20 ottobre 2008
A mio padre (per il suo compleanno)
Mi hai lanciato in aria che ero bambino e ho capito che volevo volare. E quando la gravità ha pesato sul mio volo ho capito che cadere è inevitabile e volare doloroso. Ma tutte le volte che il mio cadere trovava riparo tra le tue braccia scoprivo che il dolore mi avvicinava a me stesso. E io bambino gridavo entusiasta: ancora, ancora!
Non so se perché era più dolce cadere tra le tue braccia o volare. E tutta la vita è questa incertezza.
Un giorno mi avrai lanciato così in alto nel cielo che sarà, io spero, un altro Padre, lo stesso Padre, ad abbracciare la mia caduta verso l’alto.
Caro Ale stai pur certo che prima di quell’ultimo e vero volo, ci sarò sempre io ad accoglierti tra le mie braccia su questa terra, quindi potrò ancora accontentare
il tuo: ancora, ancora !
Quidi continua a volare tranquillo,
il tuo Papà
troppo personale
posso solo associarmi
marco
caro Ale, qui si vola veramente alto! Dal basso vi guardo con affetto. Indovina chi sono!
anonimo: non lo so, forse Franz?
I genitori fanno sì che le nostre ali non siano come quelle di Icaro – anche se in alcuni periodi della vita volare come lui può sembrare tremendamente poetico e affascinante.
Leggevo da qualche parte che la paternità è totale quando si è disposti a rinunciarvi per altre paternità.
Vi suggerisco “Giusto” di Giovanni Donna D’Oldenico.
Auguri al papà del prof.
Sono capitata per caso sul tuo blog e ho letto questo post che mi ha davvero commossa.
Tornerò a leggerti ancora.
A presto.
Fioridiarancio
ape: grazie del suggerimento
fioridarancio: sei la benvenuta e sono contento di averti regalato una lacrima di gioia.
bellissimo davvero questo post!
antonella: grazie!