The great pretender
“Io considero il mondo per quello che il mondo è: un teatro dove ognuno deve rappresentare una parte, e la mia è una parte seria”Shakespeare, Il mercante di Venezia
To Pretend: in inglese significa fingere. La radice latina indica il tendere in anticipo.
Andiamo al cinema per conoscere la vita in anticipo. L’attore finge (pretend) un ruolo e ne osserviamo le conseguenze nell’arco di due ore. Se chiediamo a qualcuno di raccontarci la sua vita non racconterà dal momento in cui è uscito dal grembo della madre fino al momento della domanda, sarebbe una noia. L’interrogato farebbe delle scelte strategiche, quelle tipiche di un racconto, selezionerebbe. Chiedersi cosa scieglieremmo per il racconto della nostra vita è un esercizio formidabile. Quelle scelte nel racconto sono la vera sostanza della nostra vita. In un film il regista sceglie di una vita solo quegli snodi fondamentali funzionali a raccontarla tutta intera, senza bisogno di raccontarla secondo per secondo. La nostra vita non possiamo viverla in anticipo, se non nel cuore di personaggi fittizi. La nostra vita possiamo solo viverla, ma è anche vero che la direzione della nostra vita è dettata da una parte che abbiamo scelto e quindi ogni evento è sensato all’interno di una narrazione che di essa ci facciamo in anticipo. Di alcune persone si dice: si fa troppi film… Ed è un difetto. Ma tutti ci facciamo, volenti o nolenti, un film della nostra vita. Non possiamo viverla in anticipo, ma sì raccontarcela in anticipo, quello lo facciamo tutti. Ogni momento diventa così un perchè (causa) e un affinchè (fine), come in un film. Il personaggio fa una certa azione perchè gli sono successe delle cose e perchè ne vuole ottenere della altre. Se studio per un esame è perchè ho scelto una certa facoltà e perchè voglio diventare dottore. La trama della vita è l’insieme delle scelte. Pretend: fingere e tendere in anticipo.
Senza sceneggiatura la vita non esiste, non ha trama. E l’uomo sceneggia continuamente la propria vita per darle un senso, il segreto è essere, come diceva la canzone, “a great pretender”.
Caro prof 2.0,
come si fa ad impostare la sceneggiatura della propria vita senza considerare le milioni di variabili che determinano il corso della vita? Significa avere un idea dell’uomo o della donna che vuoi essere, prescindendo dagli eventi per così dire “esterni”?
Bellissimo il tuo post, merita una conchiglia presa dai fondali più blu dell’alto mare…
Eh, eh, eh,
il professore e lo sceneggiatore (oltre che il saggio) emergono adamantinamente in questo post.
Ce ne sarebbe da scrivere qui…
Sì, secondo me ciascuno imposta (consapevolmente o inconsciamente) la propria vita secondo una sceneggiatura.
Circa la mia, se dovessi scegliere spezzoni del passato non credo di averni molti.
Sono pochi i momenti che vorrei raccontare. Sono più che altro dei flash.
Tutto il resto è noia, come diceva una canzone.
La sceneggiatura della mia vita futura, invece,quando assumo il ruolo di pretender, che cerca di anticipare il proprio futuro, fra sé e sé o con gli altri, è ricca di particolari degni di essere raccontati.
Bye,
Charles
Isabel: grazie per il dono che mi darai quando fermerai la tua barca su queste rive. I milioni di variabili ci sono, ma le inseriamo nella storia che ci raccontiamo. Storia che riaggiusteremo o cambieremo anche sulla base di questi eventi. Il bello della vita rispetto a un film è che il protagonista è libero. Nel film fa quello che lo sceneggiatore ha scritto, nella vita plasma la sua parte di giorno in giorno. Ma come in un film il mondo si oppone alla realizzazione di ciò che il protagonista vuole portare in quel mondo, così nella vita il mondo resiste al nostro “pretend”. Se bastasse “pretend” per ottenere quello che desideriamo sarebbe troppo facile. Ma senza “pretend” non otteniamo nulla.
Charles: l’importante credo che sia recitare sempre al meglio, anche quando la parte non ci piace. Scopriremo di avere risorse che non sospettavamo. Great pretender: great man.
Per un attore che vive la vita degli altri ( ed i migliori attori sono quelli che la riescono a vivere, ad interpretare, come se fosse la propria,) è possibile vivere la realtà originale (unica e irripetibile) della propria vita, ad essere il vero protagonista (l’unico autentico) della propria esistenza, non condizionata dall’interpretazione continua della vita degli altri?
Penso che debba essere possibile anche se con molta, moltissima difficoltà, con la stessa difficoltà che ognuno di noi, protagonista della propria vita, incontra nel vivere il fascino e la meraviglia della originalità del vissuto e della costruzione della propria esistenza.. Che ne pensi? Forse una possibile soluzione è quella di avere dei riferimenti ad una storia e ad un modello di vita veramente credibili cui riferirsi nel proprio cammino di crescita.
Un filosofo dice che privare un bambino delle favole è privarlo del copione per la propria vita. Il bimbo impara la vita dalle azioni dei grandi, non dai discorsi teorici, ma dalle loro narrazioni vitali e verbali. Credo che questo continui a valere anche dopo, anche se in modo diverso, e credo che i modelli che scegliamo “impongano” le loro narrazioni. Che ne dici?
Caro Prof 2.0, hai toccato un tema molto interessante. Da quello che scrivi appare quanto sia importante essere consapevoli di quale “parte” si stia “recitando”. Altrettanto importante è sapere se questa parte l’abbiamo scelta noi o come spesso accade, se ci è stata imposta da altri. Molte teorie come la teoria del modellamento, dicono che si può diventare chi si vuole, se lo si vuole veramente, basta acquisirne l’abito dell’abitudine. E’ altrettanto vero però che ciò ha un prezzo e allora la domanda è: chi è degno di essere IL MODELLO?? sono d’accordo con Marco sul fatto che o si trova un modello o un ideale da prendere d’esempio che dia la direzione da seguire o altrimenti si rischia di vivere a caso con brevi e fugaci flash degni di essere ricordati.
Credo sia vero quanto dici, ma non credo che basti avere un modello da seguire. Credo anche che il bello sia scoprire che la propria parte non esiste ancora e siamo noi gli unici a poterla scoprire e rappresentare. Le vite altrui ci aiutano a definirla e trovarla questa parte. Ciascuno racconta una storia diversa e fallisce se non racconta proprio la sua. Agostino diceva: ogni uomo è creato per essere un inizio. Molti miei alunni non ci credono, non per cinismo, ma per l’imposizione di modelli incompleti che inibiscono la vera narrazione personale. Non so se sono risucito a spiegarmi, data l’ora. I modelli ci vogliono, ma non bastano.
L’esperienza è un passaggio forte della vita quotidiana: un luogo in cui la percezione del reale si raggruma in pietra miliare, ricordo, e racconto. E’ il momento in cui l’umano prende possesso del suo reame. Per un attimo ne è padron, e non servo. Fare esperienza di qualcosa, significa salvarsi.
(I barbari – Saggio sulla mutazione, A.Baricco)
Non so, ma ieri sera a letto mentre lo leggevo mi ha fatto venire in mente il tuo post, Prof 2.0…magari mi sbaglio…
(Cmq se ti capita leggilo questo libro. Io non ho ancora capito se mi piace o meno, se dice cose sensate o è un cumulo di luoghi comuni)
Hai descritto perfettamente lo stesso effetto che Baricco fa a molti. Il fascino di emozioni distillate in parole perfette, ma poi a distanza non sai cosa ti è rimasto. Quanto a quello che dice sull’esperienza mi sembra molto vero, e lo dice molto bene. L’esperienza ci fa appropriare di strati della nostra sensibilità che spesso dormono. E così diventiamo più profondi o meno superficiali: capaci di sentire e accogliere la vita nella sua pienezza. In questo senso ci salva. Almeno credo…
Grazie del suggerimento. Me lo procuro.
Penso che le storie e i modelli di vita “credibili” cui riferirsi sono quelli “di spessore” che rispecchiano autentica umanità, quella umanità che ognuno di noi può sforzarsi di vivere e raccontare nella propria originalità: questo è un ruolo veramente gioioso e affascinante se si pensa che “l’uomo porta in sé quel che c’è di nuovo nel pensiero di Dio”(J.Ratzinger)
Nel relazionarmi con gli altri mi sono resa conto che una delle prime domande che si fanno quando incontri qualcuno per la prima volta é “e tu cosa fai nella vita?”…e il fatto di rimanere un pò spiazzata ricevendo questa domanda mi ha fatto pensare…e pensando ho scoperto che faccio certe cose senza chiedermi il perchè, a volte senza che mi piacciono e ho cominciato a pensare che la mia vita deve parlare di me, ogni cosa che faccio deve essere un segno di qualcosa che sta + in profondità… cosa che non va molto lontano da un proprio stile nell’abbigliamento…vorrei che gli altri possano essere attratti da me per quello che vedono in apparenza e che questo sia una calamita per andare + a fondo…come le icone sul desktop…bisognerebbe “semantizzare” la propria vita, darle il significato che vogliamo perchè divenga espressione,icona di quello che abbiamo e siamo dentro. Anche se come ben dice Isabel le varianti ci sono, ma anche il modo in cui le affrontiamo ci determina e ci definisce…
Scusate per il piacciono…Piacciano…sti congiuntivi!
Marco v.: cosa è più esattamente secondo te questa “umanità” più autentica che alcuni lasciano vedere e toccare?
Anonimo: mi piace la tua riflessione. Fare in modo che il corpo sia una finestra attraverso cui accedere al panorama interiore. A volte vedo che alcuni ragazzi rinunciano a quel panorama e cercano di dipingerlo sulla finestra, in base a quello che richiede il mercato, la moda… Un apparire che sia manifestazione e che inviti ad andare oltre. Mi piace.
Quando si parla di “spessore umano” di “autentica umanità” sai bene che ci si riferisce alle profonde armoniose radici dell’esistenza di ognuno di noi, a quella parte più intima della nostra persona,(qualcuno diceva “quel qualcosa di divino” ) che ci accomuna tutti, dove si incontrano , o dove si dovrebbero riportare ad armonica unità tutti gli aspetti della persona (cuore, volontà, affetti, intelligenza,…..) che purtroppo, per una sua libera intervenuta difettosa iniziativa di origine , si sono dispersi fra loro e vanno sballottando da una parte e dall’altra (volontarismo, emotivismo, razionalismo ecc.ecc.). Ricordi la corsa delle bighe in Ben Hur dove il nostro eroe riesce a spuntarla componendo in armonia le diverse caratteristiche dei suoi splendidi cavalli (focosità, calma, resistenza ecc. ), che aveva avuto modo di conoscere e studiare bene una per una ?
Comunque Prof 2.0 scusa questo postimpegnato, non ci pensare e goditi la tua vacanza studio nel paese dei…..BEATLES ! ! !
Caro Marco v.
non è perchè sono a Londra smetto di pensare… Grazie a te di questi commenti, che portano avanti la riflessione sul tema. Mi sembra, da quello che dici, che l’umanità che ci affascina in alcune persone è la loro armonia,il loro possedersi, la loro unità interiore che si riflette all’esterno. Bella sfida!