A scuola non c’è mai tempo
Una ragazza ha letto in classe un articolo sul primo giorno di scuola che avrei voluto se fossi stato un alunno, apparso su un quotidiano all’inizio dell’anno scolastico e divenuto per molti ragazzi e professori un banco di discussione interessante. La classe di questa ragazza ha reagito con un entusiasmo che lei stessa non si aspettava. Hanno quindi deciso di fotocopiare l’articolo e metterlo nelle caselle dei professori, in trepidante attesa di una reazione. Avevano l’impressione di scatenare una rivoluzione pacifica, fatta di idee, che avrebbe aperto uno spazio, una speranza. Cosa è accaduto?
“Volevo raccontarti le reazioni (magari avessero reagito, in realtà) al tuo articolo. All’inizio avevamo scritto due righe spiegando che l’articolo aveva particolarmente colpito tutta la classe e che ci sarebbe piaciuto parlarne con loro… Ciò che ci ha colpito, in negativo, è che per la maggior parte non hanno reagito, o non hanno il tempo per reagire”.
Nessuna reazione: non c’è il tempo. Non c’è mai tempo per ascoltare la vita che chiede verità. Se protestano con violenza, se occupano, non c’è lo spazio: non si è nello stesso luogo. Se provano a ragionare con parole che hanno discusso e fatto proprie, non vengono ascoltati. Non c’è tempo. Tempo! Ecco ciò che serve ad educare: spazio e tempo. Spazio e tempo preso e dato a loro. É vero noi insegnanti abbiamo poco tempo tra programmi e interrogazioni, ma non possiamo ogni tanto fare qualcosa di straordinario, magari fuori orario? Trovare un po’ di tempo per ascoltare, soprattutto quando hanno qualcosa da proporre? Non avere tempo o non trovarlo è dire: non lo meriti. E fa tanto più male quanto più un ragazzo ha sperato di riceverlo.
Una professoressa dopo aver letto si è adirata, perché sosteneva che in quella scuola è già così e avrebbero dovuto buttar via quell’articolo dicendo “cose ovvie!”.
“Se da un lato mi ha fatto piacere sentire che fosse d’accordo, dall’altro ci ha lasciati a bocca aperta il dire che la nostra scuola è così. È una bugia e la mia classe lo sa bene. Eppure era come se non fosse arrivato il nostro messaggio. O come se non avesse voluto coglierlo”.
Un altro professore ha letto l’articolo e ha detto, scherzando e non, che lui è già meglio di così. Tutto si è fermato a quella battuta: “non siamo stati presi sul serio per più di quella battuta”.
Una professoressa ha chiesto perché avessero mandato l’articolo. “Noi le abbiamo risposto ed è subito partita a spiegare senza preoccuparsi della nostra esigenza di parlarne anche con lei, che è la nostra coordinatrice”.
“Qualcuno l’ha letto e non ci ha neanche detto di averlo fatto… Un mio compagno ha condiviso la sua delusione rispetto a questa non-reazione dei professori. Ci è parso che avessero paura di un rapporto con noi. E che questo fosse scongiurato dalla scusa del tempo. C’è poco tempo. C’è sempre poco tempo per parlare, poco tempo per lavorare, poco tempo per far ogni cosa. Eppure tante volte a scuola a me sembra di buttarlo via il tempo. Mi sembra che quel tempo lì potrei usarlo in milioni di altri modi che lo renderebbero più utile alla mia vita”.
Non c’è tempo, non c’è mai tempo. O c’è la paura, l’ironia, il programma…
La scuola è una relazione all’interno della quale si studiano delle materie per cercare la verità insieme. Ma se viene meno la verità, quell’insieme non esiste, è un semplice aggregato di persone costrette a stare nello stesso spazio. Se non c’è ricerca della verità, non c’è scuola, relazione, ci sono solo pratiche didattiche. Basterebbe registrare le lezioni e metterle sul web, con gran risparmio di energie di tutti…
Un giorno mi guarderò indietro e spero di non vedere uno stuolo di programmi finiti, a fronte di un tappeto di vite sfinite. Quelle dei ragazzi.
non c’è più tempo per imparare a vivere; perché secondo me la scuola è il luogo in cui noi ragazzi impariamo a vivere.
Ma non impareremo mai se coloro che dovrebbero insegnarcelo non hanno tempo per farlo.
Ho incontrato alle medie una prof che amava insegnare. Nei suoi occhi brillava la luce, quella luce che tu nomini nell’articolo sul primo giorno di scuola.
E’ una luce inconfondibile perché illumina ma non acceca, anche se la guardi a lungo. E io eccome se la guardavo, e non mi stancavo mai di farlo.
Spero tanto di trovare ancora qualcuno che abbia tempo da dedicae a me e ai mei compagni. Qualcuno che voglia condividere con noi, quindicenni inesperti, le proprie esperienze e i propri pensieri. Qualcuno che dopo anni di insegnamento non sia ancora stanco di “passare” il suo sapere nelle nostre menti, che spesso sono piene di cose inutili.
Qualcuno che non sia stufo di ripetere tutti gli anni le stesse cose, perché solo così noi non saremo stanchi di sentirle per la prima volta.
Solo così, secondo me, si può imparare a viverla la scuola, e non solo a frequentarla.
Perchè frequentarla è un dovere, ma viverla è un piacere e soprattutto una scoperta.
Spiace dirlo, ma quando è così, è proprio “tempo perso”: “L’insegnamento comincia quando tu, maestro, impari dal discepolo, quando tu ti trasferisci in ciò che ha compreso, e nel modo in cui ha compreso.
Un discepolo è occasione perché il maestro comprenda se stesso, e viceversa il maestro è occasione perché il discepolo comprenda se stesso” (S.Kierkegaard).
I discepoli vanno raggiunti proprio lì dove sono, altrimenti non parte un cammino con loro.
Ma fra noi insegnanti il rischio del comodo e del già saputo è grande (benedetto Tirocinio Formativo Attivo, quando comincerà?…)
Io penso che sia assolutamente vero quello che dice e allo stesso tempo incredibilmente tremendo. Viviamo in modo talmente frenetico che perfino ascoltare diventa difficile. Secondo me questi professori hanno anzitutto smesso di ascoltare loro stessi, i loro pensieri, le reazioni che l’articolo poteva aver suscitato. E anche se non ne avesse suscitate, una persona che ascolta sè stessa si sarebbe chiesta perchè non ha provocato nessuna riflessione. E se un insegnante non ascolta prima di tutto sè stesso come può pretendere di ascoltare uno studente?
Il tempo manca sempre, è vero, ma spesso manca perchè lo si perde nella monotonia. Tra una campanella e l’altra i minuti che passano sono grosso modo sempre gli stessi ma è come vengono trascorsi che fa la differenza. Io credo che se quei professori avessero speso anche solo cinque minuti della loro lezione per discutere con i loro studenti, per creare un dialogo che non fosse unilaterale come una spiegazione o forzato come un’interrogazione, questi ultimi sarebbero stati contenti. Contenti di condividere anche solo cinque minuti. Fare scuola significa condividere, tra gli insegnanti e gli studenti deve esserci uno scambio, altrimenti tutto perde senso…
Brano Tratto da ” Il piccolo principe”
In quel momento apparve la volpe.
“Buon giorno”, disse la volpe.
“Buon giorno”, rispose gentilmente il piccolo principe, voltandosi: ma non vide nessuno.
“Sono qui”, disse la voce, “sotto al melo….”
“Chi sei?” domandò il piccolo principe, ” sei molto carino…”
“Sono la volpe”, disse la volpe.
” Vieni a giocare con me”, disse la volpe, “non sono addomesticata”.
“Ah! scusa “, fece il piccolo principe.
Ma dopo un momento di riflessione soggiunse:
” Che cosa vuol dire addomesticare?”
” Non sei di queste parti, tu”, disse la volpe” che cosa cerchi?”
” Cerco gli uomini”, disse il piccolo principe.
” Che cosa vuol dire addomesticare?”
” Gli uomini” disse la volpe” hanno dei fucili e cacciano. E’ molto noioso!
Allevano anche delle galline. E’ il loro solo interesse. Tu cerchi le galline?”
“No”, disse il piccolo principe. ” Cerco degli amici. Che cosa vuol dire addomesticare?”
” E’ una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami…”
” Creare dei legami?”
” Certo”, disse la volpe. ” Tu, fino ad ora per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma.se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo.”
” Comincio a capire”, disse il piccolo principe. ” C’è un fiore…. Credo che mi abbia addomesticato…”
“E’ possibile”, disse la volpe “capita di tutto sulla terra…”
“Oh! Non è sulla terra”, disse il piccolo principe.
La volpe sembrò perplessa:
” Su un altro pianeta?”
” Sì”
” Ci sono dei cacciatori su questo pianeta?”
” No”
” Questo mi interessa! E delle galline?”
” No”
” Non c’è niente di perfetto”, sospirò la volpe.
Ma la volpe ritornò alla sua idea:
” La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me .Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio per ciò. Ma se tu mi addomestichi la mia vita,
sarà come illuminata. Conoscerò il rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi faranno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in
fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color d’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai
addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano…”
La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe:
” Per favore …..addomesticami”, disse.
” Volentieri”, rispose il piccolo principe, ” ma non ho molto tempo, però.
Ho da scoprire degli amici e da conoscere molte cose”.
” Non si conoscono che le cose che si addomesticano”, disse la volpe.” gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!”
” Che bisogna fare?” domandò il piccolo principe.
” Bisogna essere molto pazienti”, rispose la volpe.
” In principio tu ti sederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino….”
Il piccolo principe ritornò l’indomani.
” Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora”, disse la volpe.
” Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi, alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità.
Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore… Ci vogliono i riti”.
” Che cos’è un rito?” disse il piccolo principe.
” Anche questa è una cosa da tempo dimenticata”, disse la volpe.
” E’ quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore. C’è un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedì ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedì è un giorno meraviglioso! Io
mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza”.
Così il piccolo principe addomesticò la volpe.
E quando l’ora della partenza fu vicina:
“Ah!” disse la volpe, “…Piangerò”.
” La colpa è tua”, disse il piccolo principe, “Io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi…”
” E’ vero”, disse la volpe.
” Ma piangerai!” disse il piccolo principe.
” E’ certo”, disse la volpe.
” Ma allora che ci guadagni?”
” Ci guadagno”, disse la volpe, ” il colore del grano”.
soggiunse:
” Va a rivedere le rose. Capirai che la tua è unica al mondo”.
“Quando ritornerai a dirmi addio ti regalerò un segreto”.
Il piccolo principe se ne andò a rivedere le rose.
“Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente” , disse.
” Nessuno vi ha addomesticato e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre.
Ma ne ho fatto il mio amico e ne ho fatto per me unica al mondo”.
E le rose erano a disagio.
” Voi siete belle, ma siete vuote”, disse ancora. ” Non si può morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perché è lei
che ho innaffiata. Perché è lei che ho messa sotto la campana di vetro, Perché è lei che ho riparato col paravento. Perché su di lei ho ucciso i bruchi (salvo due o tre per le farfalle). Perché è lei che ho ascoltato
lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perché è la mia rosa” E ritornò dalla volpe.
” Addio”, disse.
“Addio”, disse la volpe. “Ecco il mio segreto. E’ molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.
” L’essenziale è invisibile agli occhi”, ripeté il piccolo principe, per ricordarselo.
” E’ il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante”.
“E’ il tempo che ho perduto per la mia rosa…” sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.
” Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare.
Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…”
” Io sono responsabile della mia rosa….” Ripetè il piccolo principe per ricordarselo.
“<>.”
Il segreto è tutto qui. Noi insegnanti siamo dei giardinieri e nutriamo le nostre piantine con affetto e dedizione, dando ad ognuno la giusta quantità di sali, minerali, acqua, luce. Dobbiamo fare molto attenzione, perchè ogni piantina è diversa dall’altra. C’è chi ha bisogno di più acqua, chi di stare in penombra….
Clotilde 😉
Tutto vero.E in questa epoca (gli anni dieci del ventunesimo secolo dell’era cristiana)di decadenza, la rivoluzione per migliorare il nostro mondo e quindi le nostre vite, dovrà partire per forza dalla scuola. Ci vorrebbe un aiuto anche dalla politica e dai governi,ma in Italia c’è poco da sperare su questi fronti, ed allora solo un movimento di pensiero che accomuni studenti e professori potrà aprire spiragli nella fitta nebbia di consuetudini pigre e di comodo che ci circonda.E per tutto questo ci vuole… tempo! Però diamoci tutti una scossa!
Sono un’insegnante di un istituto professionale “di frontiera” e non sai quanto avrei voluto trovare quell’articolo nel cassetto messo dai miei studenti ….. ma l’ho fotocopiato e distribuito il primo giorno di scuola ai colleghi con i quali ho un’ “affinità elettiva”. Meglio di niente !
Un’alunna di terza liceo mi ha scritto: “Grazie, prof, per tutta l’attenzione che mostra verso ognuno di noi ascoltandoci”. La cosa mi ha commosso e insieme imbarazzato, perché sono consapevole di non dedicare all’ascolto tutto il tempo che vorrei. Forse a scuola, con la fissa del tempo da non perdere assolutamente, perché ne va il futuro dei nostri studenti, stiamo buttando via il presente. Da quanto tempo non usciamo a guardare le stelle? Per guardare il cielo stellato come segno indelebile di una promessa bisogna uscire dal solito ristretto giro di cose. Una promessa è una relazione tra persone, non un rapporto di produzione.
La mia professoressa di religione ad ottobre, entrata in classe un venerdì come tanti, ci ha consegnato la lettera, scritta dal professor D’Avenia, e ci ha chiesto di leggerla in silenzio per permettere a ciascuno di riflettere e successivamente condividere con gli altri la propria idea di “scuola”. E’ stata una delle lezioni più interessanti e coinvolgenti, vissute in tutta la mia carriera scolastica. Nelle ore successive, travolti dall’entusiasmo di quella discussione che ci ha davvero lasciati senza fiato perchè siamo stai in grado di tirare fuori pensieri e desideri per vivere e crescere in una scuola che si definisca tale, abbiamo cercato di comunicare agli altri professori questo nostro bisogno di una scuola diversa. Risposta: indifferenza più totale. C’era il nulla sui loro volti, quasi il fastidio per una interruzione non programmata e per la non prevista scelta degli alunni di “perdere quel tempo”, parlando di sentimentalismi e utopie. I nostri volti erano emblema di delusione e rassegnazione per un mondo scolastico che non cambierà mai, se i primi a doverlo volere, i professori, componente fondamentale in quest’ambiente, non lo desiderano.
Se i ragazzi manifestano la volontà di realizzare approfondimenti su argomenti non presenti nel programma, la risposta è: “E a casa cosa fate? Approfondite a casa quello che volete, io ho da portare a termine il programma.” E tutto cade a pezzi, come un castello di carte… Ormai non ci proviamo più. Siamo troppo stanchi di trovarci davanti muri di cemento per continuare a chiedere loro un po’ di vita tra una funzione matematica e la prima guerra mondiale.
Vorrei solo una scuola, che mi formi e aiuti a crescere, senza sterili conoscenze e noie indesiderate, ma con coinvolgimento e discussioni anche circa argomenti che non sono in programma e fanno “perdere” una lezione in più.
questo articolo l’ho messo il 13 settembre sul tavolo nella sala insegnanti della mia scuola ( una scuola dell’infanzia…) e l’ho postato alle colleghe della primaria… qualcuno l’ha appeso in bacheca!
Mi hai fatto fare un tuffo di più di 20 anni nel passato! E sinceramente un tuffo non molto gradevole, visto che i miei 5 anni di liceo classico sono stati i più brutti della mia vita…per fortuna che avevo una compagnia di amici che mi ha sostenuto passo passo! D’altronde, cosa puoi aspettarti di buono quando hai una prof di italiano incavolata col mondo intero e che il giorno che è entrata in classe per spiegare Manzoni ha esordito dicendo “Allora ragazzi, oggi parleremo del benemerito imbecille”. Dimmi tu come si fa…
Forse sono io che non capisco, forse devo ancora scoprire questo lato della scuola, dei professori, eppure ho sempre creduto che il tempo si possa trovare per fare qualsiasi cosa, basta volerlo.
Quando vogliono fare una verifica o un’interrogazione, il tempo lo trovano, giustamente…
Quando si parla di noi, della nostra vita, invece si ritirano, si mettono in disparte…hanno paura.
Già, credo che per la maggior parte dei professori sia così, hanno paura di creare un certo legame con gli alunni, hanno paura di esagerare.
Credono che in quanto professori, il loro compito sia solo quello di insegnare, ma molti di loro non hanno capito che la materia più importante da spiegarci sia la vita.
Abbiamo bisogno di qualcuno che ci ascolti, di un appoggio, di un esempio…e invece no.
Continuo a pensare che per la maggior parte dei docenti siamo solo un numero, niente di più…
Ricordo che molti professori, alle medie, ci ripetevano che il loro lavoro era sì quello di insegnarci materie scolastiche, ma soprattutto quello di prepararci alla vita che ci aspetta, al mondo reale, che di certo non è come quello in una classe.
Ma sono sempre state parole buttate all’aria, senza una solida base e una vera intenzione da parte dei professori.
Mi auguro che non tutti siano così, ma soprattutto, mi auguro che qualche volta vi ricordiate com’eravate voi dietro quei banchi.
Certo, l’epoca è cambiata, ma i principi sono sempre quelli.
Anche io ho girato l’articolo appena l’ho ricevuto ma, nessuno dei miei colleghi mi hanno detto niente. Forse, anche loro, non avevanno tempo… Mi piace però l’iniziativa di questa ragazza. Vuol dire che è viva!!! E non è scontato perche sia giovane. Ringrazio dalla gente così ed spero che, pian piano, ci siano alunni come lei e professori così “svegli” come D’Avenia. Questo è il nostro contributo per svegliarci dalla anestesia del mondo. Grazie, Alessandro, per condividirlo con noi!! Pi
Sai, Alessandro, pur non facendo l’insegnante, io faccio leggere il tuo articolo (e consiglio il tuo blog) a tutti gli studenti, specie a quelli “difficili”, cioè a quei ragazzi che mi sembrano aver perso interesse per ciò che studiano. Se una giovane mente ad un certo punto si perde, è sempre perché non si è trovata la chiave giusta per stabilire un contatto, una comunicazione attiva. Io sono stata molto fortunata, perché nel corso dei miei studi ho avuto parecchi insegnanti che ti assomigliavano e vorrei che, almeno attraverso la partecipazione al tuo blog, anche tutti quelli che incontro si sentano fortunati. I tuoi inviti, i tuoi stimoli, le tue provocazioni sono sempre geniali e possono stabilire quel contatto!!!
Io non sono un professore, ma mi impegno in parrocchia come educatore e quella del tempo, spesso, è una scusa che mi do per nascondere una realtà più amara: non sono capace di compromettermi fino in fondo, di mettermi in gioco, di lasciarmi coinvolgere dalla vita del singolo ragazzo. Metto sempre un limite, un confine invalicabile al di là del quale ho paura di andare. Credo che il punto sia proprio questa asticella che ogni uomo, professore che sia, posiziona dove più gli fa comodo… più si ama la vita, il reale, la bellezza e più l’asticella la si sposta più in là, verso l’orizzonte, verso l’infinito, verso l’altro quindi.
Noiadulti abbiamo spesso paura di confrontarci con i ragazzi. Per tanti motivi: perchè non sapiamo cosa dire loro (che invece dicono tutto con gli occhi e con i gesti), perchè non ci sentiamo adeguati, parchè sappiamo di non essere abbastanza cresciuti prima di essere invecchiati, perchè abbiamo soffocato “il fanciullino” dentro di noi, perchè sappiamo che con la bocca li incitiamo a fare cose che poi noi nella vita dimentichiamo e tradiamo, perchè abbaimo dimenticato il potere creativo (in bene e in male) della parola.
Ringrazio di cuore il prof (e Chi, bontà Sua, ce l’ha mandato) perchè riesco sempre a rimettermi nella giusta ottica e nella giusta pista per guardare i miei figli e per parlare loro, per rimanere,
anche nelle difficilissime situazioni che mi si parano davanti – e non sai quanto vorrei fuggire…
… Il tempo lo vede solo chi lo vive… Siamo in emergenza educativa semplicemente perchè stanno venendo meno educatori significativi, non ragazzi da educare. E’ vero per stare con i giovani bisogna avere il coraggio di spendere tutto il tempo che si può, di stare lì ad ascoltarli nelle loro reazioni e nelle loro battute, nelle loro idee a volte un po’ sballate. Il tempo più bello della mia vita religiosa l’ho passato con i giovani e la cosa meravigliosa è che stando con loro non sento il tempo (anni) che passano e fa molto di più una bella chiacchierata con loro che una crema anti rughe… Io, da salesiana, ci credo per davvero!!!
Grazie Alessandro perchè anche tu non hai paura di perdere tempo!!!
Concordo pienamente e non senza amarezza.
Ho ribloggato l’articolo sul mio blog. Se ci sono problemi scrivimi. Grazie!
Eccomi di nuovo qui. Leggendo questo tuo post mi è venuto in mente un libro (scusa deformazione professionale) che dovrebbero leggere non solo molti insegnanti che non hanno la vocazione, ma anche alcuni genitori! Il libro è “TOGLIAMO IL DISTURBO. Saggio sulla libertà di non studiare” di Paola Mastrocola.
P.S. La proposta di cui ti parlavo giorni fa, riguarda proprio la scuola. La mia e-mail dovresti conoscerla visto che, qui, è un campo obbligatorio.
Ho letto con ritardo “Togliamo il disturbo” della prof Mastrocola e condivido il tuo parere. Le prime settanta – ottanta pagine, andrebbero rese obbligatorie nell’atto dell’iscrizione di un figlio ad una scuola superiore. Cioè, un genitore che invia la domanda di iscrizione del figlio/a ad un qualsiasi liceo, o istituto tecnico o scuola professionale, dovrebbe “certificare” di averle lette. C’è semplicemente scritto come funzionano le scuole oggi, come funzionano i ragazzi e a che cosa si va incontro.
La consapevolezza di ciò che si va a fare dà sicurezza..Io insegno agli studenti “professionali”, i “difficili”, quelli che si rifugiano qui, avendo fallito altrove. Non so quanto li ascolto, quanto li capisco.Ho delle simpatie per quelli meno incattiviti dalla vita e fatico con quelli maleducati.Alle volte mi dispiace per quelli bravi, bravi davvero, che ci sono anche nelle scuole professionali: mi spiace non riuscire a dedicar loro più tempo, dovendo badare agli altri. Quanti di loro avrebbero potuto avere di più dalla Scuola…
Silvano
Ho letto il libro e devo dire che trovo la Mastrocola senza speranza, a volte addirittura supponente, arroccata sulle sue convinzioni. L’analisi che fa, da un punto di vista diciamo “estetico” può essere condivisibile, ma dovrebbe riconoscere che lo scenario è cambiato e la sfida è proprio quella di “adattare” contenuti di sempre a nuovi strumenti e metodi.
Qualche volta, leggendo, mi sono chiesta cosa faccia lei veramente per andare incontro ai suoi studenti, se almeno ci prova a cercare un punto di contatto, o si sforza di credere che, per quanto assurdo le sembri, anche i ragazzi d’oggi qualche nota positiva la possiedono.
Inoltre, spesso mi chiedo se a formare un buon insegnante non possa contribuire più un corso di teatro e la capacità di mettersi in gioco che milioni di nozioni….
Scrivo solo ora il mio commento, data la settimana “febbrile” per gli scrutini di fine trimestre.
Sono insegnante di religione, originaria del nord (Lombardia, dove lavori tu caro Alessandro), ma da 18 abito a Trapani (la tua terra…).
Insegno in una ragioneria e in un professionale per marinai…scuola più che mai di frontiera!!
Il primo giorno di scuola come mia presentazione personale nelle classi, di ciò che sono e di ciò che voglio, ho letto il tuo articolo, facendolo così tanto mio che in qualche punto la voce si è spezzata…lasciando i ragazzi più sbigottiti che mai!
Facendo una prima valutazione (visto il periodo :-)) non so quanto io sia rimasta fedele a quello che ritengo un “programma” non certo ministeriale, ma di vita. Tuttavia di una cosa sono certa: nonostante le giornate faticose che a volte (spesso!) mi capitano in alcune classi, l’intenzione di fondo, che mi guida come un faro nella notte, rimane sempre quella, ossia EDUCARE!
E l’educare passa sempre per l’ASCOLTO dei ragazzi, perchè se non CONOSCO chi devo educare, a cosa lo educo?
Spero sempre che i miei occhi trasmettano la passione, la convinzione e l’amore per ciò che insegno…se così non fosse avrei davvero fallito!
Dopo 20 anni da insegnante e 20 da preside, ho capito che la scuola si regge fondamentalmente su due assiomi (“Lo facciamo già”, “E’ impossibile da fare”) e su un corollario (“Ho da portare a termine il programma”). Ma da questo blog capisco che, nonostante tutto, c’è un movimento che sta creando massa critica. E’ noto che in ogni organizzazione ci sono tre livelli di persone: gli entusiasti (25% circa), gli indifferenti (50% circa), gli irrecuperabili (25% circa). E’ inutile lavorare con gli entusiasti (lo sono già, si spera solo che non si stanchino) e anche con gli irrecuperabili (sarebbe come zappare il cemento armato); si deve lavorare con gli indifferenti perché non affondino fra gli irrecuperabile e, se possibile, si innalzino fra gli entusiasti. E’ un lavoro difficile. io ho visto qualche risultato solo dopo che sono andato in pensione. Ora tocca a voi. Buona fortuna!
anche io a scuola mi sento spesso dire che non c’è tempo e che siamo perennemente indietro con il programma. In questo periodo mi sto accorgendo che ogni anno preferisco una materia piuttosto che un altra in relazione al prof che me la insegna ma soprattutto alla sua umanità. Quest’anno ad esempio ho una prof che spiega malissimo ma che è appassionata di quello che insegna e sembra essere appassionata anche alle nostre vite
Ed è questo il problema della nostra scuola (problema che i nostri dirigenti nascondono dietro ad una frase ormai lisa: “mancano i fondi”). E’ la paura di confrontarsi con i ragazzi, ritenendo che non abbiano niente da insegnarci, è la paura di mettere a nudo la nostra verità e la nostra personalità. Ma del resto, avete mai sentito parlare i colleghi di qualcosa di diverso che non siano i programmi o l’andamento scolastico di uno studente? I colleghi si prendono mai del tempo per conoscersi, per dirsi chi sono, per esprimere i propri dubbi sulla vita, per manifestare i propri sentimenti? bè, a me non è mai successo niente di tutto ciò, al punto di dover considerare il mio lavoro ed i miei colleghi (molti, non tutti!!!) un mondo parallelo al mio….e se succede questo ad un docente, figuriamoci come può vivere la scuola uno studente. Paola
Credo tu abbia centrato un punto fondamentale. Ma guai a dirle in giro queste cose…
In settimana ho concretamente vissuto ciò che dici. Al termine di due scrutini nell’istituto tecnico dove lavoro, nelle due prime vi erano 16-17 ragazzi con più di 5 voti negativi su 32-33 allievi.La metà più o meno, era in condizioni da bocciatura secca, senza discussioni se fossimo stati a giugno.Nelle classi seconde, stessa storia, con numeri inferiori.Quando la mia mania delle statistiche mi ha spinto a farlo notare ai miei colleghi, con la dovuta perplessità:”scusate..ma non è che c’è qualcosa che non va? non è che stiamo sbagliando qualcosa?” più o meno tutti, increduli, mi hanno guardato come un bizzarro elemento fuori dall’orchestra. “Sbagliamo qualcosa? svolgiamo i programmi, se i ragazzi non studiano, non è colpa nostra..”
Io sono convinto che molti di quei ragazzi sono perfettamente in grado di soddisfare ciò che la scuola chiede loro e di oltrepassare i santi “programmi”. Il mio dubbio è che glielo stiamo chiedendo in modo sbagliato.
Ma come dice il prof 2.0 “guai a farlo notare!”
Cara ragazza,
voglio trovarlo io il tempo per risponderti, perchè questo tempo ce l’ho e, se non ce l’avessi, lo toglierei ai programmi, alle riunioni, alle lezioni.
Voglio dedicarti tempo, perchè l’unico programma che veramente conta sei tu e io, insegnante, sono qui per te.
Sono qui perchè tu possa appassionarti a qualcosa che, a suo tempo, ha appassionato anche me ed è divenuto così bello e importante da desiderare che anche altri potessero conoscerlo e, chissà, investirci la vita.
Sono qui perchè credo che l’ignoranza sia la madre di tutti i mali e combatterò fino alla fine per strapparti a lei.
Sono qui perchè ho qualcosa da dirti, qualcosa che ti piacerà, ti servirà e ti aiuterà e per questo ho bisogno che tu ci sia, che tu mi possa accordare la tua fiducia, ma anche che tu mi corregga o mi faccia domande che possano addirittua mettermi in difficoltà. E tutto questo richiede competenza, preparazione e ascolto, ma come potrei pretendere di essere ascoltata se non ti guardassi negli occhi, se non spendessi una parte del tempo ad osservare come entri in classe, come apri il libro, a cosa pensi, dove guardi, cosa cerchi e cosa chiedi?
Sono qui anche per dirti, con l’esempio, che non si finisce mai di imparare e non bisogna stancarsi di ripetere, sono qui per dirti che mi stai a cuore, anche per questo ti rimprovero, a volte aspramente.
Sono qui per dirti che un punto di incontro tra me e te è possibile e può essere anche divertente!
Sono qui, infine, per scusarmi con te, quando mi sbaglio o quando tutto questo non mi riesce e, se puoi, porta pazienza e prenditi il tempo per osservarmi e capire che non sono infallibile, a volte sono distratta, di corsa, impaziente e, in questi momenti, tocca a te ricordarmi perchè sono qui e, mano nella mano, ci incammineremo per una bella avventura!
Nonostante tutto, ne vale la pena…
Non è un problema di mancanza di tempo, ma di sensibilità…
…sono una Prof. penso che il prossimo primo giorno di scuola proietterò un video ai mie alunni con quelle parole che vorrei sentire da loro !!Credimi esistono anche i prof innamorati del loro lavoro e di voi ragazzi !!in bocca al lupo !!
Caro professore, mi associo a tutte quelle persone che dicono che vorrebbero averla come insegnante.
Effettivamente il tempo è ciò che sento che mi manca di più. Il tempo per leggere, per formarmi un’idea, per pensare a me stessa, per capire dove mi sta portando la canoa della vita, per prefissarmi un obiettivo da raggiungere. Per capire meglio chi sono davvero.
E’ forse un po’ triste ammettere che nella mia scuola succede che i professori sembrano non accorgersi di avere di fronte delle persone, degli esseri umani. Per la maggior parte di loro siamo solo dei numeri (del registro) da chiamare e interrogare. Devono finire il programma senza sforzarsi di farci vedere la passione che provano per le loro materie. L’importante è avere voti e portare a termine in qualche modo il programma.
Personalmente mi risulta difficile appassionarmi davvero a qualcosa. Quando ero più piccola era più facile: la maestra diceva una cosa che mi colpiva e io andavo in biblioteca e cercavo dei libri che approfondissero l’argomento. Leggevo tantissimo. La lettura era il mio passatempo preferito. Preferivo un libro ad un cartone animato in TV. Paradossalmente ora, che frequento un liceo classico, ho meno tempo per leggere. Ci assegnano letture noiosissime e io non trovo più il tempo di leggere altri libri per piacere.
Dicono che dobbiamo formarci un’idea, ma poi ci sommergono a tal punto di compiti e studio che non abbiamo nemmeno il tempo di uscire a comprare il giornale. Dicono che non dobbiamo stressarci per i voti, ma poi chi li sente i nostri genitori? Sento gli insegnanti troppo distanti da me, troppo impegnati a finire il programma per accorgersi che noi non li seguiamo più da tempo. Parlano di cose astratte, davanti a una classe perplessa che si affretta a segnare ogni singola parola del docente (“Tutto quello che dico sarà oggetto di verifica”). Ma in realtà noi non capiamo. Forse perchè abbiamo l’impressione di non essere ascoltati.
Grazie per avermi “ascoltata”:)
Cara Jo, di insegnanti in gamba ce ne sono molti. Probabilmente anche fra i tuoi ce n’è almeno uno che può fare quello che chiedi. Forse sei tu che puoi provare a chiedere, a risvegliarli. O forse devi cercare autonomamente chi possa fare questo. Il tuo commento è molto bello, lo sfrutto per il nuovo post!
Grazie per avermi risposto subito e grazie per il suo commento. In effetti riflettendo meglio ci sono uno o due professori tra i miei che salverei, ma non di più. Ha ragione anche sul fatto che dovrei provare ad agire in prima persona. E mi ha quindi dato uno spunto in più per riflettere.
Complimenti per il blog.
ciao Jo, sono d’accordo con te sul fatto che abbiamo sempre meno tempo per formarci una nostra idea. io sono all’università, e mi sono trovata malissimo perché alle superiori ho avuto la fortuna di trovarne 3 di quei professori che tu vorresti, veri maestri che dopo 4 anni dal diploma ancora fanno parte della mia vita. Trovarli all’università è ancora più difficile.. il professore che mi ha colpito di più è quello che il primo giorno di lezione ci disse: “per me voi siete solo dei numeri di matricola”… noi saremo anche numeri di matricola, ma lui forse ha sbagliato mestiere!
All’università è inevitabile che il rapporto con gli studenti cambi rispetto alle scuole precedenti.
E se l’uscita del tuo professore fosse solo una provocazione del tipo “fammi vedere quello che vali”?…
In fondo l’università dovrebbe consegnare alla vita professionisti preparati (le conseguenze di uno sbaglio sul lavoro potrebbero essere serie) e i professori universitari non sono direttori spirituali.
Prova a darne una lettura positiva! Ciao!
Sono anche io nella stessa situazione. Permettetemi di raccontarvi. Frequento un liceo delle scienze umane, e sono nell’indirizzo musicale, classe quinta. mi ricordo come arrivai in questa scuola in prima: era bellissimo, legai con quasi tutti i compagni, mi piaceva venirci, mi divertivo addirittura. Non facevo molta fatica a studiare, anche se non mi è mai piaciuto studiare qualcosa di “imposto” dai prof, ho sempre preferito fare ricerche ed approfondimenti per conto mio, per soddisfazione personale. Beh, comunque in prima si stava una bellezza. Siamo la sezione musicale, vuol dire concerti e saggi organizzati, popolarità, gioia nel trasmettere qualcosa con la musica, dimostrare di aver imparato. Ma con gli anni le cose sono cambiate: sono cambiati i compagni, i prof, gli obiettivi. E lo studio non è più quello di una volta. Sarò più esplicita: ci definiscono la classe peggiore dell’intero istituto, quello con la media più bassa. Dovremmo diplomarci tra qualche mese, ma per i prof sembra un impresa impossibile: continuano a ripeterci che non ce la faremo, che non verremo ammessi agli esami ecc. Sì certo, lo so cosa risponderete: che lo fanno per incoraggiarci. Beh io non lo trovo affatto un metodo efficace! Lo sarebbe se ci ascoltassero e capissero perchè facciamo tanta fatica a studiare, aiutarci a capire le cose, i concetti, e non ci dessero continuamente dei “SOMARI” come invece fanno, senza neanche vedere che in molti c’è la volontà di uscire “vincitori e diplomati” da questa scuola, anche se non lo dimostriamo. Invece le scuse sono sempre le stesse: non c’è tempo, non studiate, bisogna finire il programma…! I cari prof vanno avanti col programma, e noi rimaniamo indietro, arrancando come disperati nel tentativo di capire per non deluderli.
Io in questo preciso momento dovrei studiare la Bioetica. Non riesco a farlo, sto disperatamente cercando qualcosa su internet perchè non ho quasi appunti, perchè non riesco affatto a seguire l’insegnante quando spiega (e non ho paura a dirlo!!). E credo anche che l’insegnante lo sappia, ma “non ha tempo” per voltarsi indietro e tendere una mano ad una alunna in difficoltà.
Se solo riuscissero a ritrovare quella passione per il loro lavoro, senza doversi preoccupare del tempo, del programma, dei problemi a casa, e riuscissero a trasmettercelo, andare a scuola diventerebbe molto più bello. Purtroppo anche per quanto riguarda il ramo musicale è diventato così: adesso ha molta più importanza la popolarità, il dimostrare “che sono figo pechè so suonare uno strumento o so cantare” che la gioia stessa di suonare e di cantare per gli altri e con gli altri.
Caro professore, vorrei tanto avere una persona come lei in classe che ci aiutasse ad appassionarci allo studio e a credere in noi stessi. Ad incoraggiarci ora che siamo distrutti dalla’ansia dell’ammissione all’esame. Tra 2 o 3 settimane arriverà la pagella. Non voglio neanche immaginare cosa ci sarà scritto sopra.
Incroci le dita la prego!
ps: se passa da Cremona, ce lo faccia sapere!! 🙂
La saluto affettuosamente.
Caro Prof. Sognatore, le parole di questa ragazza e quetsa tua provocazione mi hanno spinto a rileggere il tuo articolo sul primo giorno di scuola che vorresti e l’ho ritrovato, ancora una volta, prezioso e in accordo con quanto vorrei anch’io.E’ vero, spesso a scuola non c’è mai tempo e l’ossessione di terminare i programmi imepdisce ad alcuni Prof. di ascoltare gli alunni, cosa che dovrebbe essere la prima da fare, visto che si hanno davanti delle persone.
Con gioia, all’inizio dell’anno catechistico in parrocchia, sul calendario oratoriano ho visto che il nostro parroco aveva riportato alcuni passi del tuo articolo, come invito per tutti noi che diamo una mano in oratorio a mettere un poco in pratica quelle parole nel tempo trascorso coi ragazzi più piccoli a noi affidati. Quindi nella mia parrocchia si è trovato il tempo per prendere in considerazione le tue proposte. S e questo avvenisse anche in qualche scuola in più, sarebbe davvero un sogno. Avendo dei parenti insegnanti, so bene che talvolta è difficile armonizzare i programmi da portare avanti e le interrogazioni con l’ascolto dei ragazzi, ma questo deve essere almeno un desiderio, un modus operandi di fondo, proprio per poter cominciare quella “revolution in education” di cui c’è tanto bisogno. Chissà se questo possa diventare, da sogno, un progetto? 🙂
E come la mettiamo con quegli insegnanti che già alle elementari non hanno la minima intenzione di “ascoltare” queste gemme di uomini e donne…e si arrendono (o si giustificano) ai tagli della scuola tagliando loro stessi il futuro ai nostri figli…sono una mamma amareggiata che ha la fortuna di avere una figlia che ama leggere libri, è curiosa, fa mille domande (alle quali cerchiamo di dare risposta e incoraggiamo)ma si trova davanti il poco impegno e la poca buona volontà delle sue insegnanti…
ci vorrebbero tanti insegnanti con l’entusiamo che tu hai e che “trasuda” dalle tue parole!
Rivolga il suo pensiero agli insegnanti che ritiene validi e capaci di entusiasmare i bambini e continui lei stessa a mantenere viva la curiosità e la voglia di imparare di sua figlia.
L’entusiasmo è contagioso e può contribuire al risveglio di chi ha magari dimenticato la sua passione.
Inoltre, a scuola, per contagiare con entusiasmo alle volte è necessario creare prima le condizioni perchè questo avvenga…
Beh, forse bisognerebbe tornare al tempo in cui solo pochi erano in grado di leggere e scrivere, ai tempi in cui solo pochi avevano il privilegio di studiare, ai tempi in cui studiare, leggere e scrivere erano un PRIVILEGIO. Oggi la scuola è obbligatoria fino ai sedici anni ed è aperta a tutti. Niente in contrario sul diritto all’istruzione ma… sull’obbligo? Io la penso così: se qualcuno non vuole studiare, che non studi. Quante persone che non hanno studiato sanno molto di più sulla vita rispetto ad alcuni grandi professoroni? Ovviamente non mi riferisco a tutti: conosco insegnanti davvero saggi, capaci e, soprattutto, umili come ogni insegnante dovrebbe essere. Io la penso così…
Caro prof,
ho visto il video e mi è molto piaciuto. Ma dove vivono le persone che parlano così e pensano così ? I nostri figli molto probabilmente non troveranno a scuola le risposte alle loro domande e non troveranno gli stimoli per tirare fuori i loro talenti. Questo come mamma l’ho già capito…anche se mia figlia frequenta un Liceo Classico ….avevo tante belle speranze ma i suoi prof.qualche volta la aiutano più a spegnere il suo entusiasmo che ad accendere la passione per il sapere. E’ tutto concentrato in un voto, in una corsa continua contro il tempo per raggiungere quel maledetto voto !!! E poi….il nulla. Mai un sorriso, un incoraggiamento,una parola in più……sembrano quasi avere paura di perdere l’autorevolezza. Ma non si rendono conto che ogni giorno quello che perdono è la grande occasione di far CRESCERE i ragazzi.
Ci dia lei allora qualche spunto per aiutare i nostri figli a individuare i loro talenti,coltivarli e svilupparli,affinchè possano poi organizzare il loro futuro.Grazie
Il primo giorno di scuola ho letto nelle mie due classi (II e III media) “Il primo giorno (di scuola) che vorrei”. Per stimolare in loro la *pretesa* di una scuola diversa! Ancora piccoli per esprimersi criticamente, io ho voluto ribadire loro l’insegnante che vorrei essere (per loro!).
In II ero in compresenza con la collega di lettere: alcun intervento da parte sua!
Ho messo in bacheca in Sala proff. l’articolo: nessun commento da parte di alcun collega, invisibile, ignorato!
Tristezza.
g
E tu a poco a poco costruisci relazioni autentiche e nuove. Fai la piccola rivoluzione, silenziosa. Niente tristezza, anzi sì tristezza, ma usala per reagire!
quanto e vero quello che hai scritto…mi sorprende pero vedere lo stupore e l’interesse dei tuoi compagni nell’articolo che hai prooposto…normalmente e il contrario di quello che hai raccontato,ma devi guardare il ‘bicchiere mezzo pieno’ perche forse,anche senza l’aiuto degli adulti,in alcuni casi,riusciamo ad essere forti,e ad avere la forza di andare avanti e reagire…
Voglio leggere il articolo! perfavore! el link no me sirve! donde mas puedo leerlo! Y como siempre prof gracias por sus entradas son todas increibles!!!