assolutamente incapace di farlo: per farci vedere la profondità di Kant abbiamo dovuto studiarlo fino al 28 gennaio, tenendo conto che Kant è programma di quarta e l’avevamo già fatto la cosa non è a suo favore, inoltre ha cercato di farci capire in profondità Hegel e Schopenhauer, fallendo purtroppo, e ci siamo ritrovati a fare una porcata, non c’è altro termine per descrivere la cosa, di livelli colossali: introduzione di Marx martedì e venerdì verifica, nella stessa settimana, idem per Nietzsche, perchè eravamo indietro sul programma (ma và?), per storia è successa una cosa simile, per mancanza di tempo uno studente riassumeva un capitolo del libro e lo esponeva in 4/5 slides powerpoint (ditemi se è possibile).
Il professore era pieno di buona volontà ma incapace di metterla a frutto dopo vent’anni di esperienza e alla domanda sopracitata che ha portato avanti millenni di filosofia finiva con rispondere con “Non capisco cosa intendi con questa domanda, prova a spiegarti meglio (c’è bisogno di spiegare il significato del termine perchè?), non posso aiutarti, mi spiace, ora andiamo avanti.”.
Con un effetto boomerang stupefacente, ma purtroppo al contrario, l’esterna di filosofia all’orale della maturità partiva dagli errori della terza prova e continuava a chiedere “Perchè?”, inutile dire che a parte qualcuno appassionato di filosofia tutta la classe è stata inculata (sì il termine è volgare ma ho già cambiato tutte le altre parolacce e se questo mi rende incapace di essere lo studente ideale allora così sia) perchè era un modo di fare filosofia, il migliore tra l’altro secondo me, che non sapevamo fare, dopo un anno passato ad imparare a memoria la filosofia in due giorni non siamo riusciti a fare tutti i collegamenti logici di tutti i filosofi.
Purtroppo sono stato maledetto, o forse benedetto, da una schiera di professori “incapaci e inascoltabili” (cit. non vostra) e da altri dannatamente bravi a fare il loro lavoro, non mi aspetto certo che tutti rientrino nella seconda categoria, non è difficile comprendere come alcuni abbiano deciso di mandare tutto a quel paese e diventare in-decenti o in-docenti (li vedi anch’io certi miei coetanei) ma mollare dopo un fallimento è un fallimento ancora più grande, la frase è idealista, stupida e infantile, e in effetti è un concetto che ho imparato dai fumetti, ma se non posso fare questi discorsi adesso quando li potrò fare?
PS: il mio sogno di studiare la Storia, con la S maiuscola, è stato barbaramente denigrato dalla professoressa di latino che ha commentato con un “E dopo la laurea vai a fare il magazziniere?” quindi ora sto facendo Ingegneria al Politecnico e seguendo il corso di Storia alla Statale, non prenderò la laurea ma sfido chiunque a darmi dell’ignorante su quello, e in culo alla professoressa di latino.
Buona serata
Sempre molto realistici i tuoi articoli e aderenti alla vita. Ebbene,come educatore non posso negare il fatto che i giovani oggi sono molto storditi e confusi,dovuto in molti casi alle separazioni dei genitori,ma anche al vuoto che hanno dentro dovuto sempre al fatto che nessuno li ha riempiti di quel cibo Santo,la storia e’ questa…ma nonostante tutto la sete di verita’ e di bene c’e’ e bisogna resistere dalla tentazione di fermarsi ai ruvidi e sfacciati modi che si presentano in superficie,per bucarla e vedere cosa c’e’ dietro…mi e’ capitata una situazione che mi ha spiegato molte cose:ero con un gruppo di preadolescenti mentre si svolgevano dei lavori manuali per realizzare dei cartelloni,e tra parolacce,volgarita’ e altre scemenze non ho accennato neanche per un secondo a rimproverarli,lasciandoli fare..ad un certo punto,esaurita la loro fantasia,e sentendosi ignorati dalle loro esibizioni vocali,si e’ creato un silenzio imbarazzante,ecco,dico tra me,questo e’ il vuoto che hanno dentro…Grazie Alessandro per la tua passione…
Sono una studentessa universitaria che desidera diventare insegnate e ho letto con molto interesse la maggior parte dei commenti. Quello di cui mi sto accorgendo è che non solo bisognerebbe cambiare il modo di concepire l’insegnamento nelle medie inferiori e nelle superiori rendendo, come avviene all’università, i programmi più “gestibili” dal professore di turno, ma anche che andrebbe totalmente riveduta la stessa formazione dei docenti. Il percorso per poter alla fine insegnare è lungo, faticoso e spesso frustrante, pare che chi dovrebbe trasmettere a noi la passione dell’insegnamento si limiti solo a considerare se, per l’appunto, si sanno a memoria date ed eventi e basta, come se l’insegnamento fosse solo accumulare sapere a memoria e poi riversarlo sugli studenti. è assurdo che in cinque e più anni di università (se magari si accede ad un dottorato) non siano previsti corsi in cui si possa davvero apprendere come comunicare quello che si è imparato con tanta fatica ma anche con tanta passione. Non basta un anno frustrante e mal fatto di TFA per creare buoni insegnanti, la maggior parte di coloro che escono da lì sono frustrati e senza più entusiasmo (non dico questo per sentito dire ma perché conosco molti usciti dallo scorso TFA), spenti rispetto a quando erano usciti dall’università pieni di speranze e poi si sono visti davanti concorsi ad accesso quasi proibitivo,precariato, scarsa considerazione. Servirebbe davvero un ripensamento non solo della scuola ma anche del modo in cui si insegna ad insegnare!!! (passatemi il gioco di parole…)
LETTERA DI SCUSE A TUTTI I RAGAZZI
Questa vuole essere una lettera di scuse da parte mia, quindi scritta da me; le scuse invece le chiedo per tutti gli adulti: genitori, insegnanti, maestri, studenti e educatori. Siamo vittime di un sistema che non aiuta molto la crescita personale. È vero anche che sono pochi a comprendere che siamo noi a dover cambiare se vogliamo dei miglioramenti. Gli adulti non sono tutti consapevoli, pensano solo che il mondo non sia poi così fantastico: mancano i valori migliori necessari a premettere una crescita serena, in armonia, nel benessere e nella prosperità. Ci sono guerre, ladri, c’è poco lavoro e adesso ci mancava anche la crisi! Che cosa fanno, quindi, gli adulti? Invece di cercare di modificare se stessi, pretendono di cambiare gli altri: il marito/la moglie, i vicini, i colleghi o peggio i figli. Come diceva Gandhi, dobbiamo essere noi stessi il cambiamento che vorremmo vedere. Invece ecco gli adulti che cercano di incolparsi gli uni con gli altri e peggio se la prendono con i più deboli: bambini e ragazzi. Frequento la scuola come genitore da vent’anni, ho fatto la rappresentate di classe, il membro del consiglio d’istituto diventando anche presidente dello stesso. La scuola l’ho proprio vissuta e sostengo questa tesi: i veri problemi nelle scuole non sono i ragazzi ma gli adulti. Non desidero generalizzare perché sarebbe assurdo ma, il modus vivendi è questo: accusare sempre i ragazzi di tutto. Se studiano troppo, dovrebbero divertirsi di più, se non studiano, devono farlo per il loro bene, dovrebbero stare composti e non disturbare durante le ore di scuola ma nemmeno durante l’intervallo possono sfogarsi. Per anni non ho fatto altro che sentire che la classe in cui erano i miei figli era la peggiore dell’istituto, poi quando mi confrontavo con gli altri genitori, mi rendevo conto che le stesse cose erano state dette nelle altre classi, con la conclusione che tutte erano le peggiori: così per ogni scuola e ogni istituto. Forse i docenti vorrebbero delle mummie per alunni! Ma c’era di peggio. Durante i consigli di classe vi erano presenti alcuni professori che erano esasperati per il comportamento dei ragazzi, mentre altri ne erano entusiasti. Chiedevo il perché, in quanto, la classe era sempre quella e non era stata sostituita nel cambio ora: le risposte naturalmente erano dei giustificativi per loro e una “colpa” dei ragazzi. Vi erano sempre delle risposte, mai un’auto analisi. Se io insegnassi e vedessi davanti a me persone annoiate o che danno segni d’insofferenza, mi farei subito un esame di coscienza e forse proverei a cambiare metodo. A volte potrebbe essere anche il tono della voce, oppure la poca enfasi, insomma sono stata anch’io sui banchi (e spesso lo sono tuttora) e ho avuto insegnati che ti trasportavano letteralmente nel mondo che rappresentavano e ti facevano sognare. Quelle lezioni, le ricordo ancora, anche se di materie da me poco amate. Altri invece erano soporiferi come il sonnifero e stentavi a stare sveglio nonostante fosse mattino inoltrato. Purtroppo alcuni di questi insegnanti me li ritrovavo nelle mie materie preferite. Non c’entra il fatto se uno studente ami o no quella materia, sono i docenti a fartela piacere, coinvolgendoti o a fartela odiare. Ecco perché l’importanza dell’insegnamento. Il problema, in questi casi, nessuno se lo domanda, dove sta? Se fossi professore, mi darei subito la risposta. Non incolperei gli studenti di non essere abbastanza “svegli”, mi chiederei invece come mai sia causa di tanta sonnolenza o insofferenza. Non possiamo sempre pensare che sia colpa del prossimo. Facciamoci un esame di coscienza.
Riunione del 16/12/2013, ore 18.30: è stata indetta una riunione chiesta dai genitori per le continue lamentele sia dei docenti sia degli alunni. Una situazione che sembra essere in stallo e non avere uno sbocco. Dopo due ore di un soliloquio tenuto dal preside e alcuni interventi dei genitori, compreso il mio, ho dedotto questo:
1 I più educati si sono rivelati gli alunni che ci hanno ascoltato (allibiti!), per due ore, mentre si decideva come poterli cambiare. Non ci hanno insultato, mentre loro lo sono stati.
2 I ragazzi non hanno mai giudicato o parlato male dei professori. L’unica lamentela, l’hanno sostenuta nei confronti di una professoressa che dal comportamento potrebbe assomigliare ai nostri parlamentari: poco presente e abbastanza latitante. Questo comportamento già risaputo e ripreso da più genitori e alunni di altre classi, è stato difeso a spada tratta dal preside, cosa che ritengo riprovevole. Un docente tale dovrebbe essere allontanato immediatamente dalla scuola per cattivo esempio nei confronti dei ragazzi e per mancanza di rispetto nei confronti della società.
3 È stato chiesto all’unico ragazzo che ha aperto bocca di presentarsi col nome (per educazione), mentre nessuno degli adulti l’ha fatto, nemmeno l’unica docente che rappresentava i colleghi. Il preside l’ha fatto, sì, ma dopo un’ora.
4 Abbiamo preteso che stessero ben seduti e composti mentre noi adulti eravamo appoggiati ai tavoli, piegati in due (dalla stanchezza). Il preside appoggiato alla cattedra.
5 Gli unici cellulari che hanno “suonato” durante la riunione sono stati quelli dei genitori e quello del preside.
6 Gli unici a urlare e a gridare siamo stati noi adulti.
Per questo motivo, vi chiedo scusa, in primis, per il mio comportamento che è stato uguale a quello di tutti gli altri adulti. Scusateci. Spesso sono comportamenti che abbiamo per cattivo controllo, per difesa, per stanchezza e ancor peggio perché non ce ne rendiamo conto. Non lo facciamo con cattiveria, ma per mancanza di controllo. In quei momenti prevale l’ego e non essendo centrati sui noi stessi cadiamo come pere mature. Urliamo dicendovi di parlare a bassa voce; fumiamo affermando che fa male e quindi vi consigliamo di non imitarci; vi sgridiamo quando dite le parolacce, senza accorgerci che addirittura prima avevamo bestemmiato; vi obblighiamo ad andare a catechismo ma non entriamo mai in chiesa nemmeno per Natale; vi obblighiamo a darci retta, ma non vi ascoltiamo mai; vorremmo la vostra fiducia ma noi ve la concediamo raramente, vogliamo il vostro bene ma v’imponiamo la nostra vita che non ci soddisfa neanche un po’. Per questo vi chiedo scusa perché vogliamo da voi ciò che noi non siamo in grado di darvi, vi vogliamo diversi perché in fondo ci piacerebbe esserlo noi ma, non riuscendo a cambiare, speriamo che lo possiate fare voi al posto nostro. Non capiamo che l’educazione s’insegna con il comportamento e non con le parole.
Esiste un libero arbitrio, usatelo e al bivio non prendete la nostra stessa strada, svoltate e continuate la salita, ripida ma piacevole. Ogni giorno l’aurora ci saluta e il tramonto ci dona una luna meravigliosa. Sappiate apprezzare voi stessi e la natura che ci circonda. Non date retta a nessuno, ascoltate tutti ma sappiate discernere. Ascoltate solo la voce del vostro cuore: se avete emozioni positive e vi sentite bene continuate, la strada è quella giusta; se non vi sentite bene e siete stanchi o pensieri negativi vi assalgono, cambiate strada, siete su quella sbagliata. Tutto qua, il mio consiglio. Non credete agli adulti quando vi dicono che non siete degni, che non lo meritate, che siete degli scansafatiche e dei bambocci, ignorate l’offesa e continuate ascoltando il vostro sistema di guida emotivo che è dentro di voi. Quello non sbaglia mai! Ascoltatevi sempre e poi agite. Non giudicate se non volete essere giudicati. Studiate per voi stessi e non per i voti, andate a scuola e istruitevi al meglio perché gli ignoranti sono il concime dei potenti. Sono quelli che vi vogliono governare a desiderare una scuola così, con gente poco motivata e svogliata: non cascate in questo tranello. L’ignoranza porta solo disgrazie. Siate sempre propositivi, allegri e spensierati: divertitevi studiando, si può fare. Fidatevi è così, anche se vi fanno credere che sia sacrificio. Quale, scusate? A parte il fatto che il termine sacrificio ha ben altro significato, anche questo letteralmente stravolto; questa, però è un’altra storia. È meraviglioso leggere, scrivere e informarsi: STUDIARE È APPASSIONANTE E DIVERTENTE! Buona vita ragazzi! Abbiate pazienza, e cercate di evitare i nostri errori: un domani sarete degli ottimi genitori, forse più consapevoli. Costanza, determinazione e desiderio di imparare sono necessari per il cambiamento, quello giusto che porta alla felicità, al benessere e alla prosperità. Non credete agli adulti che vi dicono che “questo” o “quello” non sono sufficienti per tutti: L’Universo è infinito come le sue risorse. Non ci può mancare nulla almeno che non siamo noi a volerlo.
Risposta al preside che con insistenza mi chiedeva come potrebbero essere più coinvolgenti gli insegnati nelle ore di lezione anche durante materie che loro definiscono ostiche perché più tecniche. Intanto nessuna materia è primaria, secondaria, ostica o noiosa. Tutte le materie di studio sono interessanti se sono rese tali. Ecco la risposta che quella sera ho evitato di dare, l’ho fatto per ovvi motivi. Non avevamo più il tempo materiale per discuterne quindi, ho preferito tacere. Ora ho tempo e do la risposta attesa:
“Cari professori, insegnanti, maestri, Gesù si rivolgeva, allo stesso modo, sia agli illuminati sia a coloro sia non conoscevano la scrittura. Egli parlava ai cuori non alle menti, parlava con amore non per dovere, con passione e non con rabbia che è sinonimo di frustrazione. Lui, come Socrate, Platone e mille altri esempi di maestri, parlava per ore ipnotizzando le folle. Un aiuto possono esserlo le metafore, gli esempi, ma soprattutto UN SORRISO CONTAGIOSO quando si entra in classe. Una complicità aiuterebbe più che una nota di registro. Ecco preside, le ho risposto. Lo dica ai suoi professori se desiderano interessare i ragazzi, la strada è questa: un sorriso, il coinvolgimento, l’amore per il proprio lavoro, la stima di se stessi, la compassione e tanta voglia di insegnare veramente, senza giudicare se non vogliamo essere giudicati.”.
Vorrei spendere “due” parole a favore dell’articolo del prof D’Avenia. Ciò che è scritto nell’articolo, non è altro che un resoconto della realtà, di quello che noi studenti realmente viviamo ogni giorno in quelle fredde aule che il più delle volte sembrano essere delle celle istantanee, che non rilasciano una via d’uscita almeno per 3 ore consecutive. Io frequento il secondo anno del Liceo Classico, e oggi dopo ben 16 giorni di vacanze natalizie, mi è sembrato di ritornare nella stessa cella di 16 giorni fa. Nessun cambiamento, anzi, appena entrata si sentiva quello strano odore dei cosiddetti “in-docenti”, che sembrano riversare tutte le loro fatiche, problemi economici e sentimentali, all’interno di quella struttura che giorno dopo giorno si “raffredda” sempre di più.Posavo gli occhi su di loro, li vedevo lì riuniti intorno alla cattedra della collaboratrice scolastica, sorridenti e apparentemente pieni di entusiasmo; ma era tutta retorica, un surrealismo forse inventato dalla mia mente distratta e ingenua. Nella famosa cella gli in-docenti si sono svelati per l’ennesima volta quelli che sono, frenetici di concludere le interrogazioni e riprendere il ritmo quotidiano che, diciamoci la verità,appartiene solo a loro. Sinceramente, anche per quest’anno, oltre a qualche verbo in più o a qualche termine nuovo di greco e latino, non penso di aver imparato niente da loro e vi giuro che lo considero un bene!!
Ma noi continuiamo a tenere gli occhi chiusi e a voltarci dall’altra parte…
Due appunti brevissimi, si parla di moralismo e poi di morale, se non è zuppa è pan bagnato , ma non di etica, Spinoza insegna la differenza e io direi che di etica c’è veramente bisogno non di morale. Una categoria in più, l’ideal-docente, è dannoso per il docente, è dannoso per gli allievi, e non devo spiegare il motivo, è fin troppo scontato per chi fa questo lavoro direi che sono dannose le prime due categorie, anche la seconda a volte può comunque dare qualcosa ai ragazzi se c’è passione, ma tutti noi che siamo docenti al liceo o all’università, sappiamo che non basta la passione per la materia, ci vuole la passione per i ragazzi. L’ideal-docente è però dannoso e questo qui non viene detto, invece io direi che qui darebbe materia da far riflettere molti lettori di questo blog. Lacan aveva messo in guardia dall’identificazione con l’ideale, non so per chi è più pericoloso. Ho letto un parere divergente di una isegnante che è stata vergognosamente attaccata da una lettrice sul piano personale, ritengo che l’autore del blog debba intervenire ogni tanto per moderare lo zelo delle sue fan, da educatore. Una docente.
Basta leggere il secondo articolo, quello successivo a questo, che completa il pensiero e che è la mia risposta alla solita critica dell’ideal-tipo, tanto noiosa quanto le urla scomposte di fan. Mai detto che basta solo la passione, mai detto che esista un insegnante ideale: vedo solo cose che funzionano e cose che non funzionano. E ricevo centinaia di lettere di ragazzi che mi raccontano le une e le altre. Legga il resto e non affretti giudizi. Non ho il tempo di seguire il dibattito, spesso ho compiti da correggere e lezioni da preparare. Come lei.
Gentile collega, io insegno matematica e scienze alle scuole medie e ho letto con grande interesse l’articolo e la lettera.
“Quando al paternalismo sostituisci la paternità, difendendoli dalle paure ma sfidando le loro risorse migliori”. Questa frase mi trova completamente d’accordo ed a questo ho sempre cercato e cerco di rivolgere i miei sforzi.
Noi insegnanti operiamo in un contesto che favorisce il logoramento (e non parlo solo della scuola in sé ma anche della politica, delle scelte dei dirigenti, della società che non di rado ci vede come parassiti), il logoramento rovina molti colleghi che prima di autodistruggersi erano in gamba ed entusiasti. Questo purtroppo è un problema reale.
Siccome non amo i luoghi comuni sugli insegnanti non amo neanche quelli sugli studenti, che a sentire qualcuno sarebbero per la gran parte pigri e perfino stupidi. Io temo che ogni tanto questa venga utilizzata come una scusa comoda per non impegnarsi a cambiare le cose (segno di quella medesima pigrizia che si vorrebbe rimproverare agli studenti). I ragazzi invece aspettano solo noi. Se non riescono nelle nostre materie -e le mie materie sono un esempio eccellente di questo fatto- spesso è perché ne hanno paura e pensano che non riusciranno mai, quindi lasciano perdere. Se si disinteressano è perché non viene spiegato loro per quale motivo dovrebbero interessarsi(come se fosse scontato per tutti già a sei anni).
Non fraintendermi: io mi ritengo esigente e penso che sia giusto esserlo. Mi sembra giusto pretendere impegno e insistere fino allo sfinimento con quelli che non si impegnano anche a costo di essere, nella loro mente, un rompiscatole (immagino che dicano “rompicoglioni”, cit.). Però non si può essere esigenti senza prima aver appassionato e a volte anche rassicurato gli studenti.
Quanto alle piante, mi sembra molto opportuna la citazione di Hugo “non esistono cattive piante, esistono cattivi coltivatori”. I coltivatori ovviamente non siamo solo noi ma pensiamoci comunque.
Caro Enrico, grazie per le tue parole che sottoscrivo una per una. Buon lavoro!
Sono una studentessa del terzo anno del liceo classico. Ho 16 anni e fin da quando sono piccola ho un sogno nel cassetto: diventare una maestra. La lettura di questo articolo mi ha colpito particolarmente perche ha toccato alcuni aspetti del mondo della scuola a me molto cari. Mi chiedo spesso se un giorno potrò mai essere in grado di trasmettere a qualcun altro l’amore per una poesia di D’annunzio o per una pagina di Dante. Sarò in grado di capire i miei alunni, di instaurare con loro un rapporto basato sulla fiducia? Ma soprattutto sarò in grado di affermarmi a pieno come insegnante, come persona per rientrare solo nella classe decenti e mai in quella di in-decenti o in-docenti?
Una scuola diversa si può fare, si deve fare !
http://www.youtube.com/watch?v=Qwg2smrBK5Y